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IVY

«Che cosa stai preparando?» Mi raggomitolai sul divano percependo dei brividi mentre lo guardai alle prese in cucina. Aprì varie mensole, poi il frigorifero ed infine ogni cassetto alla ricerca degli utensili mentre sul piano cottura c'era una pentola ed al suo interno bolliva qualcosa.

«Qualcosa di buono e che ti rimetterà in sesto velocemente. Non mangi bene da due giorni per cui devi recuperare tutti i nutrienti preziosi per accelerare il processo di guarigione. » Riempì un bicchiere con del succo  giallo gettandomi un'occhiata a distanza. «Prima di tutto bevi questo...» mi raggiunse porgendomi un centrifugato di arance e ananas «...almeno, oltre alle vitamine utili all'organismo ti darà un immediato senso di sollievo.»

Mi sistemò il cuscino dietro la schiena cosicché fossi comoda quando mi sedetti. «Grazie.» Ero debole ma ciononostante portai il bicchiere alle labbra assaporandomi a piccoli sorsi quella meraviglia. Un toccasana per la mia salute.  Lui si limitò solamente a fissarmi e a scostarmi indietro i capelli affinché non mi finissero in faccia. Gli passai il bicchiere ancora mezzo pieno.

«Che fai?»

«Sono sazia, basta così.»

«Lo devi bere tutto , Ivy!»

Brontolai. «Ma non ho fame e ho lo stomaco chiuso.»

«Va bene, allora andremo in ospedale.» Disse secco, quasi con tono minaccioso tornando in piedi. «Forza, ti aiuto a vestirti.»

«No.» Piagnucolai acchiappando la sua mano nelle mie come a volerlo fermare. Avevo il terrore di quel posto. «Niente ospedale.»

Si accasciò in avanti piazzando il suo viso molto vicino al mio mentre deglutii respirando la sua essenza che mi espanse i polmoni, anche se per l'ennesima volta i miei occhi caddero su quel segno al collo e su quelle chiazze di sangue che si era goffamente preoccupato di lavare via con dell'acqua.

«Se vuoi guarire devi fare quello che ti dico! Va bene?» Mormorò pacato, seppur intimidendomi. Dovetti annuire mentre mi diede un lungo bacio sulla fronte. «La febbre è ancora alta-...» parlò finché il suo cellulare vibrò sul mio tavolino catturando l'attenzione di entrambi «...scusami un attimo.» Dopo aver letto il nome sullo schermo dell'aggeggio, si allontanò uscendo in terrazza e chiudendo la finestra vetrata alle sue spalle. Se si fosse trattato di Tristan avrebbe risposto lì senza farsi troppi problemi, ma lo vidi abbastanza teso e perfino la sua espressione facciale si tramutò. Mi dava le spalle ed era accanto alla balaustra del balcone. Gesticolava furioso, ma non riuscivo ad ascoltare niente. Così, incuriosita, mi avvicinai alla portafinestra ad origliare di nascosto la sua animata conversazione.

«So che mi stai fottendo Abel! Sei stato tu, non è così? » Sbraitò a bassa voce, alquanto furioso, camminando in lungo ed in largo sulla terrazza. «Montoya?...Stai mentendo!» E ora chi era questo Montoya?  «Chi mi dice che non sia stato tu a mandarmelo, eh? Ormai non mi fido più di te!.....Non me ne frega un cazzo, quel fottuto bastardo per poco non mi ha quasi ucciso, chiaro? Ho dovuto ammazzarlo!....»

Pietrificai sul posto udendo le sue ultime parole finché si girò e mi beccò lì, con gli occhi sgranati.

«Devo andare, ti richiamo.» Troncò la conversazione puntando i suoi occhi nei miei, avviandosi lentamente nella mia direzione dopo aver messo in tasca il cellulare. Provai ad allontanarmi ma i miei piedi non funzionarono, al che , mi preparai a qualche sfuriata da parte sua per il fatto che come sl solito avessi deciso di ficcare il naso nelle sue faccende.

«Scusa-...io, non volevo origliare-...perdon-...»

«Che ci fai in piedi? Sei debole e devi riposare.» Mi rispose con un'assoluta calma, spiazzandomi. «Vieni!» Mi prese per mano costringendomi a seguirlo sul divano dove mi incitò ad accomodarmi per terminare il centrifugato alla frutta. Si sedette accanto, coprii con cura le mie gambe con il plaid verde ed infine restò a scrutarmi attentamente per un lungo lasso di tempo, come se stesse combattendo una lotta interiore per decidere se dirmi o meno quella cosa che lo tormentava . Amareggiata dalla sua esitazione mi limitai ad assaporare in silenzio lo smoothie pensando a quell'acceso dibattito con quell'uomo, Abel. Chi aveva tentato di fargli del male? Era quello il motivo per cui sulla sua camicia c'era del sangue ? Glielo aveva procurato quell'uomo quel terribile segno rosso sul collo? La mia testa si colmò di così tanti rumorosi pensieri che mi venne l'emicrania sotto forma di atroci fitte. Lo udii sospirare a fondo, come se il suo petto fosse stato alleviato da un qualche tipo di peso. Non accennò nulla in merito alla telefonata, però. Si alzò e tornò a cimentarsi ai fornelli  mentre rimasi lì a guardarlo. La ruga verticale tra le sue sopracciglia si accentuò, segno che i pensieri stessero divorando anche lui. Poi, sentendosi probabilmente fissato, sollevò la testa e fermò i suoi occhi sui miei. La sua espressione si addolcì all'istante e nel contempo lottammo in mezzo a quegli sguardi, riuscendo comunque a capirci. A rassicurarci. Nessuno mi comprendeva più di lui. Dopodiché mi rivolse un sorriso ma fu mesto e quasi impercettibile. Sembrò colmo di sensi di colpa. Ma nei riguardi di chi?
Miei? «Perché mi guardi così?» Ruppe il ghiaccio per primo.

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