Capitolo Secondo

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POV BASH.

Mi svegliai in un mare di sudore. Guardai fuori dalla finestra e vidi che era ancora buio.Dalla posizione della luna dedussi che fossero circa le tre del mattino. Mi tirai su a stento, la ferita mi faceva ancora troppo male. Mi guardai attorno per cercare di ricordare dove fossi. Quello non era il castello, assolutamente no. La stanza era piccola e modesta. E Mary.. Mary non c'era. Da quando durante il tragitto caddi da quel dirupo, di Mary non avevo avuto più notizie. Speravo che stesse bene. Speravo con tutto il cuore che l'avessero trovata e l'avessero riportata a corte. Il mio pensiero andò anche a mio fratello, o meglio, il mio fratellastro Francis. Di sicuro quando ci ha visti fuggire insieme avrà pensato ciò che hanno pensato tutti:che eravamo amanti. Ma io sapevo che Mary amava Francis, e sebbene il mio amore per lei fosse così evidente anche agli occhi del mio stesso fratello, lei avrebbe sempre amato lui. La testa mi scoppiava,rimbombava e chiedeva pietà. Mi portai le mani al viso. In un secondo mi ricordai del mio angelo custode, della mia benefattrice,di colei che mi aveva salvato nonostante ignorasse la verità. Non riuscivo a spiegarmi come facesse a non conoscermi. Forse, non si era mai avvicinata al castello. Questo era probabile. Non le avrei detto nulla. Quando sarei stato meglio e sarei tornato al castello le avrei mandato un'ingente somma di denaro, anonimamente, per ringraziarla di tutte le cure che stava avendo per me. Mi alzai, seppur barcollante,e andai alla ricerca di un po' d'acqua. Aprii cautamente la porta e vidi quella minuta ragazza dai capelli castani raggomitolata in una piccola coperta che le copriva solo le gambe. Tremava dal freddo, il braciere si era spento. Mi si strinse il cuore a vedere quanto fosse stata generosa nei miei confronti. Mi inginocchiai accanto a lei e la presi tra le mie braccia, sollevandola. Sebbene la ferita mi pulsasse tantissimo, la adagiai lentamente sul letto. Il dolore mi stava lacerando il fianco. Presi le coperte con cui ella stessa mi aveva coperto e coprii lei. La sua bocca era schiusa, e il suo respiro ora era diventato ritmato e regolare. Presi la sua morbida e minuscola mano e me la portai alle labbra, baciandola. « Se non sei un angelo custode, dimmi tu cosa sei.» Chiusi la porta alle mie spalle e me ne andai a bere. Nonostante avessi sonno, la ferita continuava a pulsarmi sul fianco, e dormire mi era diventato quasi impossibile.Così, senza far rumore, decisi di uscire fuori. Si gelava. L'unica cosa che mi copriva, oltre ai vestiti che Elizabeth mi aveva dato,era una coperta di lana grezza che tenevo avvolta intorno al corpo per ovviare ai violenti brividi di freddo che mi percuotevano.Nonostante però la temperatura fosse così ostile, provai sollievo ad avere le sferzate di vento freddo che attenuavano il mio mal di testa. I miei pensieri andarono di nuovo a Mary, come al solito. Mi ero sempre limitato ad osservarla ridere e scherzare. Solo quel bacio, quando era ubriaca, mi aveva spinto nell'incanto di un momento rubato ad una persona incapace di intendere e di volere. Non fu un gesto vile, solo un gesto di speranza. Quella speranza che potesse suscitare in lei lo stesso tornado che si era scatenato in me. Ma ovviamente, non fu così. I suoi sentimenti erano per Francis. Un fruscio tra gli alberi mi distolse dai pensieri del passato, e mi spinse a focalizzare l'attenzione su quel piccolo sentiero da dove era arrivato. Il fruscio iniziale sembrava essersi fermato, ma ecco,dopo qualche minuto lo sentii ancora più intensamente. «Chi c'è?»pronunciai, e le mie parole si schiantarono contro l'immensità del nulla che circondava quei boschi ghiacciati. Nessuno rispose alla mia eco. Decisi di rientrare, auto convincendomi che tutto ciò che avevo sentito era dovuto alla febbre alta. Sprangai bene la porta e prima di tornarmene sul divano, rientrai nella stanza di Elizabeth per controllare che stesse bene. Per fortuna, sembrava non essersi accorta di nulla, e continuava a dormire profondamente. Rasserenato da quella tranquillità apparente, me ne tornai a letto.

POV BETH.

In quella mattina di Dicembre la luce era quasi assente. Quei pochi raggi che arrivavano nella mia cameretta morivano non appena incontravano il tessuto spesso delle tende. Appena aprii gli occhi mi accorsi che mi trovavo nella mia camera da letto. Mi voltai istintivamente dall'altro lato e Bash non c'era. Mi alzai e notai che ero scalza. «Possibile che non ricordi nulla? » dissi a me stessa. Aprii la porta e Bash dormiva profondamente. Era sudato, ansimava ed era tutto scoperto. Così,recuperai le mie ciabatte, e corsi a prendere un catino con dell'acqua, uno straccio e un asciugamano. Gli alzai il ciuffo che gli ricadeva sulla fronte e gli asciugai il sudore che grondava dal volto. Poi, gli poggiai un panno bagnato sulla fronte. Gli tolsi le coperte e con molta delicatezza gli alzai la camicia. La fascia che gli avevo stretto si era macchiata di sangue. Il sangue era drenato dal solco che gli avevo rimasto, eliminando anche le rimanenti impurità. Presi dell'altra garza e medicai quella brutta ferita.«Ciao.» alzai gli occhi e Bash era sveglio. I suoi occhi erano stretti quasi a fessura, la sua bocca piegata in un mezzo sorriso.«Buongiorno, da quanto siete sveglio?» dissi continuando a medicarlo. «Più o meno da quando mi avete alzato la camicia.» Io arrossii, sebbene il motivo per cui lo avessi fatto era ben chiaro a tutti e due. «Mi dispiace, non volevo mettervi in imbarazzo.» mi disse, una volta accortosi del rossore che si era propagato sul mio viso alabastro. Non risposi, mi alzai in fretta e sciacquai tutto con acqua calda. Mi voltai e Bash era sulla porta. «Non dovreste stare in piedi, potrebbe far male alla vostra ferita!» lo rimproverai.«Tornate a letto.» «Mi annoio senza fare nulla. Posso aiutarvi in qualcosa.» mi disse. Senza che potesse continuare gli presi la mano e lo condussi in camera da letto. «L'unica cosa che potete fare è starvene a riposo. Io devo andare a lavorare dai miei questa mattina.Tornerò ogni ora per vedere se vi occorre qualcosa.» «Non ce n'è bisogno, Elizabeth. Non preoccupatevi.» Mi alzai, e feci per andarmene. «Bash?» Lui alzò la testa. «Stanotte mi avete accompagnata voi qui dentro?» Lui sorrise. «Si, vi ho presa in braccio. Stavate tremando.» Annuii, e d'improvviso mi si seccò la bocca. Mi avviai fuori e chiusi la porta. «A dopo Bash.» sussurrai.«A dopo Elizabeth.» la sua risposta dall'altra stanza. Chiusi gli occhi, e buttai fuori aria dalla bocca. Presi la mantella e mi avviai verso casa dei miei. Ogni ora, come pattuito, tornai da lui per accertarmi che stesse bene. Anche se i miei genitori mi riempirono di domande, riuscii a deviare ogni volta il discorso, buttandomi su altri argomenti cari o a mia madre o a mio padre. «Madre, ci vediamo domani. Arrivederci, padre.» Verso pomeriggio inoltrato tornai a casa. Mentre stavo per aprire la porta, sentii un rumore zoccoli di cavallo nella neve. Mi girai e trovai due guardie reali, in groppa a due stalloni, uno bianco e uno marrone. Non sapevo se Bash stesse scappando anche da quelle guardie, tutto ciò che sapevo era che stava fuggendo, da qualcosa o da qualcuno. «Signorina, abbiamo un mandato firmato da Re Henry in persona per controllare tutte le case del villaggio.» Per un momento rimasi impietrita, senza sapere cosa fare. «V-va bene. Un attimo, vi apro.» La porta però, sembrava sprangata dall'interno. Neppure con le mie chiavi riuscivo ad aprire.Dopo il quarto tentativo, uno di loro, quello più vecchio e tozzo scese da cavallo. «Manderemo qualcuno a ripararla.» disse. Non capii il significato di quell'affermazione fino a quando, afferrata una spada con un colpo poderoso fece a pezzi la maniglia, facendo saltare il meccanismo. Io rimasi a bocca aperta, ancora incredula davanti alla mia povera porta ridotta ad una semplice barriera.Entrarono prima di me. Istintivamente iniziai a guardarmi intorno. Bash sembrava non essere lì. Con una scusa mi allontanai, ed entrai nella camera da letto. Bash non c'era. Il letto era ancora disfatto,ma delle sue scarpe e della sua spada nemmeno l'ombra. La finestra era spalancata. Era fuggito. Feci un lungo sospiro, mi affrettai a chiudere la finestra e tornai di là. I due avevano controllato ogni singolo ambiente. «Trovato qualcosa?» chiesi, aggiustandomi il vecchio scialle che avevo sul collo. «No, signorina. Ma ho una domanda da farvi. Qui, con voi, abita un uomo?» Rimasi sospesa tra le parole, dubitando di come quell'informazione potesse essergli utile. «No, abito da sola.» mi limitai a rispondere, stringendo gli occhi a fessura. Il più giovane si avvicinò e con un sorrisetto si aggiustò il cappello. «Scusateci del disturbo. Il prima possibile manderemo un fabbro a ripararvi la porta. Per il momento vi auguriamo una buona notte.» Non risposi. Li osservai montare a cavallo e dileguarsi in una stradina accanto ai boschi. Nessuno entrava mai in quei boschi. Non ne conoscevo il motivo. Quando furono abbastanza lontani mi precipitai fuori, afferrando solo la lanterna che era appesa sull'uscio della porta. Aveva ripreso a nevicare. Ero preoccupata per Bash, in quelle condizioni non avrebbe dovuto compiere sforzi. «Bash!» urlai a gran voce, girando convulsamente la testa a destra e a sinistra. Feci qualche passo più avanti, in direzione dei boschi. «Bash!» urlai di nuovo. Il sibilo del vento mi fischiava contro, la neve si era depositata sui miei capelli e le mani si erano quasi ghiacciate. Iniziai a correre e mi fermai all'entrata del grande bosco. Misi la lanterna davanti ai miei occhi,cercando di scorgere qualche figura in lontananza. Niente, solo buio.Iniziai a indietreggiare, spaventata dai rumori che iniziavo a sentire e per le strane forme che iniziavano ad assumere gli alberi quando venivano raggiunti dalla luce della mia lanterna. Pochi passi e un paio di mani mi afferrarono per la vita. Mi voltai di scatto,con il cuore in gola. Un urlo sordo si propagò per l'intera selva,facendo volare qualche corvo appollaiato sopra ai rami. A pochi centimetri dal mio viso, Bash. Mi teneva le mani sulle guance, e pronunciava parole che a me suonavano incomprensibili. Dopo un paio di scossoni, il sangue cominciò a fluire di nuovo lungo tutto il mio corpo, le orecchie iniziarono a captare di nuovo parole che assumevano un senso logico. «Elizabeth! Elizabeth, sono Bash!» I suoi occhi erano vitrei, come quelli di chi è appena incappato in qualcosa di pericoloso. «Bash» riuscii a dire. «Elizabeth -disse col fiatone - non avvicinatevi mai più al bosco. Mi avete capito? Mai più!» Sembrava un misto tra spaventato, preoccupato e teso. Io annuii con la testa. Lui chiuse gli occhi per un momento,poi mi mise un braccio attorno alle spalle e tornammo a casa. «Cosa è successo alla porta?» disse notando il meccanismo scardinato. «Lo hanno rotto le guardie reali. Non riuscivo ad entrare.» Aveva assunto di nuovo quell'espressione preoccupata. «Erano guardie reali?» Io annuii, posando lo scialle sul tavolo. «Non sapevo se voi stesse fuggendo anche da loro, così ho cercato di rallentare i miei movimenti per permettervi di fuggire, ma quando ho inserito la chiave nella toppa davvero c'era qualcosa che non andava.» «Si,sono stato io. Stavo per aprirvi, ma quando ho sentito che insieme a voi c'erano altre voci, sono fuggito. Perdonatemi.» «In realtà, lo speravo Bash.» gli dissi sorridendo. «Riparerò io la porta, non temete.» «Sapete farlo?» lui sorrise. «Si. In realtà so fare molte cose.» «Uhm, modesto.» gli dissi ridendo. Lui stava per fare lo stesso quando assunse una smorfia di dolore. «Bash, toglietevi la camicia. Ho bisogno di vedere in che condizioni è la vostra ferita.»Cercò di sfilarsela, ma da solo era goffo nei movimenti, così decisi di togliergliela io. Con i polpastrelli gli sfiorai il torace,e vidi che rabbrividì vistosamente. «Avete freddo? Accendo il braciere.» dissi piegando la camicia. «È stato il vostro tocco, in realtà...» disse puntando i suoi occhi zaffiro contro i miei. «Vi chiedo scusa.» mormorai, dandogli immediatamente le spalle. «Non ho detto che mi dispiacesse.» Trovai la forza di voltarmi, ma non guardai nemmeno una volta il suo viso. Non ne avevo il coraggio.Sentivo il suo sguardo pesante su ogni mio movimento, ed io non potevo fare altro che osservare la sua pelle rabbrividire ogniqualvolta posavo le mie mani su di lui. «Vi fa ancora male, ed è normale, ma sta molto meglio sapete?» «Bene, ne sono contento.»disse sorridendo. «Vi preparo qualcosa da mangiare.» Si sedette sul piccolo divanetto ed iniziò a guardarsi intorno. Dal tavolino prese i miei fogli, l'album rilegato in pelle rossa e la mia mina. Gli strumenti che utilizzavo per disegnare. «Li avete fatti tutti voi?»Io stavo cucinando, e non sapevo a cosa fosse rivolta quella domanda,così pulendo le mani sul grembiule, lo raggiunsi. Sorrisi. «Si, è l'unica cosa che so fare.» «Siete bravissima.» L'ultimo disegno che prese tra le mani, fu il suo. Io avvampai alla sola vista di quel ritratto rubato che la mia mente aveva archiviato. «Questo viso mi è familiare.» disse ridendo. «Si, ehm, ecco.. dormivate così beatamente che sembravate un soggetto perfetto. E poi nessuno mi aveva mai permesso di ritrarre un volto. A loro dire si annoiano di rimanere in posa per ore.» Lui scosse la testa. « Potrei farvi da modello. » Lo guardai con aria stupita e allo stesso tempo imbarazzata. «Voi? Mi fareste da modello? Davvero? » dissi sorpresa. « Si, perché no?»disse sorridendo. « Cos'è questo odore? »disse annusando l'aria come un segugio. « Il pollo! »mi alzai di scatto, ricordando la cena che avevo rimasto sul fuoco.Sentii le sue risate provenire dal salotto, e senza che lui se ne accorgesse, iniziai a ridere anche io. Dopo che ebbi cucinato senza troppi danni collaterali, invitai Bash a tavola, e cenammo insieme. «Stiamo mangiando alla stessa tavola e non so nulla di voi. » disse Bash dopo aver bevuto un sorso di vino. « Non c'è molto da sapere su di me. » « Posso sapere quel "non molto?" » disse accennando un sorriso. Mi schiarii la voce. « Sono la figlia minore di quattro fratelli. Tutti e tre sono sposati. Vivo da sola, come puoi vedere. Do una mano ai miei genitori, ogni pomeriggio e ogni mattina. Non so leggere, ne scrivere anche se mi piacerebbe molto imparare. So disegnare e me la cavo a cantare. Ecco ora sapete la squallida vita di una contadinotta francese. Non c'è nulla di interessante in me, Bash. Ve lo assicuro. » conclusi. « Davvero non sapete leggere? O scrivere? » Io scossi la testa, imbarazzata. «Potrei insegnarvi io. » disse, inclinando la testa. « Sempre se non vi offenda. » « Oh, no, no. Vi stavo osservando perché se sapete leggere e scrivere vuol dire che non siete un semplice vagabondo. Chi siete, Bash? » ingenuamente, e spinta da una curiosità dirompente.Posò le posate, e lo vidi vagare con uno sguardo perso nel piatto vuoto che aveva davanti. « Bash? » provai a richiamare attenzione.« Non è facile parlare di me. »Disse ad un certo punto,interrompendomi. Mi zittii, pentendomi di ciò che gli avevo chiesto appena vidi il suo sguardo da gattino ferito incedere verso il mio volto. « Sono nato, come dire.. per errore. La mia famiglia, o meglio, mio padre è molto ricco. Mi è stato permesso fin da piccolo di avere un'istruzione che fosse consona al ruolo di mio padre. Mia madre ha sempre cercato di proteggermi da tutto e da tutti. Ci è riuscita.. fino ad un certo punto. Se adesso mi trovo in fuga è perché lei non ha potuto più nulla. » Era così complicato cercare di capire che cosa si celasse realmente sotto quegli occhi da felino. Bash indugiava ancora su quella posata, prendendo bocconi immaginari dal piatto che aveva davanti. « Va bene. » dissi alzandomi ed avvicinandomi a lui. « Non voglio sapere oltre - risposi passandogli una mano sulla fronte calda - per me può bastare così. » chiuse un attimo gli occhi e sospirò le sue ansie. Mi allontanai per sparecchiare, e Bash prese a gironzolare per la stanza. Si fermò davanti alla libreria che mio fratello mi aveva regalato il giorno del mio ventesimo compleanno. « Come fate ad avere tutti questi libri se non sapete leggere? » disse, passando l'indice su quelle copertine perfettamente in ordine, in pelle chiara e cordicelle di velluto. « Un regalo di mio fratello. »Il suo sguardo vagava a destra e a sinistra. Leggeva i titoli con molto interesse. « Sono fiabe. » disse alla fine, sorridendo. « Non lo so, Bash. » dissi scrollando le spalle. I suoi occhi si posarono su un libro in particolare. Con estrema attenzione lo estrasse e si sedette sul divano. Con la mano mi invitò ad accomodarmi accanto a lui. Sebbene fossi imbarazzata da quella situazione così intima, accettai. Bash passò il palmo sulle lettere d'oro in rilievo incise sul frontespizio. « Fiabe irlandesi. » pronunciò ad alta voce. Fuori nevicava molto, il fuoco del braciere scoppiettava allegro ed io ascoltavo rapita la voce di Bash che mi stava leggendo una fiaba,come si fa ad una bambina prima di farla addormentare.



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