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CHANDLER

Kennedy è nel mio letto, mezzo nudo e non sta dando di matto. Ci siamo baciati, toccati e baciati ancora e lui è qui come se la cosa non lo disturbasse neanche un po'. 

So che probabilmente domani se ne pentirà, tornerà a fingere di non provare niente per me in pubblico e sarà insieme a lei, ma oggi è con me. 

Nel giorno che odio di più durante l'anno, mentre io e mia sorella compiamo diciotto anni. Io qui, tra le sue braccia, e lei sottoterra insieme al freddo e alla sua solitudine. Mi sono sforzato di mangiare il panino che mi ha preparato, ho mandato un messaggio a Meredith per rassicurarla. Le ho detto che Kennedy mi ha trovato, che sto bene e che non si deve preoccupare per me. 

So che ha telefonato a scuola e ha chiesto che tutte le comunicazioni ufficiali su di me siano inviate a lei prima che ai miei genitori e la cosa mi commuove. Voglio così tanto che abbia il suo bambino, che se potessi renderlo possibile in qualche modo farei qualunque cosa per farlo accadere. 

È una mamma fantastica, lo so perché è così che la vedo quando si prende cura di me. Come se fosse un po' mia madre.

Kennedy traccia la linea della mia mandibola con le dita e mi fissa negli occhi, ho la fronte premuta contro la sua. Mi piace il modo in cui mi tocca, lentamente come se volesse memorizzarmi e avesse paura di farmi male. 

Nessuno mi ha mai toccato così, come se fossi davvero importante. Sono ancora sorpreso da quello che abbiamo fatto, lui sembra un po' stralunato al momento ma non sta dando di matto. Ho alzato il riscaldamento e siamo tutti e due a petto nudo, la mia mano cammina sulla sua schiena pigramente.

«Non posso credere che mia sorella ti abbia telefonato».

«Io non posso credere che tu abbia parlato di me a tua sorella».

Mi viene da ridere. Lui non è il mio segreto, non lo è mai stato.

«Non sei il mio segreto, Kennedy».

«E tu non sei il mio».

«No? Mi sembra esattamente il contrario».

Sospira e il suo naso ora sfiora il mio, le mie dita si arrampicano sulle sue spalle. Ha la pelle diafana, ricoperta di piccole lentiggini sulle spalle e sulla schiena. Le mie mani solcano i suoi muscoli, ne tracciano gli avvallamenti.

«Non lo sei, è che io non so chi sono, Chan. Non lo faccio per ferirti, è che sono confuso».

«Hai detto che ti piaccio, quello che è successo oggi ti è decisamente piaciuto».

Si morde il labbro e io lo libero da quella morsa con il pollice.

«Sì».

«Sì cosa?»

Sbuffa e mi viene da ridere.

«Mi è piaciuto e mi piaci tu, non è questo il punto».

«E qual è allora? Non basta?»

Sono davvero confuso adesso. Kennedy prende un respiro profondo e si alza a sedere, punto il peso sul gomito e lo fisso negli occhi verdi-azzurri. 

Sono bellissimi, riesco a leggerci dentro un sacco di emozioni. Io non ho neanche bisogno che parli, lo sento e basta.

«Ho ragionato molto su tutta questa faccenda. Io, Eve, tu... quello che sento».

«E?» lo incalzo.

«Credo di essere bisessuale» sputa fuori.

Love, KennedyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora