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KENNEDY

Quando il giorno dopo mi sveglio e trovo un messaggio di Chandler che mi chiede di andare in ospedale, mi insospettisco un po'. Ho sentito Elizabeth proporsi di riportarlo a casa, quindi non capisco per quale motivo mi stia chiedendo di andare lì. 

Mi infilo una maglietta e un paio di pantaloncini e mi metto alla guida, ci metto circa un'ora per raggiungere l'ospedale e un altro quarto d'ora per trovare parcheggio. Quando salgo nel reparto in cui è ricoverato, l'infermiera all'accettazione mi riconosce e mi fa andare da lui senza troppi indugi. 

Busso piano e apro la porta quando sento la sua voce, entro nella stanza e rimango sorpreso di non trovare sua madre. Chandler è seduto sul letto con addosso una maglietta che lascia scoperti i tatuaggi sulle braccia e un paio di pantaloncini, indossa già le scarpe. 

Un paio di Vans così consunte che nessuno crederebbe mai di avere davanti uno con dieci milioni di dollari sul conto. Mi avvicino e mi chino per premere le labbra sulle sue, ricambia il mio bacio e si allontana per primo.

«Ho bisogno di parlarti di una cosa».

«Non potevi farlo a casa? Stai per essere dimesso».

Deglutisce e abbassa lo sguardo sulle sue mani.

«No, perché non tornerò a casa, Kennedy».

Non capisco cosa intenda, lo fisso in preda alla confusione.

«Vai a stare un po' da tua madre?»

Glielo ha chiesto diverse volte, ma ha sempre rifiutato a causa della rabbia che sente ancora verso di lei.

«Non vado da mia madre».

Sono ancora più confuso ora.

«Allora dove vai?» borbotto.

Chandler rimane in silenzio per un po', i suoi occhi sono fissi sulle mani che tiene unite sul suo grembo e io sento il mio battito accelerare.

«Mi ricoverano in un centro in cui potrò essere curato una volta per tutte» sputa fuori.

Mi irrigidisco e lo guardo, cercando di capire se mi stia prendendo in giro. È terribilmente serio e non ha ancora alzato lo sguardo verso di me.

«Cosa stai dicendo?»

«Non farmelo ripetere, Kennedy. Ti prego» sussurra.

Batto le palpebre e cerco di scacciare la confusione, ma non ci riesco.

«Una specie di ospedale psichiatrico?» farfuglio.

Fa una smorfia e annuisce.

«Non è stato facile prendere questa decisione, ma io non sto bene, Kennedy» mormora. «Se torno a casa, le cose precipiteranno di nuovo e forse la prossima volta non arriverà il personale di Meredith a salvarmi».

Sento le lacrime accumularsi sulle ciglia e cerco di non lasciarle scivolare sulle guance, ma fallisco miseramente.

«Ma tu vuoi salvarti, vero?»

Annuisce e stringe la mia mano nella sua.

«Voglio salvarmi, per questo ho deciso di farmi aiutare».

«Dove ti ricoverano?»

Prende un respiro profondo e rafforza la presa sulla mia mano.

«Kennedy...»

Mi volto di scatto e sento il terrore strisciarmi dentro.

«Mi stai lasciando? È una stronzata, lo sai che non servirà a migliorare le cose. Siamo già stati lontani e non ci ha fatto altro che male, non puoi tenermi lontano in questo modo».

Love, KennedyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora