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KENNEDY

Il primo weekend di aprile è il mio compleanno e parto per New York. Vado con Willa al concerto di Taylor Swift nel New Jersey, a East Rutherford. Quella sera lascio il telefono a casa di mio padre. Mi impongo di non guardarlo e di godermi il momento. 

Non riesco a smettere di pensare alla visita di Chandler della settimana scorsa, si è presentato a casa mia nel cuore della notte comportandosi come se gliene importasse ancora qualcosa di me. Come se esistesse ancora un noi. 

Sembrava a pezzi e il mio stupido cuore continuava a dirmi che era sincero, ma non ho permesso che si avvicinasse. 

Se glielo avessi lasciato fare, mi avrebbe baciato. Io glielo avrei lasciato fare, poi lui sarebbe sparito di nuovo e io mi sarei sentito morire perché avrei dovuto imparare di nuovo a gestire la sua assenza. Non posso tornare indietro. 

Mi sento ancora come se mi prendessero a calci quando lo guardo, ma ogni giorno diventa un po' più facile e non posso gettare i miei progressi al vento.

Willa mi strattona il braccio e io mi chino per riuscire a sentire cosa dice, c'è una confusione allucinante al Met Life Stadium.

«Canta questa canzone insieme a me, urla fino a farti sanguinare la gola! È catartico, curerà il tuo cuore».

I primi accordi di All Too Well si diffondono intorno a noi e la folla è in visibilio.

«Ma tu non sei stata mollata, hai lasciato tu Kayden» urlo.

«Kennie, si canta con rabbia anche se si è felicemente sposati!»

Scoppio a ridere e faccio quello che dice perché, se sei a un concerto di Taylor Swift è questo ciò che fai. Cantiamo a squarciagola la versione di dieci minuti di All Too Well e ogni parola vorrei urlarla in faccia a quello stronzo di Chandler che mi ha fatto sentire inadeguato mollandomi senza pensarci due volte dopo che io ho messo in discussione la mia vita per lui. Alla fine della canzone, mi sento meglio. 

Ha ragione Willa. Mi sento ancora meglio quando finisce il concerto e l'adrenalina mi scorre nelle vene. Non devo combattere la tentazione di guardare il telefono perché l'ho lasciato a casa e mi godo il momento che passiamo insieme ai fan, continuando a cantare nonostante il concerto sia finito. Siamo a soli quaranta minuti di distanza da New York, ma ce la prendiamo comoda. 

Credo che Willa mi abbia regalato i biglietti per il mio compleanno solo perché voleva qualcuno che l'accompagnasse, ma è il regalo migliore di sempre. Per la prima volta dopo settimane, sono felice. La abbraccio e la sollevo da terra, lei ridacchia e mi stringe forte.

«Buon compleanno, Kennie».

«Ti voglio bene».

«Anch'io, adesso vieni con me. Prendiamoci un hot dog».

Sorride mentre mi trascina verso un carretto per il quale c'è una coda lunghissima e io sorrido con lei, ma non le dico che lo faccio perché vederla scegliere del cibo spazzatura serenamente mi rende molto orgoglioso di lei. Willa si scosta i capelli dagli occhi e mi guarda.

«Come vanno le cose a casa? Dopo che mi hai lasciato in quel modo strano, a casa mia, sei stato sfuggente».

Sospiro. Ha ragione, purtroppo devo lavorare su questa cosa. Quando mi feriscono, tendo a chiudermi in me stesso e non lasciare avvicinare nessuno.

«Io e Chandler ci siamo lasciati, questo lo sai. Quello che non sai è che mi sento uno schifo da quel momento, non sono mai stato così male» confesso.

I suoi occhi si intristiscono e io quasi mi sento in colpa per averglielo raccontato.

«Oh, Kennedy...»

Love, KennedyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora