Veronika. Solo uno sbaglio

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Mi portai la sigaretta alle labbra e presi una grossa boccata, sperando di dimenticare tutto almeno per quei pochi secondi di tiro. In bilico sui tacchi vertiginosi, la spalla contro il muro in una posizione apparentemente disinvolta, scandagliavo attentamente la strada davanti a me, strizzando gli occhi al buio.                                                                       Adocchiare, sedurre, scopare.  

Adocchiare, sedurre, scopare.

Tre parole, la mia vita. Ciò che facevo da quattro anni a quella parte, ma cui ancora non avevo avuto il coraggio di abituarmi.

È solo un sogno, mi dicevo, solo un sogno. Mi sarei svegliata prima o poi e di quelle esperienze non sarebbe rimasto altro che un ricordo amarognolo, una reminiscenza sfocata pronta a scomparire al primo sorriso sincero di mio marito.

Dovevo solo aspettare e avere pazienza.

Feci un altro tiro, questa volta più lungo del primo, e osservai attentamente gli angoli della via principale alla ricerca di un nuovo cliente. Che fosse brutto, grasso, vecchio, alto, allampanato, gay non contava. L’importante era che pagasse e bene. Ma di un’auto neanche l’ombra e io cominciavo a spazientirmi.

Se non avessi rimediato qualcuno, Mike mi avrebbe uccisa. A lui non importava che le sue puttane rischiassero la vita ogni giorno o che la polizia gli fosse alle calcagna da più di due mesi, no, per lui contava che a fine serata il suo portafoglio fosse pieno di bigliettoni. Altrimenti sarebbero stati guai.

E io lo sapevo bene. Sulla schiena portavo ancora i segni delle frustate che avevo ricevuto, dopo che una sera ero tornata a casa a mani vuote. Mike non mi aveva dato nemmeno il tempo di spiegare che io mi ero ritrovata schiacciata contro la debole parete di cartongesso con una sua mano avvolta attorno al collo. Alla sua domanda furiosa, perché non avessi portato niente, ero riuscita a balbettare solo un paio di frasi confuse e sconclusionate prima che un violento pugno mi rompesse il naso e mi facesse morire le parole in gola. Poi mi aveva spinta a terra, si era slacciato la cintura e mi aveva colpita. Senza pietà. Le mie urla avevano fatto accorrere tutte le ragazze che, impietrite, non avevano potuto fare altro che restare a fissarmi e tremare di paura, sotto lo sguardo furibondo di Mike. Infine, mi aveva presa. Lì sul pavimento sporco e irregolare della casa, senza preoccuparsi nemmeno che fossi pronta.

Rabbrividii al ricordo e mi riscossi, portando ancora una volta la paglia alla bocca. Da quella volta avevo iniziato a cercare possibili clienti, lavorando anche di giorno e non tornavo indietro finché non avevo tra le mani qualche spicciolo.

Finii lentamente la sigaretta, assaporando ogni boccata di fumo, prima di gettarla a terra e pestarla sotto i tacchi. Stringendomi le braccia attorno al corpo, raggiunsi le ragazze che stazionavano poco più in là, all’ombra di una vecchia cabina telefonica.

Sylvia fu la prima a notarmi. Le altre m’indirizzarono uno sguardo distratto.

«Ehi Ver, come butta?» biascicò, reggendosi a mala pena in piedi.

«Come al solito» risposi laconica. L’ultima cosa che volevo era chiacchierare qualcuno. Volevo solo trovare un maledetto cliente, spillargli dei contanti, tornare a casa e buttarmi sul letto, magari chiudere gli occhi per sempre. Ma era da poco passata l’una e la strada continuava a restare deserta, in una crudele presa in giro.

Sylvia mi passò un braccio attorno alle spalle, travolgendomi col suo alito pestilenziale. «Eddaii… Qualcuno arriverà!»

Mi porse la bottiglietta di Vodka e m’invitò a bere. Guardai prima lei e poi la fiala che teneva in pugno. Non mi andava di ubriacarmi, di alcol ne avevo abbastanza in corpo, ma per affrontare Mike, dato che nessuno si era presentato e dubitavo fortemente che l’avrebbe fatto qualcuno, avevo bisogno di tenere a bada la paura e agire a mente fredda. Senza esitazione l’afferrai e trangugiai in un solo sorso il liquido ambrato all’interno. Mi sentii subito più leggera e la mia amica se ne accorse.
«Va meglio, vero dolcezza?»

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