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CHANDLER

Dopo l'episodio in corridoio, torno a casa e bevo. Vado avanti così per qualche giorno, fino a quando mio padre non mi telefona per avvisarmi che mi vuole a un ricevimento. Non capisco neanche di cosa si tratta, ma siccome ho firmato un contratto ci devo andare. 

Mi sveglio dopo essere finito al tappeto per il mix di alcol e antidepressivi, mi faccio una doccia e mi sforzo di mangiare qualcosa anche se lo stomaco protesta e vorrebbe rovesciarsi su se stesso. Torno a casa mia e mi preparo, indosso un completo di Armani e mi sistemo i capelli. 

Non parlo con nessuno, mi viene da vomitare ogni volta che i miei occhi incontrano la porta della stanza di Amy o mio padre. Il ricevimento si svolge in un hotel di lusso in centro, si tratta di una raccolta fondi per l'ospedale pediatrico della città e faccio una donazione attingendo al fondo di mio padre. 

Sono seduto accanto alle mie sorelle, lui è con mia madre insieme allo staff della campagna elettorale. Lo guardo e il bisogno di colpirlo mi fa venire voglia di bere, dato che non posso ancora agire. Passo la serata a scambiare chiacchiere di circostanza con persone che non ho idea di chi diavolo siano. 

Ho rifiutato le avances di una decina di ragazze, non so se le avesse incaricate mio padre. Mi viene la nausea solo a pensarci.

«Hai ricevuto delle risposte dai college?»

È Amelia quella che parla. Ci metto un attimo a realizzare che sta parlando con me, sono così sorpreso che la fisso senza parlare. Vorrei chiederle perché ha il computer di Amy, ma mi mordo la lingua.

«Non ancora».

«Studierai economia?»

«No».

Beve un sorso d'acqua e si scosta i capelli scuri dal viso, è bellissima in quell'abito color smeraldo. Meredith mi lancia uno sguardo d'intesa e io prendo un respiro profondo, ho l'impressione che stia puntando troppo sulla mia capacità di controllarmi. Non sono sicuro che sia così brillante, dopotutto.

«La compagnia ha bisogno di tutti noi» continua Amelia.

«Non me ne frega niente della compagnia, Amelia» borbotto. «Non voglio avere niente a che fare con tutto questo».

«Sei sempre così ingrato, mi domando cosa ci sia di sbagliato in te».

«Forse non sono io quello sbagliato, dopotutto» sbotto.

Mi alzo e lancio il tovagliolo sul tavolo. Mi incammino verso i bagni e stringo i pugni in tasca. Vorrei bere fino a dimenticarmi tutto quanto, cazzo. Odio questa famiglia, questa vita e me stesso perché non sono mai abbastanza bravo in niente. Non sono bravo nemmeno a vivere come mi pare, a vendicare mia sorella e farmi giustizia. 

Spingo la porta del bagno e raggiungo i lavandini, apro il rubinetto e mi chino per sciacquarmi il viso. Prendo una salvietta di carta e mi asciugo, la getto nel cestino e quando mi guardo di nuovo allo specchio mi irrigidisco. Nick è alle mie spalle, muove un passo avanti e mi intrappola contro il ripiano. Preme il petto contro la mia schiena.

«Che cosa ci fai qui?»

Lancio uno sguardo alla porta e sento il battito accelerare, se qualcuno ci becca tutti i miei sforzi per tenere Kennedy al sicuro andranno a quel paese.

«Sono stato invitato».

Sbatto le palpebre in preda alla confusione, Nick fa scorrere una mano sulla mia camicia e scivola in mezzo alle mie gambe. Preme le labbra sul mio collo e mi guarda attraverso lo specchio.

«Lasciami stare, non ti voglio più».

«Sì? Allora dillo al tuo cazzo, Chandler».

Fisso il soffitto e mi mordo il labbro.

Love, KennedyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora