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HUNTER

Era di spalle ma sembrò mi stesse attendendo già da un po'. Tristan ed alcuni dei miei uomini rimasero in piedi alla mia destra, accanto alla porta dell'enorme stanza.  «Oggi non è che un giorno qualunque di tutti i giorni che verranno. Ma quello che accadrà in tutti gli altri giorni che verranno può dipendere da quello che farai oggi.» Citò fissando fuori dalla sua enorme finestra. «Sagge parole, non è così? È....»

Lo anticipai «...Ernest Hemingway.»

Lo udii sorridere e scuotere lentamente il capo da un lato all'altro.  «Proprio lui.» Finalmente si girò a guardarmi fino a che il suo volto vecchio e duro , su cui le rughe apparivano come crepe aperte dalla siccità , si aggrondò in un'espressione offesa.
Quasi delusa.

Lo chiamavano il Prefetto, colui che dettava legge ; il consigliere per eccellenza, comandante di tutti i clan più grandi ed agguerriti dell'America. Chiunque veniva da lui per un consiglio, anche il più semplice o futile poiché la sua parola contava molto di più di quella di qualsiasi boss del continente.
Lui era il supremo per eccellenza.

«Perché mi trovo qui, Abel?» Chiesi avendo ricevuto quell'importante telefonata da parte sua in cui mi convocava d'urgenza. Lui mi scrutò a lungo, come se stesse cercando di leggere le mie intenzioni.

«La vera domanda è perché non sei a Bogotà. Sai già che la polizia ha confiscato un container di droga? La tua! Milioni di dollari sono nelle mani della polizia colombiana. La mafia russia e quella giapponese stanno attendendo il carico da giorni, Hunter, e sono furiosi con te. Perciò, mi domando perché tu non sia lì ad occuparti dei tuoi affari, ma ti trovi a Sacramento per chissà quale motivo.» Camminò lentamente nella mia direzione guardandomi con rabbia, anche se il suo atteggiamento non m'intimorì affatto.

«Sacramento è casa mia.»

«Quella non è più casa tua, quella è un campo minato per te, la tua tomba....» replicò allargando le braccia «... questa è casa tua. Il Messico è il tuo un parco giochi , Hunter. È qui che sei cresciuto, ed è qui che ti ordino di ritornare!»

Ghignai non credendo a ciò che stavo ascoltando. «Ti sei venduto bene suppongo.»

Tese la mascella, oltraggiato. «Rispettavo tuo nonno e volevo molto bene a tuo padre, e tu lo sai! Cerco solo di proteggerti da questa cieca ed interminabile vendetta chiusa ormai cinque anni fa.»

«Non voglio essere protetto...» parlai minaccioso avvicinandomi maggiormente a lui «...voglio annientare quella famiglia e quel cognome, anche a costo di perdere la vita!»

«Non lo farai perché io te lo vieto!» Mi sgridò mentre tutti i miei uomini abbassarono il capo, guardando il pavimento quando la voce del supremo echeggiò nella stanza.

«Fuori!» Ordinò loro Tristan, ed in un battibaleno ci trovammo tutti e tre soli.

«Tuo padre era un uomo d'onore e se ti sentisse parlare così, si rivolterebbe nella tomba!»

Digrignai i denti e chiusi forte le mani a pugno. «Ti ricordo che mio padre neppure ce l'ha una tomba. La conosci la cosiddetta legge del Taglione?» Non fiatò, chiaro che la conosceva. «È la possibilità riconosciuta a una persona che ha ricevuto intenzionalmente un danno causato da un'altra persona, di infliggere a quest'ultima un danno uguale all'offesa ricevuta. Si andrà avanti così fino a che un solo esponente maschile di una delle due famiglie rimarrà in vita.» Feci una breve pausa. «Prima mio nonno, poi mia madre ed infine mio padre. Tocca a me vendicarli!» Urlai sentendo scoppiare la giugulare al mio collo mentre lui mi guardò esterrefatto.
Di certo non era abituato a sentirsi disobbedire.

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