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KENNEDY

Vivere da Meredith fa somigliare Chandler più a se stesso e meno alla versione persa in cui si è trasformato dopo che abbiamo scoperto dei diari, anche se continuo a trovarlo troppo triste per stare tranquillo. 

È vero che ultimamente non l'ho mai visto bere di persona, ma spesso è in uno stato confusionale che mi sembra innaturale. Quando la sera stiamo al telefono, perché vivendo da sua sorella ci vediamo di meno, la sua voce è strascicata e si addormenta mentre stiamo parlando. A scuola crolla sul banco, a volte gli parlo e lui sembra non capire cosa gli dico. Non assomiglia a Kayden quando prendeva le droghe e nemmeno a qualcuno che beve, non riesco a capire cosa ci sia di strano in lui. 

La cosa che più mi preoccupa sono le giornate nere. Quelle che passa a letto con il telefono spento e senza rivolgermi la parola. Sparisce per giorni interi, poi il giorno dopo si scusa e mi dice che era stanco. 

Si allena ancora, ma una o due volte a settimana e senza impegnarsi davvero. Dipinge pochissimo. Parcheggio l'auto nell'enorme cortile di Meredith e scendo, sbatto lo sportello e mi incammino per il giardino. Chandler è a casa da solo, mi ha chiesto di raggiungerlo nel pomeriggio per stare un po' insieme. 

I lividi sul suo corpo sono delle macchie giallognole ormai, ma so che gli fanno ancora un po' male. Sul viso sono rimaste due piccole cicatrici, fino alla prossima volta quando suo padre lo colpirà ancora.

Aggiro la casa e sbuco sul pergolato, Chandler è seduto sul dondolo con una sigaretta tra le labbra e un libro in mano. Indossa una maglietta che mi fa scoppiare a ridere per la scritta che ha sul petto. Quando sente la mia voce, solleva il viso e mi fissa con un sopracciglio inarcato. Lo raggiungo con le mani affondate nelle tasche dei jeans, i miei occhi scivolano sulle sue braccia ricoperte d'inchiostro e lo stomaco mi si riempie di calore.

«Cosa ti fa ridere?»

Indico il suo petto e lui abbassa lo sguardo.

«Sono le nuove maglie della campagna elettorale di tuo padre?»

Scoppia a ridere e chiude il diario di Amy, l'ho riconosciuto appena ho abbassato lo sguardo sulle sue mani. Lo getta sul cuscino e si sposta per farmi spazio.

«Fanculo al patriarcato» borbotta, leggendo la scritta sul suo petto. «Visto che continuano a fotografarmi e sbattermi in prima pagina, ho deciso di rispondere a mio padre».

«Perché ficcarmi la lingua in bocca davanti ai flash l'altro giorno non era abbastanza chiaro?»

Ridacchia e io faccio lo stesso. Mia madre è stanca di questa storia, ma io inizio a fregarmene. Onestamente, penso che presto la gente si stancherà di parlare di noi e la smetteranno di seguirci. 

Ho solo paura che qualche elettore fanatico di suo padre possa aggredire Chandler, ma non glielo dico. Meredith ha accennato alla possibilità di avere una guardia del corpo che lo segue a distanza, Chandler si è arrabbiato così tanto che non le ha parlato per mezza giornata. Non era un'idea tanto malvagia, dopotutto.

Stringo i palmi e mi chino, punto i gomiti sulle cosce e fisso la piscina dall'altro lato del giardino.

«Mi è successa una cosa strana» esordisco.

«Tipo avere un'erezione per quattro ore di fila?»

«Sei un idiota» ridacchio. «No, tipo un agente letterario che mi contatta per dirmi che la mia graphic novel è stata proposta a un grosso editore e che adesso vorrebbero propormi un contratto di pubblicazione».

Mi batte il cuore fortissimo mentre lo dico, ho dovuto rileggere la mail dieci volte per essere sicuro che fosse davvero indirizzata a me. Ho realizzato la graphic novel in questione quasi due anni fa, non ha nemmeno un titolo dato che credevo non sarebbe mai uscita dalla mia stanza. 

Love, KennedyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora