57 *GIUSTO*

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Ragazze, scusatemi ma è successo un disastro oggi. Questo era il capitolo 57 che mi aveva spostato in bozze. Mi dispiace un sacco perché vi ho spoilerato tutto, ma oggi avete avuto 3 aggiornamenti. Vedetela così!

CHANDLER

Non riesco ad andare avanti. Non con la mia vita, non con i diari di mia sorella. Ho letto pagine e pagine di schifose confessioni, cose che mio padre le faceva mentre io mi divertivo con i miei amici. Ogni volta che lui mi colpiva, lei si infuriava e si lasciava toccare da lui in cambio dell'ennesima promessa che non avrebbe mantenuto. 

Mia sorella mi proteggeva da lui e io non l'ho mai saputo, mi faccio così schifo che vorrei avere il coraggio di farla finita e porre fine alla mia inutile vita. Sono stato in grado solo di farle del male, farmi odiare da mio padre e da Kennedy. 

Mi guardo intorno e non c'è niente per cui valga la pena restare, niente che potrei toccare senza temere di causare dolore. Prendo i diari e li nascondo nel nuovo nascondiglio che ho trovato, li sposto una volta a settimana perché sono fissato con la storia di Amelia e delle sue maledette chiavi. 

Adesso li metto in un condotto dell'aria condizionata, l'impianto è vecchio e in disuso e per trovarli bisogna staccare una griglia e salire su una scala. Dubito che Amelia o mio padre perderebbero tempo a farlo. Scendo dalla scala e mi pulisco il sudore dal viso con la maglietta, torno in camera mia e prendo le mie medicine. 

Non vedo ancora grandi miglioramenti, ma riesco a lavarmi quasi tutti i giorni e mangio un po' più di prima. Riesco a fare altro, oltre a dormire e bere, Meredith lo considera un successo. Io non so se lo sia, l'ultimo incontro con Kennedy mi ha definitivamente messo al tappeto. A volte, vorrei andare da lui e vomitare tutti i miei segreti, ma poi mi ricordo perché non posso farlo.

Non farò più soffrire un'altra persona come ho fatto soffrire Amy, non sono stato in grado di aiutare mia sorella e lei si è uccisa. Preferisco farmi del male, che procurare dolore agli altri. Mi squilla il telefono, ma lo ignoro. 

Sono seduto sul pavimento della mia stanza a fissare alcune foto di Amy che ho preso da uno scatolone che ho trovato nella mia stanza ad Atlanta. Sono così assorto che ci metto un po' a capire che il mio telefono non smette di squillare. Mi alzo e rispondo alla chiamata.

«Ma che fine hai fatto?»

La voce di Meredith mi fa sussultare.

«Scusami, mi stavo facendo la doccia».

Sospira e io mi siedo sul letto.

«Ti ho lasciato una cosa al bancone della reception, dovevo correre da Clay perché dobbiamo patire per il fine settimana. Non volevo svegliarti».

Mi alzo e scendo le scale di corsa, raggiungo il bancone all'entrata e vedo una scatola rossa su una mensola nella parte interna. Mi chino per prenderla, il telefono ancora incastrato tra l'orecchio e la spalla. Schiudo il coperchio e sbircio dentro.

«Channy?»

Quando mi rendo conto di cosa si tratta, mi inizia a battere forte il cuore.

«Sono qui».

«Amelia non era in città ieri, sono riuscita a entrare nel suo ufficio e ad accendere il computer di Amy. Tutto quello che ho trovato, è in quell'hard disk. Mi dispiace».

Prendo il computer e lo collego, aspetto che la nuova cartella compaia sullo schermo e ci clicco sopra. Quando la apro, mi si rovescia lo stomaco. È vuota, ci sono dentro solo le foto del nostro ultimo Natale insieme. Indossiamo maglioni rossi abbinati, abbiamo le labbra sporche di zucchero e ridiamo.

Love, KennedyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora