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CHANDLER

Passa un mese e siamo quasi alla fine di ottobre, non torno ad Atlanta da quasi tre mesi e non ho più sentito nessuno né dei miei amici né della mia famiglia dopo quella cena. Non rispondo ai messaggi di Sam, il mio migliore amico, e non rispondo alle telefonate di mio padre. Rispondo solo a mamma, giusto perché non voglio che si senta ancora più sola e pensi che l'ho abbandonata. 

Non riesco a dire altro che bugie però, tipo che sto bene e mi diverto e che tutti mi hanno accolto. Lei smette di bere per un giorno, mi dice che mi ama e io penso che non dovrebbero essere così le cose tra di noi. Quindi mi chiudo ancora di più e non faccio altro che giocare a football, studiare e andare alle feste e bere. 

Tutta questa solitudine mi sta fottendo il cervello, ma non posso tornare a casa e non posso rischiare che qualcuno si avvicini troppo. Come Kennedy, per esempio. Mi sono limitato a lavorare con lui ai nostri ritratti nelle ore di arte dopo che mi sono reso conto di essermi reso fin troppo ridicolo quella sera alla festa, quando mi ha dato un passaggio. 

Ora esce con Eve, sembra essersi dimenticato del nostro bacio e di quanto sappiamo provocarci bene. Ogni tanto lo scopro a fissarmi mentre lavoriamo in silenzio in classe, tiene la matita tra le dita e gli occhi scivolano sul mio viso e sulle mie labbra, ma poi torna a disegnare come se volesse cancellare quello che ha visto. 

Lo vedo gironzolare per la scuola con lei, sedersi al suo tavolo e ridere per qualcosa che quella stronza gli sussurra all'orecchio. Lo vedo felice e io mi sento un idiota per aver anche solo pensato che un ragazzo etero potesse accontentarsi di me, avvicinarsi senza vergognarsi di sentire qualcosa a cui non sa dare un nome.

Se potessi avvicinarmi anch'io a qualcuno, forse, me lo dimenticherei. Non posso uscire con nessuno, nemmeno scoparmi qualcuno per liberarmi di questa piccola ossessione che ho per Kennedy e che mi sta facendo saltare i nervi. 

A scuola potrei anche aver trovato qualcuno interessato, credo che James della squadra di hockey sia bisessuale e mi lanci occhiate molto esplicite ultimamente, ma non posso. Devo evitare di finire nel radar di mio padre e qui la gente è ancora sorpresa di andare a scuola con un Milestone, non posso rischiare di essere pestato a sangue solo per togliermi dalla testa uno che non sa nemmeno cosa vuole. Che si fotta Kennedy Lancaster.

Mi butto lo zaino sulla spalla e mi incammino verso la mia jeep, sono stato in palestra tutto il pomeriggio per sfogare la tensione e l'ultima cosa di cui ho bisogno è mia sorella che mi aspetta nel parcheggio. Meredith mi fissa con le braccia incrociate sul petto, indossa un abito nero sotto a un trench beige. I capelli biondi sono acconciati in perfette onde bionde sulle spalle, gli occhi azzurri sono coperti dalle lenti degli occhiali da sole. 

Assomiglia a sua madre, ho visto delle foto di lei e so che i capelli biondi sono i suoi. Io e Amy abbiamo ereditato il suo sorriso, ma a parte questo non assomiglia molto nemmeno ad Amelia e a nostro padre. Amy sosteneva che fosse figlia di un altro uomo, io la zittivo sempre perché mio padre non tollererebbe mai una cosa del genere. 

Apro l'auto e la raggiungo. Non abbiamo un gran rapporto, ci vediamo alle cene di famiglia e in occasione delle feste. Ogni tanto mi scrive o viene alle mie partite con suo marito, ma non andiamo mai oltre conversazioni di circostanza. Si è avvicinata a me dopo la morte di Amy, ricordo che al funerale era molto scossa.

«Mi è sembrato di vedere un Milestone da queste parti» esordisce.

Sbuffo e lancio la borsa sul sedile del passeggero, poi punto i miei occhi nei suoi.

«A cosa devo la visita, Meredith? Mi sto tenendo fuori dai casini».

«Non posso venire a trovare mio fratello?»

Love, KennedyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora