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KENNEDY

Apro gli occhi e mi irrigidisco quando sento un braccio che mi circonda la vita. Abbasso lo sguardo e i tatuaggi di Chandler sono in contrasto con la mia pelle. Mi torna in mente tutto quello che abbiamo fatto ieri sera e sento il battito accelerare. 

Sposto il suo braccio mentre spero di non svegliarlo e mi alzo, mi infilo la camicia e valuto se lasciargli un messaggio. Dorme ancora, il viso premuto contro il cuscino e i capelli neri arruffati. Non sto scappando, ma devo andare. 

Decido di scrivergli un messaggio più tardi, mia madre mi ha già chiamato una decina di volte e devo correre a casa. Esco dalla sua stanza e imbocco le scale, ho un'ora di tempo per farmi una doccia e prepararmi per andare a scuola ma credo che la metà del tempo la passerò a discutere con mamma. 

Si è già infuriata per la rissa con Mitch, mi ha minacciato di spedirmi a New York a vivere con mio padre, come se la cosa potesse anche solo lontanamente spaventarmi. Ho desiderato vivere con lui dal primo giorno in cui se n'è andato e non mi è stato permesso, non è che sia una punizione.

Guido verso casa ripensando a quello che è successo con Chandler, al modo in cui le sue mani mi hanno toccato e procurato piacere, al modo in cui le sue labbra mi hanno divorato. Penso a come l'ho toccato io e a come tutto ciò mi sia piaciuto. Il solo pensiero di rifarlo mi fa contrarre lo stomaco, dannazione.

Credo di aver avuto le risposte di cui avevo bisogno, è come se la nebbia che mi avvolgeva si fosse dissipata quando ero con lui, come se non riuscissi a vedere nient'altro che lui e il mondo oltre noi due non esistesse. 

Non mi è mai successo con nessuno, è una sensazione totalizzante. Stare con lui in quel modo significa lasciarsi consumare dai suoi occhi, dalle sue labbra e dalla sua pelle. Pensavo che spingermi oltre con lui mi avrebbe mandato fuori di testa, invece non è successo. 

Mi sono concentrato solo sul momento e sulle sensazioni che provo quando mi tocca, ho spento tutti i miei pensieri e ho sentito. Per la prima volta, dopo mesi, ho sentito e basta senza vergognarmi di quello che provo ed è stato bellissimo. 

Pensavo che sarebbe stato strano stare sdraiato a letto in quel modo con un ragazzo, toccarlo e farmi toccare da lui, ma non è così. È stato tutto molto naturale, come se fosse una cosa giusta. Parcheggio nel vialetto di casa mia e corro in casa, non faccio in tempo a richiudermi la porta alle spalle che mia madre mi piomba addosso.

«Dove diavolo sei stato, Kennedy?» urla.

«Calmati, sto bene».

Mi tolgo le scarpe e la supero per prendermi un bicchiere d'acqua. Non ho mangiato niente per quasi un giorno e sto morendo di fame. Prendo un biscotto dal barattolo sul bancone e me lo infilo in bocca. Mamma mi raggiunge e punta i palmi sul bancone.

«Dove sei stato? Cosa ti sta succedendo? Sparisci per quasi due giorni, esci sempre più spesso e non mi parli più. A scuola fai a botte, vai continuamente alle feste... cosa ti sta succedendo?»

Sembra molto preoccupata e odio farla soffrire, non è mia intenzione.

«Mamma, sto bene. Mi dispiace se ti ho fatto preoccupare, ma ero con un amico. Sua sorella mi ha chiesto di aiutarlo in un momento difficile, era l'anniversario della morte di sua sorella e il suo compleanno» spiego.

Lei aggrotta la fronte e sbatte le palpebre.

«Ma è terribile».

Lo so.

«Mi dispiace se ti sto facendo preoccupare, non era mia intenzione».

Annuisce e abbassa lo sguardo sul bancone, prendo un altro biscotto e me lo infilo in bocca.

Love, KennedyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora