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HUNTER


«Abbottonati quella camicia!» Mi riprese Abel mentre tentai di richiamare Ivy. Costantemente e disperatamente, certo ormai che le fosse capitato qualcosa di brutto. «Ma poi, perché diavolo ti sei vestito in nero? Non stiamo mica andando ad un funerale.»

Sospirai terribilmente disturbato dalla sua voce. Mi stava addosso e non lo sopportavo più!

«Che non ti venga in mente di dire nulla lì-...» aggiunse «...lascia parlare me, chiaro? Victor Keller sembra un povero vecchio, ma credimi, quell'uomo è il diavolo in persona e-...»

«Puoi lasciarmi solo due cazzo di minuti?» Sbraitai perdendo le staffe, sentendo esplodermi la giugulare al collo. Lui mi fissò di sbieco, in silenzio, finché massaggiai il viso con le mani provando a recuperare un po' la lucidità.

«Torna in te. Sei teso!»

«Due minuti, Abel...» lo scongiurai «...ti prego.» Dovevo stare da solo a metabolizzare quel cambiamento di piano. Una volta concordatomi con Ivy sulla nostra partenza, non avevo pensato a null'altro che quello. Mentre ora mi ritrovai a dovermi scegliere l'outfit da indossare per presentarmi a casa dei Keller. Mi sentii spaesato ed il fatto che lei non si fosse fatta ancora viva, peggiorò la mia condizione mentale a tal punto che sarei potuto andare lì ad ammazzarli tutti, Abel compreso.
L'uomo abbandonò la mia stanza ed io me ne rimasi lì da solo ; senza sapere dove la mia donna fosse, senza un piano, senza speranze. Sommerso nelle acque della mia solitudine, col viso chino in avanti a guardare il pavimento. Quella ragazzina aveva stravolto tutte le mie certezze e scombussolato ogni mio equilibrio e da quando c'era lei la mia vita aveva subito una metamorfosi. Com'era possibile che una creatura così piccola fosse riuscita ad entrarmi così dentro, e a provocarmi tanto dolore nel cuore. Un cuore che neppure credevo di possedere.
Percepii l'agitazione presente nel mio corpo assalirmi le mani ; le guardai, tremavano ed una mia lacrima si riversò sul palmo di quella sinistra. Assurdo ma vero, il Minotauro che era in me stava piangendo come un bambino.

Sentii bussare alla porta e stavolta entrò Ares.
Mi ripulii il viso dalle lacrime.

«Lo sposo è nervoso?» Mi accennò un sorriso camminando con le mani in tasca nella mia direzione finché mi si accomodò di fianco, ai piedi del mio letto. Non replicai non essendo dell'umore giusto. «Cos'è che non va, Hunter? So che non mi hai mai considerato come un fratello, ma voglio comunque che tu sappia che io ci sono e ci sarò sempre per te.» Mormorò sincero mentre annuii, mantenendo lo sguardo fisso sul pavimento, col cervello in fiamme sia per la miriade di pensieri negativi che per la preoccupazione nei riguardi di Ivy.

«Non è così, Ares...» esordii portando su lui la mia attenzione «...io ti ho sempre considerato mio fratello!» Lo spiazzai con le mie parole tant'è che sgranò gli occhi, non aspettandosi mai tale dichiarazione fatta a cuore aperto. «La verità è che impedisco a me stesso di affezionarmi per timore di dover nuovamente soffrire. Ho sempre vissuto dimostrando a tutti quanto fossi forte, invincibile. Nulla e nessuno avrebbero potuto scalfirmi. Ma la realtà è che non ho mai avuto altra scelta se non quella di essere forte, Ares. Tutti si aspettano tutto da me, sin da quando sono nato. Il mio destino era stato scritto ancor prima che giungessi a questo mondo, e credimi, non puoi immaginare quale responsabilità io mi porti sulle spalle...» ripresi fiato «... io sono il capitano di questa squadra. Stanco o meno, devo tirare avanti perché se crollo io crollate anche voi. Sono cresciuto con questa mentalità mentre tu sei diverso da me. Tu sei fortunato ed io ti invidio!»

«Va bene, crolleremo con te. Dove sta il problema? Qui nessuno ti abbandonerà mai, Hunter!» Gettò il suo braccio sopra le mie spalle mentre ripensai con rammarico a quando eravamo piccoli e a quanto s'impegnasse ad entrarmi dentro al cuore in ogni modo. Copiava come mi vestivo e voleva mangiare quello che mangiavo io. E pensare che una volta lo avevo pure picchiato perché aveva osato abbracciarmi. Eppure, lui lo faceva perché mi voleva bene e bramava il mio amore.
La mia accettazione.
Io non avevo una madre e lui non aveva un padre, in poche parole, eravamo più simili di quanto avessi mai creduto.
Ma che ne sapevo io degli abbracci?
Mi ero convinto di non meritarmi niente ed avevo vissuto preda della mia stessa rabbia, dei miei giudizi e delle mie paure per tutto quel tempo .
Ero un mostro senza cuore !
Lui, invece, era buono.
Assomigliava a sua madre Helen.
«Cos'è che ti turba? Dimmelo! Vedrai che ti sentirai meglio dopo esserti aperto con me. Si tratta di lei, non è così?»

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