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KENNEDY

Sollevo la testa dal banco e sussulto quando mi trovo davanti Chandler con il viso tumefatto. Ha gli occhi neri e il naso gonfio, lui mi fulmina con lo sguardo e si siede accanto a me. 

Tira fuori l'album da disegno e lo getta sul banco, poi prende le matite dall'astuccio e le lascia cadere sul foglio. 

Dobbiamo lavorare ai ritratti, quindi passeremo la lezione di oggi concentrati sul progetto che dovremo consegnare per le vacanze invernali.

Non riesco a togliermi dalla testa il nostro scambio di messaggi e quello che ho fatto immaginando lui che, in quel momento, faceva lo stesso ad Atlanta. 

Non sono sicuro che masturbarmi pensando a lui sia il modo migliore per schiarirmi le idee, ma sto iniziando a capire che forse devo piantarla di farmi tutte queste domande. Più me ne faccio e meno risposte trovo. 

Sollevo lo sguardo dal mio disegno e mi mordo il labbro, qualcuno gli lancia un'occhiata incuriosita ma lui sembra non farci caso.

«Cosa ti è successo?» sussurro.

Chandler prende la matita e inizia a disegnare, i movimenti sono meccanici e le sue spalle sono rigide nella camicia della divisa. So che mi ha detto che non ricorda niente della sera della festa, ma speravo che potesse mettere da parte il suo atteggiamento scontroso.

Non sono stato l'unico a toccarsi l'altra notte, dopotutto.


«Siamo a questo punto, quindi?»

Mi lancia un'occhiataccia, ma non smette di disegnare. Io faccio lo stesso, è arrivato in ritardo e non avremo tutta la lezione per lavorare. La cosa mi da sui nervi, non sta dedicando l'attenzione giusta al progetto e io odio le persone che non si impegnano davvero.

«Quale punto?»

«Con te che non mi parli e fingi di odiarmi, Chandler».

«Non è cambiato niente tra di noi».

Non è vero. Mi hai baciato e io te l'ho lasciato fare, ho abbassato le difese per te. Mi hai guardato negli occhi come se fossi il centro del tuo mondo, mi hai lasciato addosso un altro segno di te.

Non dico niente di tutto ciò, ovviamente.

«Quello che abbiamo fatto...»

«Masturbarsi al telefono non implica niente, Kennedy.  Siamo ancora al punto in cui tu sei un ipocrita, un codardo che non ha il coraggio di ammettere la verità e di lasciarsi andare» sbotta.

Soffoco un'imprecazione. Mi getto un'occhiata intorno e tutti sono concentrati in fitte chiacchierate con il proprio compagno di progetto, non è che dobbiamo dare i fatti nostri in pasto all'intera scuola. Quindi torno a guardarlo negli occhi.

«Non sono l'unico ipocrita in questa storia, Chan».

«Non sono io che ho appena capito come si usa il mio uccello e adesso lo infilo dappertutto, Kennedy».

Mi viene voglia di prenderlo a pugni, anche se credo che ci abbia già pensato qualcun altro. Mi avvicino a lui e il profumo di sapone che si porta sempre addosso mi investe le narici, stringo un pugno sulla coscia e inspiro.

«Non è quello che faccio e poi sono libero di fare quello che voglio, dannazione».

Tutti quanti in questa scuola non fanno che scopare alle feste, io sono arrivato vergine all'ultimo anno e se adesso voglio fare delle esperienze non mi merito di essere giudicato per questo.

Love, KennedyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora