Matthew. 007

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Sabato 14 luglio

«Salve, sono il dottor White.»

No, decisamente troppo insicuro. Meglio un tono più pomposo, più spavaldo, più da “Ehi, guardami, io salvo vite: sono Dio.”

«Salve, sono il dottor White» riprovai, stavolta con un tono che grondava carisma.

A quanto pareva a forza di ripetere scene con quel cazzone di Chris, recitare mi stava venendo sempre meglio. Ovviamente di base c’era un potenziale tutto mio: alla fine tra il fingersi il Dio della neurologia e il Dio del sesso c’era poca differenza; l’importante era avere la consapevolezza di essere il migliore al mondo in qualcosa e dimostrarlo con ogni inflessione del tono e con ogni pausa dosata tra una parola e l’altra. Come effetto collaterale avrei potuto produrre stormi di infermiere innamorate di me, ne ero consapevole, ma era il prezzo di essere così tanto affascinante: avrei saputo tollerarlo e gestirlo al meglio.

Con un movimento repentino, legai la mascherina dietro la nuca e mi calai in testa una di quelle cuffiette ridicole usa e getta da sala operatoria, che riusciva a tenere a malapena a bada i miei ricci e quasi azzerava il mio charme. Se solo non fosse stato tutto necessario…

Sbuffai alla versione travestita di me che lo specchio mi rimandava.

Potevo permettermi di perdere tempo perché avevo incontrato – o meglio, mi ero scontrato ad alta velocità, correndo trafelato – Sunny nel corridoio: aveva tranquillizzato ogni mio singolo timore, dicendomi che Arleen stava bene e, a giudicare dal fatto che la sentivo sbraitare ordini a destra e manca, doveva effettivamente essere in forma. Il sollievo, però, non riuscì a lenire del tutto l’angoscia che mi si era accumulata dentro non appena avevo saputo dell’incidente: come fosse piombo fuso, mi si era diffusa nelle vene, greve, grigia e vischiosa, e mi aveva appesantito l’anima.

E se fosse stata colpa mia? Se fossi stato io a fare in modo che accadesse, mettendola sulla strada di Kevin? Se da una parte questi pensieri non facevano altro che convincermi della validità della mia decisione, quando l’avevo allontanata da me, dall’altro instillavano in me la voglia di scorgerla anche solo per un istante, come se il solo fatto di sapere che stesse bene non mi bastasse: volevo vederla con i miei occhi, essere certo che stesse davvero bene, che fosse sempre lei, la mia pantera fulva dalla pellaccia più dura del suo cuore.

Non nego che per un solo attimo, quasi una frazione di secondo, ero stato sfiorato dal pensiero che avesse potuto fare l’incidente perché sconvolta dalle mie parole. Ovviamente l’ego mi si era gonfiato come un palloncino e quel seme di caldo sentimento che provavo per lei si era smosso appena nel petto… ma poi mi ero detto che era impossibile, che Arleen non era così, che nonostante quello che avevo visto in lei fosse comunque lontano dall’immagine che cercava di costruire agli occhi degli altri, non per questo si avvicinava a un sentimento che provava per me. Nossignore.
L’unico seme caldo che mi potevo permettere era quello che avrei voluto spargerle addosso dopo averla fatta mia, ma anche per quello avremmo dovuto, quantomeno, aspettare tempi migliori.

Pensare di farmi vedere con lei era impossibile, sia perché non credevo che avrebbe accettato di buon grado la mia presenza, sia perché sarei apparso come un incoerente terrificante – e già avevo fatto il mio meraviglioso scivolone durante la scena del film, confidandole quasi i miei veri sentimenti e lasciandomi troppo trasportare – e sia perché avrei vanificato ogni sforzo fino a ora effettuato: Kevin poteva avere occhi ovunque, per quanto ne sapevo. Avrei dovuto trovare una soluzione.

Così ero entrato nell’ascensore e avevo premuto il numero del piano in cui avevo letto si trovassero le sale operatorie; avevo aspettato che qualcuno digitasse il codice per sbloccare la porta degli spogliatoi e quando avevo avuto via libera mi ci ero intrufolato, avevo trafugato camice, mascherina e cuffietta e mi ero allenato davanti allo specchio per diventare il dottor White. Un furto di un’eleganza innegabile, liscio come l’olio, e un piano geniale, una meravigliosa copertura: Kaylee poteva farmi un baffo, pelo e contropelo, ormai.

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