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CHANDLER

Non vengo nell'ufficio di mio padre da più di un anno. Ho la nausea mentre aspetto che la sua segretaria mi dia il permesso di entrare. 

Mi piacerebbe fingere di non sapere per quale motivo c'è una notifica d'arresto per Kayden, ma non sono così stupido. Lo stronzo si è spazientito e ha deciso di darmi una scossa affinché mi muova a prendere una decisione. 

Kennedy è fuori di sé, suo fratello è piantonato in una cella da dodici ore e non riescono a capire per quale assurdo motivo dato che non ha mai violato la condizionale. Invece di essere con lui, me ne sto qui a cercare di parlare con l'uomo che manovra le nostre vite e pensando di poter avere una qualche influenza sulle sue azioni. 

Mio padre non cambierà mai, non tornerà mai indietro. Era una dimostrazione di potere, una prova di quanto lui minacci sempre con un fine.

Mi mordo il labbro e stringo i pugni nelle tasche della giacca di pelle.

«Chandler, tuo padre ti aspetta».

Mi alzo e ringrazio la sua segretaria, abbasso la maniglia e cerco di mantenere la calma. Mio padre è seduto dietro la sua scrivania, i capelli scuri striati d'argento sono perfettamente pettinati. Il completo blu mette in risalto i suoi occhi, la linea forte della mascella. Lo odio, ogni volta che lo guardo mi pervade un senso di disgusto insopportabile.

«A cosa devo la visita, Chandler?»

Mi fermo davanti alla scrivania ma non mi prendo la briga di sedermi.

«Rilascia Kayden Lanscaster».

Non so come diavolo faccia ad avere le mani in qualunque ambito, suppongo che paghi mazzette a chiunque e che possa tornargli comodo. Mio padre ridacchia e stringe le mani sulla scrivania, punta gli occhi nei miei e inarca un sopracciglio.

«Non ho un tale potere».

«Fallo rilasciare» sibilo.

Finge di pensarci su e si picchietta il mento con l'indice.

«Potrei fare qualche telefonata, se solo me ne importasse qualcosa» borbotta. «Se solo mi tornasse utile».

Stringo i pugni così tanto che mi fanno male le mani. Non posso credere a quello che sto facendo, o forse sì. Ho sempre saputo come sarebbero finite le cose, sono nato con questo nome ingombrante e con un padre che lo è ancora di più. 

Riempie ogni singolo spazio della mia vita, mi succhia la vita come un parassita. Non ho mai avuto alcuna possibilità di essere diverso da tutto questo, di essere felice. Prendo un respiro profondo e chiudo gli occhi, mi mordo l'interno della guancia e raccolgo il coraggio poi decido di mettere fine a tutto questo.

«Firmo il contratto».

Mio padre si irrigidisce e mi fissa mettendomi i brividi.

«Non puoi negoziare le condizioni. Sono già stato clemente non imponendoti un matrimonio».

«Vaffanculo» sputo fuori. «Non lo faccio per te, né per questa famiglia. Lo faccio per lui e per Kayden, non posso vivere sapendo che una persona è in carcere per colpa mia».

Lui alza gli occhi al cielo annoiato.

«Inizia ad abituarti all'idea, non è il primo che finisce dentro per colpa nostra».

Soffoco un'altra imprecazione. Papà prende il contratto da una cartellina e me lo porge, insieme a una penna. Guardo tutto come se fosse ricoperto da una sostanza tossica. Lo faccio per Kennedy, ma mi sento come se mi stessi tagliando il cuore in due.

Love, KennedyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora