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CHANDLER

Vedo l'auto di mio padre dalla veranda. È un venerdì pomeriggio e sono al dormitorio da solo, il campionato di football ormai è finito, Kennedy è a casa e io sto sistemando la veranda ripulendo il caos che abbiamo lasciato ieri sera. 

Ormai, passiamo sempre più spesso le serate qui dentro a dipingere e parlare, mangiamo sul pavimento e ci baciamo un sacco. Questo posto inizia quasi a piacermi, a somigliare a una casa. 

Chiudo la porta e avanzo verso la porta d'ingresso, so che mio padre ha le chiavi ma decido di aprirgli io. È appena tornato dal suo viaggio di lavoro in Europa, Meredith mi ha detto che ha saputo da Amelia che inizierà presto la campagna elettorale e che quindi viaggerà soprattutto negli Stati Uniti. 

Mi viene da vomitare, sul serio. Apro la porta e lui mi fissa come se fosse infastidito dalla mia presenza, alle sue spalle c'è una delle sue guardie del corpo ma gli chiudo la porta in faccia. Non faccio in tempo ad aprire la bocca, che il suo pugno mi colpisce dritto in viso. Il dolore esplode così forte che mi scappa un gemito, abbasso lo sguardo sulle mie mani e il sangue mi macchia le dita.

«Possibile che con te non c'è niente che funzioni?» sbotta.

«Ma che cazzo di problemi hai?»

Mi colpisce di nuovo e sento il labbro spaccarsi. Potrei gonfiarlo di botte, cazzo. Anche stavolta però non riesco a reagire, mi rannicchio contro il muro e lo fisso negli occhi. Il sangue mi cola sulla guancia e sul mento mentre lui mi fissa con disprezzo.

«Riesci a comportanti come una persona normale?» sibila.

«Si tratta della politica adesso?»

Mi tampono il labbro con la maglietta e sibilo per il bruciore. Papà mi coglie alla sprovvista, tirandomi un calcio nello stomaco. Cristo, voglio ammazzarlo. Mi piego in due e lo fulmino con uno sguardo truce, avrò male per giorni.

«Prova a sfidarmi di nuovo, stronzo, e ti farò pentire di essere l'unico gemello rimasto».

Mi raddrizzo e sento la rabbia scorrermi dentro.

«Mettimi ancora le mani addosso e chiamo quella giornalista di Atlanta Today che voleva intervistarmi dopo la morte di Amy. Le racconto di te che mi pesti perché sono gay, di te che hai pagato un pedofilo solo perché era un uomo».

Mi deride e allaccia le braccia al petto.

«Un uomo che tu hai circuito perché non sai tenerti il cazzo nei pantaloni».

«Un po' come te, a quanto pare».

«Dovresti scoparti una donna, magari raddrizzi quel cervello malato che ti ritrovi».

Stringo i pugni lungo le cosce.

«L'ho fatto!» urlo. «L'ho fatto solo per te, perché volevo che mi amassi. Non ho fatto altro che cercare di piacerti da quando sono nato».

Mi rendo conto che è spaventosamente vero. Tutti noi Milestone non abbiamo fatto altro che cercare di guadagnarci il suo affetto, fallendo miseramente. Mio padre distoglie lo sguardo.

«L'amore...» borbotta. «Pensi ancora che il mondo si regga sull'amore? Chandler, cresci».

Affondo le unghie nei palmi e il dolore mi aiuta a mantenere la calma.

«Cosa vuoi da me?»

Torna a guardarmi negli occhi e mi rannicchio in un angolo quando si fa avanti. Sono proprio uno sfigato, dovrei colpirlo e farla finita con questa storia. Sono pieno di cicatrici e sono tutte sue, la prova del fatto che ha saputo solo odiarmi.

Love, KennedyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora