Capitolo Settimo

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POV BETH

Mi svegliai in un mare di sudore. Non avevo sognato, quindi non potevo aver avuto incubi. Avevo i capelli arruffati e il respiro pesante. Mi guardai attorno e vidi mio padre sdraiato accanto a me, che dormiva profondamente, ancora vestito. Mi portai le mani al volto e cercai di asciugarmi il sudore. Tolsi le coperte che mi coprivano, perché sebbene fuori ci fosse un freddo surreale io sentivo caldo. Scivolai più giù e mi appoggiai con la testa sulla spalla di mio padre. «Buongiorno, piccola. Come stai? »
Preferii non rispondere, mi limitai a mugugnare qualcosa. Mio padre si alzò dal letto e andò in cucina. « Beth, sarebbe meglio che fino a quando non partirai per la corte tu venissi a stare con tua madre e me. Nessuno dei due si sente sicuro a lasciarti qui da sola dopo ieri notte. » Io continuavo a poltrire sul letto, senza aver la minima voglia di alzarmi. « Mi hai sentito? » disse urlando per farsi sentire. « Si, padre vi ho sentito. » dissi sforzandomi di parlare. « Che ne pensi? » disse venendo con una fetta di pane e un po' di latte per me. « Per me va bene, padre. » Accettai immediatamente la sua richiesta, perché non avevo alcuna voglia di restare da sola. Appena chiudevo gli occhi rivedevo i denti aguzzi e le unghie nere e ricurve sul mio collo. Qualcosa, in quel bosco maledetto però mi aveva salvato. Quando avevo sentito quel fischio per la seconda volta credevo di essere già morta. « Beth, oggi pomeriggio vengo a prenderti e ti do una mano a portare ciò che ti serve da noi, va bene? » io annuii. Fece il giro, verso la parte del mio letto e mi diede un bacio sulla fronte. «Ci vediamo tra qualche ora. » si allontanò e sentii chiudere la porta, scardinata per la seconda volta, e andò via. Mi alzai e rifeci il letto, seppur la mia voglia fosse pari a zero. Verso ora di pranzo misi qualcosa a bollire sul fuoco. Dovevo invogliarmi a mandar giù qualcosa. Mentre stavo apparecchiando il mio posto sentii bussare velocemente. « chi è? » chiesi senza avvicinarmi. Nessuno rispose. Ancora una volta sentii furente un battere alla porta. « Se non mi dite chi siete non vi aprirò » dissi urlando. Non si sentii più nulla. Dopo cinque minuti di attesa decisi di avvicinarmi. Spostai la sedia che avevo messo a barriera della porta rotta e aprii. Non c'era nessuno. Il sole splendeva radioso nel cielo e la neve bianca scintillava sotto i suoi raggi. Mi girai verso il portico e lanciai un urlo di orrore. Un uomo era appeso per i piedi sotto i pali di legno che sorreggevano il portico di casa mia. Aveva le mani legate che scendevano penzoloni verso terra. Il corpo senza vita di quell'uomo ondeggiava sotto i colpi impietosi del vento invernale. Dalla gola grondava copioso un rivolo di sangue e si andava a posare sul fondo di un secchio posato apposta sotto quel cadavere. Mi sporsi per vedere meglio la scena, e rimasi sgomenta davanti a quella che mi sembrava surreale. Il secchio era semi vuoto, segno che il corpo era stato appeso lì da poco tempo. Una nausea improvvisa mi prese e dovetti portarmi le mani alla bocca, e guardare altrove per non rimettere. Il freddo teneva il corpo ancora in buone condizioni, e forse era solo grazie a quello che non si sentiva ancora il suo fetore nauseabondo. « Che cosa vuoi da me? » dissi sussurrando al vento. « Che cosa vuoi da me?! » dissi urlando contro il nulla. Caddi in ginocchio, mentre il sangue continuava a colare giù dalla gola di quel povero diavolo incappato nella pazzia di qualche fanatico. Non riuscivo a muovermi, dondolavo avanti e indietro intanto cercavo di collegare il cervello per capire cosa dovevo fare. Un sacrificio umano era inaccettabile per qualunque fede o religione in cui si creda. Mi alzai e mi aggiustai il vestito, quasi in preda ad una crisi ed entrai in casa. Scesi giù e cercai nel baule un attrezzo in particolare. Quando trovai una mezza luna e un po' di spago salii sopra e legai la mezzaluna al bastone di ferro, fissando il tutto con della corda resistente. Mi fermai nel portico e presi una boccata d'aria, ispirando profondamente e ricacciandola dalla bocca. Diedi un paio di colpi poderosi alla corda per la quale era appeso barbaramente quel cadavere. Al quarto o quinto colpo il corpo cadde rovinosamente a terra, e il secchio si rovesciò a causa dell'urto schizzando sangue dappertutto, compresa la mia veste. Feci un balzo indietro quando vidi quel sangue imbrattarmi il vestito ed entrai dentro in fretta e furia. Mi spogliai e gettai il vestito, lavando con acqua e sapone tutte le traccia di sangue che mi erano rimaste sulle mani e sul viso. Mi misi un'altra veste e corsi il più velocemente possibile a casa dei miei. Bussai e mi aprii mia madre. « Per l'amor di Dio, Elizabeth cosa è successo? » ero affannata e non riuscivo a parlare, così mia madre mi fece entrare dentro casa. « Fuori casa mia, c'è un cadavere. » Dissi, prendendomi delle paure ogni due parole. A mia madre si dipinse in viso un'espressione di orrore. « Cosa? » disse cercando di mantenere la calma. Andai in cucina e presi un bicchiere d'acqua. Ritornai dove c'era mia madre e mi sedetti. « Hanno appeso per le gambe un povero disgraziato fuori portico di casa mia, lo hanno sgozzato e hanno lasciato colare il sangue in un secchio.Io ho preso una mezzaluna e l'ho fatto cadere. Non potevo far continuare quello strazio ancora a lungo . » « Non avevi detto che era morto? » « Si, ma anche i cadaveri meritano rispetto, madre. » mia madre chiamò a gran voce mio padre che stava facendo la legna e lo invitò ad entrare in casa. Spiegò tutta la vicenda anche a lui che si lasciò cadere l'ascia da mano. « Beth, cosa hai fatto? » io lo guardai, non capendo nulla. « Hai interrotto un sacrificio » continuavo a non capire. « Per alcuni fanatici interrompere un sacrificio è una grande offesa per gli Dei e per molti viene pagata con la morte. » Un gelo discese nella stanza. Tutti noi ci guardavamo negli occhi, in silenzio, senza aver il coraggio di dirci nulla. L'atmosfera si era fatta tremendamente pensante, e mia madre aveva iniziato a piangere. « Io non ci credo a queste sciocche superstizioni padre! » dissi alzandomi di colpo. « E poi so come difendermi, non temete per me. Tra poco andrò via, non sapranno nemmeno dove trovarmi questi fanatici, come li avete chiamati voi. Andrà tutto bene, state tranquilli. » cercavo di convincere più me stessa che loro, perché se fosse stato vero quello che mio padre sosteneva, avevo firmato la mia condanna a morte. Insieme a mio padre ci recammo nuovamente al portico e il corpo era sparito, così come il secchio di sangue. L'unica cosa che mi rendeva credibile erano le macchie di sangue ancora sparse, sul pavimento e sul muro. « Hanno portato via il corpo - proruppe mio padre - il tuo gesto non è passato inosservato. » annuii, guardandomi attorno. Tutto trasudava male. Entrai in casa e preparai le valigie per andare a stare dai miei per i due giorni che mi rimanevano prima di partire per la corte. Mio padre mi aspettò fuori, e quando ebbi finito mi diede una mano a prendere tutte le borse. Lo stare insieme a loro mi rendeva più tranquilla. Era bello poter avere qualcuno su cui contare, con cui scambiare qualche parola. Non appena si fece sera ed i miei andarono a letto, Bash fu la prima persona a cui pensai. Era passata quasi una settimana da quando era andato via, ma mi mancava ancora come se fosse il primo giorno. In lui avevo visto una persona speciale, oltre che un amico e un insegnante. Come avrei fatto a parlargli di nuovo? Avrei voluto raccontargli tante cose, ma non sapevo nemmeno dove fosse. Così un'idea mi colse all'improvviso. Presi dei fogli e una penna da una delle mie borse e iniziai a scrivere.. A lui. Nonostante non sapessi dove abitasse non mi interessava. Il destino ha per noi tante vie, e chissà che un giorno non l'avessi incontrato e gliele avrei consegnate di persona? Mi misi al centro della stanza, sdraiata su un tappeto accanto al fuoco. "Ciao piccolo fuggiasco! Sono Elizabeth, ti ricordi ancora di me vero? Ci crederesti? Sto scrivendo! Sto scrivendo la mia prima lettera e il destinatario sei tu. Lo sto facendo proprio come mi hai insegnato. Perdona la mia calligrafia, ma sto imparando, ti giuro che la migliorerò. Sei partito da circa una settimana. Io sono sdraiata sul tappeto accanto al fuoco, e mi manchi. Si, mi mancano le nostre chiacchierate, le medicazioni che ti facevo, tutte le volte che mi prendevi in braccio e mi portavi a letto. Mi manca il fatto di avere un insegnate personale così buono e paziente come lo eri tu con me. Da quando sei andato via non sono stata un attimo tranquilla. Per cominciare sono stata attaccata da qualcosa di mostruoso, che poi è sparito grazie ad un fischio proveniente dal bosco. Credevo di star sul punto di morire, sai? Ed ero tutta sola. Poi, il giorno dopo non so chi ha appeso per i piedi un uomo sotto il mio portico, lo ha sgozzato e il suo sangue lo ha raccolto in un secchio. Io l'ho tirato giù e mio padre mi ha detto che ho interrotto un sacrificio e che molto probabilmente ho firmato la mia condanna a morte. Ah, sai cos'altro Bash? Ho paura. Ho paura che tutto questo possa essere vero. Ho paura di morire. Ho paura di morire senza prima averti rivisto. Che sciocchezza, non trovi? Ma è vero. La mia prima lettera durata già troppo ti annoierai a leggerla tutta. Te ne scriverò altre, te lo prometto. Buonanotte, Bash. La tua piccola infermiera Beth." Richiusi la lettera e la conservai nella mia borsa. Poi, dopo essermi svestita, mi infilai la camicia da notte e me ne andai a letto nella mia vecchia stanza. Presi uno dei tanti libri che mi erano stati inviati ed iniziai a sfogliarlo. Mentre lo sfogliavo gli occhi iniziarono a diventarmi pesanti, e nella pesantezza della giornata che avevo affrontato, mi addormentai sfinita. Il giorno seguente passò monotono. Riuscivo solo a concentrarmi sulle mie ansie. Il giorno dopo sarei partita per la corte francese, e ciò mi rendeva quasi isterica. Dopo un intero giorno fatto di raccomandazioni, imprecazioni verso mia zia e mia madre, di borse e preparativi, venne finalmente la sera. Quando fu tutto tranquillo presi un altro foglio bianco e iniziai a scrivere di nuovo a Bash. Gli scrissi soprattutto delle mie paure riguardo all'arrivo della corte francese. Quando ebbi finito la conservai insieme all'altra. Non riuscivo a dormire. Camminavo avanti e indietro, in preda al panico. Cercai di tranquillizzarmi da sola, finché mia madre non mi raggiunse. « Hei, perché sei ancora in piedi, piccola mia? Lo sai che domani ti aspetta un viaggio? » io annuii, stropicciandomi gli occhi. « c'è che ho paura madre. Se non fossi adeguata? Se nessuno vorrà parlare con me? » lei mi sorrise, e il suo fu un sorriso colmo di tenerezza e di esperienza nei miei confronti che invece ne avevo così poca. « Tesoro, tu credi davvero che starai a contatto con i nobili? Lo sai che loro non entrano in cucina nemmeno di passaggio? Si, forse potranno farti incontrare i nobili all'inizio, quando ti presenteranno, ma poi basta. Non sarai mai a contatto con loro. Le persone con cui sarai a contatto saranno del tuo stesso rango sociale quindi non dovrai assolutamente sentirti a disagio, piccola mia. » era tutto dannatamente vero. Cosa mi ero messa in testa? Che i nobili si interessassero a noi povere cuoche, sguattere e serve? Sorrisi ingenuamente, ripensando a tutto quello che mi ero prefigurata fino ad allora nella testa. « Grazie madre. Tornate a letto che è tardi. » mi strinse in un abbraccio pieno d'amore, uno di quello che solo le madri ti sanno dare. « Va bene, piccola mia. Ma torna a letto anche tu. » io annuii, e lei tornò in camera. Rimasi ancora in un po' in quella stanza, guardando fuori dalla finestra. Poi, decisi che era arrivato il momento di andarmene a letto. All'alba ero già in piedi, vestita e lavata. Avevo preparato i miei bagagli la sera prima, ed avevo messo tutti gli abiti, le scarpe, i gioielli e i libri che mi erano stati regalati, comprese le lettere che avevo scritto a Bash. Mia madre si alzò un po' dopo di me e venne a farmi le ultime raccomandazioni. La carrozza che mi avrebbe condotta al castello arrivo presto. Mia madre mi abbracciò forte, sul punto di piangere e mio padre mi diede un bacio sulla fronte chiamandomi "la sua bambina". Avrei sentito la loro mancanza da morire, di questo ne ero certa. Entrai nella carrozza e per tutto il viaggio, che durò circa tre ore e mezzo, rimasi in silenzio. Continuavo a scostare le tendine per guardare fuori e cercare di capire la strada che stessimo facendo. « Non passiamo per il bosco? » chiesi curiosa al cocchiere quando vidi che cambiò direzione. « Assolutamente no, madamoiselle. è pericolosissimo. » decisi di non fare più domande. Ad un certo punto mi addormentai. Mentre dormivo sentii una mano fredda che mi sfiorava il collo, subito dopo un fruscio di foglie e una voce, un sussurro più che altro che mi chiamava per nome. « Elizabeth... » era una voce profonda, oscura, metallica. Sembrava provenire dall'oltretomba. Quella voce era accompagnata dal fruscio di foglie e dalla mano ghiacciata che mi sfiorava il collo. Man mano il sussurro iniziò a diventare un urlo e la mano si stringeva sempre di più attorno al mio collo, fino a quando non mi sentii stringere talmente forte da soffocare. Mi svegliai spalancando gli occhi, buttando fuori aria dai polmoni e portandomi entrambe le mani al collo per assicurarmi che fosse davvero un sogno. Scostai la tendina per vedere dove fossimo. La sagoma del meraviglioso castello troneggiava imperiosa al centro di un parco antistante ad esso. Non lo avevo mai visto, ma sapevo per certo che fosse quello. Avevo cercato di immaginarmelo tante volte, tramite le dettagliatissime descrizioni di mia zia, e da quello che vedevo le mie aspettative non erano state disattese. Le immense distese di giardini inglesi si aprivano maestose davanti ai nostri occhi, e magnifiche piante rampicanti salivano sulle mura di pietra di quella fortezza reale. Non avevo parole. Era un sogno. Con la carrozza attraversammo anche un piccolo ponte e fummo finalmente davanti all'ingresso. Il cocchiere mi disse che saremmo dovuti passare dal retro, perché quello era soltanto l'ingresso per i reali. Quando giungemmo a destinazione, il cocchiere mi aiutò a scendere i bagagli e mi aiutò a portarli fino ad un tratto. Poi andò via, lasciandomi sola. La mia nuova vita sarebbe cominciata da li. Mi apprestai a bussare al grande portone di legno, ma prima che potessi poggiare la mano su di esso, un ragazzo con i capelli castano dorati e un sorriso smagliante venne ad aprirmi. « voi dovete essere una delle ragazze nuove vero? » io annuii. « Si, salve. Sono la cuoca. » « Piacere di conoscerci, sono Leith. » disse allungandomi la mano in modo cordiale. Feci altrettanto, in modo più impacciato. « Il piacere è mio, mi chiamo Elizabeth, ma per favore, chiamatemi Beth. » « Come volete Beth. Seguitemi, vi mostro le cucine e poi la vostra stanza. » Annuii, e Leith dopo aver raccolto parte delle mie valigie mi accompagnò all'interno del castello. Posò i bauli a terra e mi invitò a fare lo stesso. Il castello, almeno visto dalla parte delle cucine, era enorme. Leith era gentilissimo, mi aveva già mostrato parte dei vari interni che componevano le cucine. « Ecco, qui è dove lavorerete voi. Sarete la cuoca, quindi tutti gli altri dovranno rispettare i tuoi ordini. Tra domani e dopodomani dovrebbero arrivare le altre due ragazze che ti faranno da collaboratrici. » Io continuavo a guardarmi attorno. Non avevo mai visto ambienti così enormi in tutta la mia vita. Quella cucina era grande quanto casa mia, e non era finita! « Bene, adesso ti mostrerò la tua stanza. » Percorremmo un lungo corridoio e in fondo girammo a sinistra. Ne iniziava un altro, più piccolo e sui lati vi erano tante porte. Leith aprì la mia camera e mi diede le chiavi dei miei alloggi. « Tra un'ora dovrete incontrare il principe reggente e la sua futura moglie, la regina Mary. » Mi girai di colpo. « Perché? » lui rise, forse a causa della mia espressione spaventata. « Perché dovrete prendere nota dei cibi da loro preferiti e dei cibi che proprio non potrete cucinare. » « E' proprio necessario? Non potrebbero tipo scrivermi una lista che poi mi farebbero avere? » « Mi dispiace, Beth è una tradizione reale. Oh, e dovrete incontrare anche la regina Catherine. » « Perfetto. » dissi sprofondando nel mio nuovo letto. Leith lasciò la stanza ed io chiusi a chiave. Presi i bauli e dopo averli aperti, sistemai tutte le mie cose nel grande armadio di cui disponevo. La mia camera era davvero grande. Credo che mi sarei trovata bene, quando non avrei lavorato e mi sarei rinchiusa nella mia solitudine. Aveva anche una finestra grande abbellita da una tenda damascato rossa. La scostai giusto per godermi il panorama. C'era una grande fontana circolare con un getto d'acqua molto forte. Era tutta contornata di ninfee e fiori colorati. Il prato all'inglese, perfettamente curato, si divideva in quattro quadrati. E poi piante, alberi, rose. Sembrava di essere nel bel mezzo di una di quelle fiabe che mi raccontava Bash quando stava da me. Ad un certo punto vidi una figura andare verso la grande fontana circolare. Era di spalle e aveva le braccia incrociate dietro la schiena. La sua andatura era incerta, come se stesse camminando senza nemmeno rendersene conto. Aveva i capelli biondi, un po' ricci. Indossava un completo marrone, con una giacca a maniche larghe. Mi nascosi dietro la tenda, per evitare di essere vista ma continuai ad osservare quello strano ragazzo soggiogato dai suoi pensieri. Camminò ancora per un po' poi si sedette sul bordo della fontana e con la mano iniziò a spostare l'acqua con movimenti lenti, con uno sguardo perso. Ad un certo punto sentii bussare alla porta. « Beth, sono Leith. Siete pronta? » Misericordia, non lo ero ancora! « Quasi Leith, datemi dieci minuti ancora. » « Si, ma sbrigatevi. I reali non amano attendere! » Chiusi in fretta e furia la tenda, tolsi quella veste sgualcita con la quale ero arrivata a corte e indossai uno degli abiti che mi erano stati regalati da quell'anonimo benefattore. Aggiustai al meglio i miei capelli castani e cercai di raccoglierli in due morbide trecce a mo di chignon. Aprii la porta e trovai Leith che mi aspettava. « Pronta? » mi disse con un sorriso rassicurante. « No, affatto. » risposi in tutta sincerità « Bene, allora possiamo andare. » Iniziò a camminare davanti a me, ed io sentivo le gambe molli per l'emozione. Riuscivo a seguirlo a malapena. Salimmo un enorme scalone fino ad arrivare in un lungo corridoio. Leith si fermò e si girò verso di me. « Sulla destra, appena oltre questa colonna ci sarà la sala del trono, dove vi stanno aspettando i reali. » io annuii, sebbene stessi andando in confusione. « Voi mi seguirete fino ad un certo punto, poi vi fermerete prima dell'ingresso. Io entrerò e vi annuncerò chiaro? » Continuavo a dire di si. Non usciva nemmeno una mia sillaba dalla mia bocca, perché non riuscivo ad articolarne una sensata. « Bene, seguitemi. » Leith continuò a camminare ed io feci del mio meglio per stare al suo passo. Superata la grande colonna mi fece cenno di fermarmi. Io obbedii e i miei piedi si arrestarono immediatamente. Leith fece qualche altro passo, poi si girò verso il grande ingresso. « Vostra maestà la nuova cuoca reale attende di farsi annunciare. » « Grazie Leith, falla entrare. » La voce che aveva risposto a Leith era quella di una donna, estremamente dolce e cortese. Mi rincuorò un poco sentire i suoi modi affabili. « Grazie.» Leith mi invitò ad avvicinarmi ed io, con il cuore il gola, feci come mi aveva detto. « Entrate e testa bassa. » mi suggerì all'orecchio. Io annuii, ed iniziai ad incedere lentamente verso i reali. Fissavo il pavimento perfettamente lustrato, fin quando non mi fu ordinato di fermarmi da un'altra voce, sempre femminile, ma più risoluta e severa. Io continuavo a tenere il capo chino, in attesa di ricevere ordini. « Alza la testa, non stare così chinata . » mi disse di nuovo la voce gentile. Così, con un po' di titubanza alzai lo sguardo verso la ragazza che avevo dritto dinanzi a me. Era giovanissima. Poteva avere al massimo 20 o 21 anni. Con un sorriso caloroso si presentò. « Sono Mary, la regina di Scozia. Lei è la Regina di Francia, Catherine, con il suo consorte Re Henry. » spostai il mio sguardo a destra, in direzione della donna dal portamento fiero, i capelli biondi e l'espressione severa e del suo consorte, che più o meno sembrava come lei, forse un po' più permissivo. « Lui invece è Sebastian, futuro Re di Francia. » Quando mi girai verso l'uomo che dolcemente la Regina di Scozia mi aveva indicato, mi mancò il terreno sotto ai piedi e le mie gambe vacillarono. Sul trono del futuro re di Francia c'era seduto Bash.

Once Upon a Time, a Reign | Completa, in revisione |Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora