CHANDLER
All'inizio di febbraio mio padre parte per l'est Europa e io torno a casa, Kennedy viene con me. Partiamo venerdì subito dopo la fine delle lezioni e un'ora dopo siamo a casa mia, nella gabbia dorata in cui sono cresciuto e dove mia sorella è morta.
Supero il cancello e fermo l'auto nel cortile, Kennedy fissa la fontana al centro del piazzale con gli occhi sgranati e le labbra schiuse.
Quel figlio di puttana di mio padre ama fare sfoggio della sua ricchezza e ricordare a chiunque venga qui che può comprare anche le loro vite. Scendo dall'auto e prendo i due borsoni dal bagagliaio, Kennedy ha detto a sua madre che avrebbe passato il weekend fuori con degli amici e lei non ha fatto domande.
Dice che le ha detto che ha baciato un ragazzo e che forse lei sa di noi, sono sorpreso che non si sia presentata da me e fare una sceneggiata.
Kennedy scende dall'auto e si guarda intorno con gli occhi spalancati, so come deve apparire questo posto dall'esterno. Sembra quasi un set cinematografico per quanto è perfetto, eppure io sono cresciuto qui e so che è tutta apparenza.
«Pronto?»
Annuisce e si scosta i capelli biondi dalla fronte, gli sono cresciuti un po' ma a me piacciono così. Ci posso affondare le mani dento quando mi bacia.
«Sì, credo» borbotta. «E io che credevo di essere ricco».
Sbuffo e mi incammino verso la porta d'ingresso, lui mi segue in silenzio troppo rapito dallo sfarzo che ci circonda. Raggiungiamo la porta principale e mi fermo accanto al tastierino, digito il codice e il click mi fa sospirare di sollievo.
Schiudo l'uscio e indico l'ingresso con un cenno del capo. Kennedy impreca tra le labbra fissando i pavimenti in marmo e l'enorme scalinata al centro dell'atrio, i suoi occhi si soffermano anche sul lampadario di cristallo che pende dal soffitto.
«Wow» mormora. «Sei proprio miliardario, eh?»
«Mio padre lo è, ricordi?»
Arriccia le labbra in una smorfia e si arrotola le maniche della camicia sui gomiti, le sue guance si imporporano.
«Datti una calmata, è una casa e basta».
«Mi sto rendendo conto che sei davvero miliardario, sto sudando».
Sbuffo e lo spingo ignorando le sue proteste, i suoi occhi percorrono i quadri appesi alle pareti dell'atrio e si morde le labbra.
Sì, sono tutti originali, ma non abbiamo il tempo di parlarne perché mia madre sbuca fuori dal corridoio laterale e mi getta le braccia al collo.
«Il mio amore grande, la mia luna piena» esclama, stringendomi forte.
Proprio come non fa quando c'è papà. Kennedy fa un passo indietro e ci osserva in silenzio, io sollevo mamma tra le braccia e la stringo forte.
Profuma di fiori e quando mi bacia la guancia il suo alito sa di menta, gli occhi marroni sono presenti e lei sembra sobria. Ne sono sollevato.
«Disturbiamo?»
«Non disturbi mai, Channy. Questa è casa tua» mi ricorda.
Già, ma non la sento così da un pezzo. Non ci si può sentire a casa nel posto in cui si ha paura di essere picchiati, mio padre l'ha fatto sempre qui a parte una volta che ha osato farlo in auto davanti al nostro autista.
Credo che lui sia rimasto sconvolto, papà non l'ha più rifatto in pubblico. Anche se lo faccio arrabbiare, si trattiene fino a quando non arriviamo almeno in garage.

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Love, Kennedy
Novela JuvenilKennedy Lancaster è stato cresciuto per essere l'ombra di suo fratello Kayden, ha passato tutta la vita cercando di proteggerlo dai pericoli che non poteva cogliere a causa della sua malattia e cercando di essere invisibile agli occhi degli altri. A...