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CHANDLER

Non mi parla da una settimana e ne ho piene le palle. 

Kennedy viene verso di me con passo di marcia, punta le mani sui fianchi e mi fulmina con lo sguardo. Suo fratello ci fissa incuriosito, ma non accenna a volersene andare. 

È buio, ma non sono molto distante dal portico quindi riesco a vederlo. Si somigliano così tanto che potrei scambiarli per gemelli, quello che mi aveva detto nelle lettere è vero. 

Finalmente riesco a dare un volto alla persona di cui tutti mi parlano da quando sono arrivato in questa scuola. Fisso la sua cavigliera elettronica e Kennedy mi si piazza davanti.

«Cosa guardi?» sibila.

Alzo gli occhi al cielo.

«Datti una calmata».

«Non guardarlo così».

Cristo, abbiamo un fratello iperprotettivo qui. Alzo gli occhi al cielo e mi scosto i capelli umidi dalla fronte. 

Sono le undici di sera e sto correndo per cercare di non pensare alla conversazione che ho avuto con mia madre. Mi ha telefonato per dirmi che Meredith l'ha ufficialmente invitata a passare il Ringraziamento a casa sua e che secondo lei ci farebbe bene. 

Ha deciso di rinunciare al pranzo per i poveri e pensare al bene del suo unico figlio, perché è convinta che passare il Ringraziamento da Meredith farebbe bene a me. Stare con le mie sorelle, dato che ho la fortuna di averne ancora due, è una buona cosa a detta sua. 

Quindi andremo da Meredith. Non voglio stare con loro, non voglio riprendere la conversazione che ho lasciato in sospeso con mia sorella. Dopo la morte di Amy ho cancellato Meredith e Amelia dalla mia vita, mi sono convinto di avere avuto solo una sorella e che dopo di lei nessuna avrebbe mai potuto cercare di ricoprire quel ruolo. 

Mamma mi ha detto che Amy è la mia gemella e c'è una differenza enorme, nessuna sarà mai come lei. Lo so bene, sto imparando quanto difficile sia accettarlo. Non posso credere che mamma sia disposta a trascorrere del tempo con le figlie di mio padre, probabilmente l'alcol le sta dando alla testa.

«Cosa ci fai qui?»

La voce di Kennedy mi riporta alla realtà. Sospiro perché non lo so. Mi sono ritrovato qui, forse ci sono venuto perché mi irrita il modo in cui mi evita e inconsciamente volevo vederlo. Non so perché sono qui, onestamente, e non so cosa si aspetta da me.

«Mi stai evitando di nuovo?»

Si getta un'occhiata alle spalle, suo fratello è ancora lì e ci sta fissando. Indica il marciapiede e io lo seguo in silenzio. Nemmeno io muoio dalla voglia di avere un pubblico in questo momento.

«Non ti sto evitando» riprende a parlare.

Inarco un sopracciglio e lui sbuffa. Affonda le mani nella tasca della felpa e punta lo sguardo sulle sue scarpe da ginnastica. Giriamo in una strada secondaria e sbuchiamo in un piccolo parco recintato con alcuni tavoli da pic-nic sotto degli alberi. 

Kennedy apre il cancello e si dirige al tavolo più appartato, non mi sfugge che abbia scelto proprio quello. Non vuole che qualcuno lo veda con me, vorrei arrabbiarmi ma non posso farlo quando io temo costantemente di essere visto. Sono comunque deluso, ma non glielo dico.

«Smettila di dire cazzate, Kennedy».

Allarga le gambe e io mi ci infilo in mezzo. Stringe il bordo del tavolo tra le dita e vedo le nocche sbiancare.

Love, KennedyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora