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CHANDLER

Mi viene da vomitare, tanto per cambiare. Da quando Kennedy è uscito dalla mia vita non faccio che sbronzarmi e vomitare. Salto continuamente la scuola perché ho i postumi, poi mi rimetto in sesto per seguire le lezioni e correre ai comizi di mio padre. 

Mi vesto bene, stringo mani e regalo sorrisi. Poi torno qui e apro un'altra bottiglia, un altro diario e il tempo smette di scorrere. Sono passati alcuni giorni da quando è venuto da me, ero ubriaco e non mi ricordo bene quello che ci siamo detti ma ho l'assoluta certezza di essere stato definitivamente messo da parte dato che si comporta come se non esistessi. 

Josh è passato a trovarmi oggi, vuole affrontare il mio problema come io ho fatto con lui ma non sa che per me è tutto inutile. La mia testa è davvero fallata come dice mio padre.

«Chandler, cosa sta succedendo? Hai litigato con Kennedy?»

Josh si siede accanto a me sugli scalini del portico e io mi accendo una sigaretta. Bere e fumare, non faccio altro. Il mio umore è così nero che non riesco neanche ad alzarmi dal letto la mattina, è tutto uno sforzo enorme. 

È come se avessi un sasso legato al collo, come se stessi affogando nell'acqua gelida. Non c'è niente di buono in me, nella mia vita e nel mio futuro. 

L'unica cosa buona della mia vita è finita. Kennedy non mi rivolge neanche più il saluto e Amy è morta. Non ho nessun motivo per comportarmi come se il mondo fosse un bel posto in cui vivere.

«Ci siamo lasciati».

«Questo l'avevo capito».

Rimango in silenzio e osservo la cenere cadere tra i miei piedi, l'aria fredda di marzo mi fa rabbrividire ma rimango immobile.

«Va tutto bene» lo rassicuro.

Quante volte ho pronunciato queste parole? Almeno mio padre non mi ha più messo le mani addosso, ma durerà solo fino a quando ne avrà voglia. Prima o poi mi colpirà ancora, ritornerò ad essere il figlio di cui si vergogna.

«Non credo che bere fino a farti scoppiare il fegato sia il modo giusto di affrontare la rottura. Non che io ne sappia qualcosa».

«Sto bene, Josh» ripeto.

«Ma se non dovessi stare bene, ricordati che puoi parlare con me».

Annuisco e prendo un altro tiro dalla sigaretta. Josh si alza e si allontana con le mani in tasca.

«Chiamami se hai bisogno di qualcosa. Dico sul serio, Chandler. Io e Betty ci siamo».

«Betty, eh?»

Alza le spalle e accenna un sorriso. Scuoto la testa e lo osservo salire sulla sua auto e uscire dal cortile. Rimango seduto al freddo per un po', poi decido di rientrare. 

Devo partire per un altro comizio nel fine settimana quindi devo muovermi a leggere i diari di mia sorella. 

Ogni volta, inizio a bere dopo poche pagine e finisce che sono troppo ubriaco per continuare. Non so perché mi faccia soffrire così tanto, so solo che da quando Amy ha undici anni – nelle pagine che leggo – percepisco un'inquietudine profonda e lacerante. 

C'è qualcosa che non ha il coraggio di dire e che non può essere niente di buono. Rientro e torno in camera mia, mi butto sul letto e afferro il diario che stavo leggendo.

Amy e io abbiamo appena compiuto dodici anni e qualcosa mi dice che sto per scoprire qualcosa che non mi piacerà per niente, le ultime pagine erano così cupe da mettermi i brividi.

Cara Amy,

oggi è tornato. Ne parli solo perché non farlo ti sta facendo diventare pazza, ma sai che se qualcuno scoprisse questa cosa, succederebbe un bel casino. Dice che non lo devi dire a nessuno, che è il vostro segreto e ti rendi conto che è il primo segreto che non dici a Chandler. Non glielo puoi dire perché non lo sopporterebbe. Stringi i denti, sopporta la vergogna e sorridi. È così che la mamma dice che vanno combattuti i giorni brutti, così tu combatterai i tuoi.

Love, KennedyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora