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CHANDLER

Supero il viale d'accesso alla villa della mia famiglia e sento lo stomaco stringersi in una morsa. La villa è di fronte a noi, sola come un palo sopravvissuto al passaggio di un tornado. È bellissima, esteticamente penso che sia una delle abitazioni più belle di Atlanta, ma mi ha sempre messo una certa inquietudine. 

Quando Amy si è suicidata, ho ufficialmente deciso che questo posto mi mette i brividi. Fermo l'auto davanti al garage e scendo per raggiungere la pulsantiera del garage, inserisco il codice e la porta si solleva. 

Dentro ci sono tutte le auto della nostra famiglia. Da qui, potremo accedere alla casa anche se nessuno di noi ha le chiavi, c'è una porta interna con un altro codice da inserire. I miei genitori non li hanno mai cambiati, sono gli stessi da quando ero un bambino. 

Torno all'auto e la parcheggio in garage, poi scendiamo e ci dirigiamo verso la porta interna. Ci sono una decina di auto sportive e di lusso, papà ha il vizio di ricordare a chiunque lo circondi che può comprarsi anche la terra su cui cammina. 

Meredith mi osserva mentre inserisco il codice, apro la porta e la faccio entrare prima di me.

«Wow, qualcuno è paranoico. È più facile fare irruzione al Cremlino che qui» borbotta.

«Hai presente chi è il proprietario di questa casa, vero?»

Arriccia le labbra in una smorfia e mi fissa perplessa quando nota che torno indietro. Rovisto nello stanzino degli attrezzi e prendo un martello, non è quello che cercavo ma andrà bene lo stesso.

«Cosa facciamo con quello?»

«Buttiamo giù la porta».

Meredith annuisce e si incammina lungo l'atrio, i pavimenti di marmo sono così lisci e lucidi che rischio di scivolare una decina di volte mentre cerco di raggiungere la scala. Le luci sono tutte spente a parte qualche lampada di servizio lasciata accesa dai domestici. 

Sì, abbiamo dei domestici. Prendiamo le scale e Meredith mi afferra la maglietta da dietro, strattonandola.

«Che c'è?» sussurro.

«Mi fa paura questa casa al buio, stammi vicino».

Scoppio a ridere.

«Accendi la luce, siamo in casa nostra dopotutto».

«C'è la sicurezza fuori, non voglio attirare l'attenzione. A proposito, come pensi di giustificare una porta presa a martellate?»

Non ne ho idea.

«Iniziamo a vedere se riusciamo ad abbatterla».

Annuisce e mi affianca con un salto, le sue infradito fanno un rumore fastidioso a ogni passo e vorrei ricordarle che non siamo proprio silenziosi, ma taccio. Non posso credere che sia qui con me, la cosa mi lascia ancora alquanto sconvolto. 

Percorriamo il corridoio che conduce alle camere da letto, ce ne sono dieci e ognuna di queste ha un bagno privato. Meredith e Amelia avevano la loro stanza qui quando eravamo piccoli, sono cresciute con papà dopo la morte della loro madre quindi questa è stata anche casa loro.

 Ci hanno vissuto poco dato che sono andate al college dopo pochi anni, le loro stanze sono state convertite in camere per gli ospiti da tempo. 

Mia zia, la sorella di mia madre, veniva spesso a trovarci durante l'estate e lei e i suoi figli ne occupavano tre. La mia camera è di fronte a quella di Amy, la mia sulla sinistra e la sua sulla destra. Dopo quelle due porte, il corridoio finisce. 

Love, KennedyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora