POV BETH.
Mi alzai di soprassalto, svegliata dal rumore di qualcuno che bussava alla mia porta. Mi scaraventai giù dal letto, scalza, afferrai la mia vestaglia e mi passai una mano tra i capelli arruffati, per districarli dal groviglio del sonno. «Chi è?» Sussurrai appena. «Consegna per Miss Elizabeth.» Storsi il naso. Decisi di aprire il lucchetto e girare la serratura. Non appena aprii, due carrozze occuparono interamente la mia visuale. Due uomini, il cui stemma di una casata che non conoscevo, era ricamato sulla giacca marrone di cuoio, mi fecero un piccolo inchino con la testa e tornarono verso le carrozze. Io rimasi appoggiata sulla porta, stringendomi la camicia da notte addosso, perché il freddo era davvero pungente. I due che avevo visto prima stavano tirando giù da una delle carrozze un baule. Sembrava pesante dall'espressione del loro viso. Era bianco, decorato con dei fiori azzurri. Proprio sull'apertura, una stemma con uno strano simbolo, un leone. Non avevano finito nemmeno di scaricare il primo, quando si aggiunse anche un secondo, più piccolo. «Chi li manda?» Domandai a uno dei due. «Madamoiselle, ci è stato richiesto l'anonimato.» La cosa mi sembrò molto più strana. Erano rari questi gesti di filantropia segreta. «Li carichiamo dentro?» «Si, grazie mille.» Gli feci strada e li poggiarono a terra, poi andarono via. Mi inginocchiai sul pavimento freddo e iniziai ad aprire il più piccolo. Era pieno di monete d'oro. Erano tantissime, una piccola fortuna! Aprii l'altro ed era pieno di libri rilegati con pagine d'oro, vestiti di gran sartoria, gioielli, scarpe. Cercai, rovistai e capovolgetti tutto il contenuto alla ricerca di un indizio, una scritta. Niente, tutto sembrava stato fatto dal diavolo in persona. Con una riservatezza tale da non poter assolutamente risalire all'intestatario. L'unica cosa che forse avrebbe potuto aiutarmi era lo stemma, ma di simili ce n'erano talmente tanti che sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio. Sentii bussare frettolosamente alla porta, di nuovo. «Chi è?» Dissi spaventata da quel rumore improvviso. « Beth, Beth sono tua madre apri la porta ho grandi notizie!» Mi alzai e andai ad aprirle. «Beth, ho delle grandi novità!» "Questo lo avevo intuito".
La sua attenzione si spostò sui bauli che erano poggiati a terra. «Cosa sono?» «Bauli.» Dissi ironicamente. Lei mi lanciò un'occhiata tremenda che mi diffidò dal fare altra ironia. «Chi li manda?» Mi strinsi nelle spalle. «Un benefattore anonimo.» Qualcosa dentro di me mi suggeriva che fosse opera di Bash, come gesto di ringraziamento nei miei confronti. In effetti, mi aveva detto che suo padre era molto ricco. Tutto ciò avrebbe avuto senso allora. Mia mamma, estasiata dal luccichio di quelle monete d'oro che riempivano il baule, si avvicinò rapita, come se avesse appena ascoltato il canto di una sirena. «Qual'era la notizia madre?» «Tra due giorni partirai per la corte francese, sei la nuova cuoca.» Disse in modo apatico, mentre tuffava una mano nelle monete, facendole scivolare tra sue dita come sabbia e ascoltando il loro grazioso tintinnio. Spalancai la bocca. Cosa? Come? Quando? Trentamila domande affiorarono nella mia mente, per morire sulle mie labbra. «Madre, che cosa state dicendo?» Si alzò, sistemandosi lo scialle. «Quello che hai sentito, figlia mia, sei stata presa per diventare la nuova cuoca reale. Non sei felice?» Disse con gli occhi che le sorridevano. «Sono spaventata, madre. Sarò sola, capite?» Si avvicinò a me e mi afferrò per le spalle. «Non sarai mai da sola, ci saranno tante persone con te.» «Persone che non conosco madre.» Inveii contro di lei, scrollandomi dalla sua presa. «Prendete questo baule d'oro. È vostro. Quando lavorerò questi soldi non mi serviranno, mentre a voi saranno molto d'aiuto. Prendetelo.» «Beth, non posso..» «Insisto.» Dissi fredda e risoluta. «Va bene.» Acconsentì mia madre, chinando la testa. «Manderò più tardi tuo padre a prenderlo.« Non mi voltai, e lei andò via. Mi piegai sul baule più grande. C'erano quattro vestiti dentro. Uno blu, uno rosso, uno verde e uno nero. Erano una meraviglia. Sorrisi allo sciocco pensiero che fossero stati dei regali di Bash. E una domanda mi sorgeva spontanea. Chi era realmente quell'uomo così affascinante che si era intrufolato in casa mia, scombussolando tutto il mio equilibrio? Forse non avrei mai ricevuto una risposta a quella domanda così intricata. Trascinai il baule fino nella camera da letto, ed appesi i vestiti nel mio armadio. Sistemai scarpe, gioielli e libri. Mi sedetti sul letto, poi mi stesi, fissando il soffitto. Pensavo alla mia permanenza alla corte francese. Che Dio onnipotente potesse venirmi in soccorso, avevo paura. Si dicevano tante cose della Regina Catherine. Che era una donna pericolosa, scaltra ed estremamente suscettibile. Mi portai le mani al collo, come un riflesso incondizionato di ciò che mi sarebbe potuto accadere se avessi sbagliato qualcosa. E se mi avesse presa come sua complice in qualche crudele assassinio, chiedendomi gli aggiungere del veleno ai miei normali ingredienti? Mi prefiguravo già il peggio. Non mi era mai allontanata da casa mia, e mi sentivo orrendamente inesperta e stupida. Mi portai le mani al viso e mi lasciai andare in un lungo sospiro. Decisi di non lasciarmi abbattere da quei pensieri fin troppo pessimisti e mi misi a cucinare. Verso ora di pranzo passò mio padre a prendere il baule. Come al solito scherzò con me. Adorava prendermi in giro, ed io adoravo prendere in giro lui a mia volta. Mi vide preoccupata e decise di rimanere un po' insieme a me, tanto per tenermi compagnia. Fattasi una certa ora, si caricò il baule sulle spalle e decise di andarsene via. Così, sprangai la porta e accanto al braciere aprii uno dei libri che mi erano stati regalati. Iniziai a sfogliarlo così, più per curiosità che per voglia di leggere. Ad un certo punto dal bosco si sentì un fischio, molto prolungato. Fu talmente acuto e stridulo che mi spinse a portarmi le mani alle orecchie per attenuare quell'orrendo suono. Durò per qualche secondo, o per qualche minuto, non saprei dirlo con esattezza. Posai il libro e mi alzai, andando vicino alla finestra. Alzai gli occhi verso il cielo, ed era buio, senza stelle. Il vento era forte e piegava gli alberi sotto le sue pesanti sferzate. Il bosco era deserto. Spaventata dalla situazione cupa che si era creata intorno a me aprii la porta e presi la lanterna che era appesa fuori, appena sopra di essa. Chiusi bene la porta e chiusi anche le tende, per paura che la mia mente tra la suggestione e la paura potesse giocarmi brutti scherzi. Tutto taceva intorno a me. Adesso si era fermato anche il vento. L'atmosfera era diventata pesante e surreale. Un silenzio innaturale era calato all'improvviso su casa mia. Un urlo agghiacciante arrivò a squarciarlo in un secondo. Poi un altro, e un altro ancora. Un rumore di unghie che graffiavano sulla mia porta. Non capii nulla di quello che stava succedendo. Presi il bastone di ferro che avevo sempre a portata di mano e lo strinsi forte. I graffi sulla mia porta continuavano, sempre più penetranti. Un ruggito, forse un ringhio spaventoso provenne dall'esterno. Il mio cuore era diventato un orologio impazzito, le mie gambe due pezzi di ghiaccio. Cercavo di non fare rumore, ma il mio respiro era spezzato e pesante e le lacrime avevano cominciato a bagnarmi il viso. Ero sola, completamente sola contro qualcosa di cui ignoravo la natura. Prima che potesse sfondare la porta aprii la botola e scesi giù, senza accendere nemmeno una luce e portai il bastone con me. Sentivo i lamenti crescere sempre di più, e non avevo idea dell'entità in cui mi ero imbattuta. Poi il silenzio. Tesi l'orecchio per sentire un rumore, un respiro, qualcosa che mi facesse capire se fosse veramente andato via. Un rombo sordo mi spinse con la schiena verso il muro e mi portai una mano alla bocca, per impedirmi di urlare. Piangevo disperata, avevo paura. Aveva buttato giù la porta. Sentivo i suoi passi pesanti tuonare appena sopra la mia testa, ora si allontanavano, ora si facevano più vicini. Pregavo Dio di assistermi, di starmi accanto, chiedevo perdono per i miei peccati, mi dicevo che ero troppo giovane per morire. Ad un certo punto i passi si fermarono proprio sopra la botola dove mi trovavo io. Trattenni il fiato, per paura di poter far rumore. Parole dal significato a me sconosciuto iniziarono a riempire l'aria. Parole che avevo già sentito pronunciare da Bash, ma dette con una diversa cadenza. «Lo so che sei qui sotto.» Disse ad un certo punto una voce che sembrava provenire dall'Inferno. Chiusi gli occhi e mi dissi che era finita. La botola si aprì in un rumore di legno e cardini che volavano via e un uomo con un mantello nero lungo fino ai piedi e un cappuccio fece capolino dallo spiraglio di luce proveniente dal piano di sopra. Denti aguzzi come lame provenivano da quel volto che vedevo a metà, e lunghi artigli neri e ricurvi fuoriuscivano dalle maniche nere e consumate di quella tonaca. Con una furia assurda si precipitò giù da me ed io cacciai un urlo che da troppo aveva taciuto in fondo alla mia gola. I suoi lunghi artigli affilati percorsero viscidi tutto il contorno della mia gola, mentre io ormai in preda ad una crisi di nervi, piangevo incontrollata. «Che cosa vuoi da me?» Dicevo tra i singhiozzi. «Tu sei il mezzo per arrivare a lui.» Disse con una voce metallica, oscura che sembrava appartenere a Lucifero in persona. Mentre lui mi teneva prigioniera in una specie di potere sconosciuto, io ero ormai consapevole di essere allo stremo delle mie forze. Non facevo più resistenza, sapevo che prima o poi avrei ceduto a lui. Ad un certo punto udii lo stesso fischio assordante che avevo sentito poco prima ma più lontano. L'uomo si portò le mani alle orecchie, urlando come un forsennato. Rimase paralizzato per qualche secondo, incapace di fare un singolo passo. Svegliatosi dal torpore, salì rapidamente le scale e sparì. Iniziai a scivolare lentamente verso il pavimento, poggiando la testa verso le ginocchia e lanciando degli urli disperati, misti a lacrime che nessuno mai avrebbe udito. «Beth, Beth! Rispondimi, dove sei?» Sentii una voce provenire dal piano di sopra. Non so quanto tempo passò, se fossero secondi o ore. « Sono qui» mormorai flebilmente. Il viso preoccupato di mio padre fu la prima cosa che vidi dopo il volto di quell'essere che avevo visto tempo prima. Scese rapidamente le scale e mi si sedette a fianco. «Beth, tesoro mio, come stai?» Disse alzandomi la testa. I miei occhi erano gonfi e rossi. La mia bocca livida e la mia pelle bianca come quella di un morto. «Sei ferita?» Mi chiese scrutandomi qua e la. Io scossi appena la testa. Mi prese in braccio e mi porto su, adagiandomi sul letto. Mi raggomitolai su me stessa e chiusi gli occhi. Non ebbi incubi. Credo che quando un incubo lo si viva nella realtà i sogni si fanno da parte perché sanno di non poterti più spaventare.POV BASH.
Ero nel mio letto, stavo cercando di riposare quando sentii un fischio provenire in lontananza dai boschi. Pian, piano si faceva sempre più fastidioso e cresceva al crescere del sibilo del vento. Più aumentava più un brutto presagio si faceva strada nel mio cuore. Corsi alla finestra: era senza stelle. L'atmosfera era delle più cupe. Solo lei era nei paraggi quando si udiva un simile suono, solo lei: l'Oscurità. Infilai frettolosamente gli stivali e presi la giacca che avevo lasciato sulla sedia, precipitandomi verso i cavalli. Al castello tutti dormivano, tranne le guardie che quando mi videro così agitato mi chiesero se avessi bisogno di aiuto, un aiuto che preferii evitare. Presi il mio cavallo e una volta in sella, partii spedito verso i boschi. Conoscevo bene quel luogo infimo e pericoloso, per questo avvertivo tutti gli altri di starne alla larga. Sapevo i suoi pericoli e le sue insidie e andavo preparato sia fisicamente che psicologicamente. L'Oscurità non era lontana e stava facendo del male a chissà chi. Io sapevo come fermarla, ed essendo Pagano di nascita, sapevo quello che dovevo fare e come farlo. Arrivai nel cuore pulsante del bosco un quarto d'ora dopo, nel luogo dove la suggestione prende il sopravvento sul tuo buon senso e ogni elemento presente intorno a te sembra prendere vita. Mi fermai al centro di esso, tirando le briglie del mio cavallo per fermarlo. Dalla mia sacca marrone tirai fuori un corno bianco, perfettamente lavorato. Me lo portai alla bocca e soffiai con tutta l'aria che mi era rimasta nei polmoni. Un urlo agghiacciante squarciò il silenzio del bosco, poi il nulla. Ansimavo, per lo sforzo e la paura. Era tutto buio, se riuscivo a vedere qualcosa era solo grazie al chiarore della luna. Dopo aver accarezzato la testa del mio cavallo, che cominciava a nitrire nervoso, decisi di dargli retta e di tornarmene al castello. Speravo solo che quella notte l'Oscurità non avesse fatto altre vittime.
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Once Upon a Time, a Reign | Completa, in revisione |
FanfictionLa dolce e innocente Elizabeth, figlia di contadini è cresciuta lontana dalla città e dagli sfarzi della corte francese, e il suo unico diletto nella vita è quello di fermarsi ad osservare i paesaggi dalla collinetta della campagna, e delinearne i p...