SETA

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21 novembre 1850 -

Il mattino si sveglia freddo e immobile. La luce dell'alba non riesce a scaldare l'aria gelida che si insinua tra le finestre del palazzo. Mi alzo presto, dopo un sonno agitato popolato da sogni di Michael. Lo vedo nei miei pensieri, i suoi capelli biondi e lucenti, il sorriso che illumina ogni angolo buio della mia anima. Ricordo il nostro ultimo incontro, nascosti dietro un colonnato di Palazzo Carignano. Ci siamo tenuti stretti, consapevoli che quel momento era fragile, che il mondo non ci avrebbe permesso di vivere il nostro amore alla luce del sole. Dio, quanto vorrei accarezzargli il viso, sentire il calore delle sue mani e svegliarmi ogni mattina al suo fianco.

La casa è già animata. Il rumore dei domestici al lavoro e il vociare della servitù riempiono l'aria. Francesco, il mio cameriere personale, entra con discrezione nella mia stanza. «Signore, vostra madre è già sveglia ed è di buon umore.»

«Sappiamo entrambi il motivo, caro Francesco,» rispondo, indossando il mio abito. Francesco annuisce con un sorriso trattenuto, consapevole che la partenza di Amalia ha portato un'insolita serenità alla Contessa.

Attraverso i corridoi, raggiungo il salotto dove mia madre sta discutendo con Elisabetta, la sua cameriera personale. Entro senza annunciare la mia presenza, e la trovo seduta, il volto illuminato da un'espressione di soddisfazione. La sua felicità è evidente: Amalia è partita, e il suo piano procede senza intoppi.

«Buongiorno, madre,» dico, avvicinandomi.

«Buongiorno, Alessandro,» risponde lei, il sorriso intatto. «Finalmente tua sorella è lontana da Torino. Ora possiamo respirare.»

«Respirare?» ribatto con un tono che tradisce la mia irritazione. «E pensate che io non debba respirare, madre? Forse il vostro disprezzo per il mio ciondolo vi permette di ignorare anche me.»

Il sorriso della Contessa si spegne. «Quel ciondolo rappresenta imprudenze contro natura. Non posso permettere che distruggano la nostra famiglia. Tuo padre, benché fragile, sarebbe annientato dalla vergogna. E se il Re lo scoprisse, sarebbe la tua fine.»

«Eppure io vivo, madre,» rispondo con calma, ma sento il sangue ribollire. «A differenza di voi, io so cosa significa amare.»

La Contessa si irrigidisce. «Alessandro, non confondere l'amore con la follia. Io amo questa famiglia. Tutto ciò che faccio è per proteggerla.

Finalmente, tua sorella è a Hall Park», dice con un tono di sollievo, poggiando la tazzina di porcellana sul piattino. «Adesso le cose saranno più semplici.»

Alzo lo sguardo verso di lei, senza nascondere il mio fastidio. «Per te, forse. Per Amalia, non credo.»

Lei mi guarda, impassibile. «Non capisci, Alessandro. Lei non è come te. Ha bisogno di essere guidata, indirizzata. Altrimenti, finirebbe per distruggere tutto ciò che abbiamo costruito.»

«In che senso, madre?» chiedo, sapendo già dove vuole arrivare.

«Quel Pietro», dice, con una smorfia di disprezzo. «Sai come si sono conosciuti? Passeggiava al Parco del Valentino, con quella sua cameriera che si comporta più da confidente che da serva. Amalia ha fatto cadere un guanto, un gesto apparentemente innocente. Ma io so riconoscere un piano quando lo vedo. Quel ragazzo, quel panettiere, era lì seduto su una panchina. Lei ha recitato la sua parte con una grazia impeccabile.»

Stringo i denti, sentendo la rabbia montare dentro di me. «E quindi? Cosa speri di ottenere pedinandola? Vuoi distruggere anche lei, come fai con tutto ciò che non puoi controllare?»

La contessa si inclina leggermente in avanti, il suo sguardo gelido fissa il mio. «Non ho bisogno di distruggere nessuno. Amalia si è già distrutta da sola, scegliendo quel ragazzo. Io sto solo cercando di salvare ciò che resta della nostra famiglia.»

HO DETTO AMORE  - Il ciondolo segreto -Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora