Ryan. Fratellastri

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Giovedì 19 luglio

Sunny ci mandò un messaggio non appena il suo aereo toccò il suolo americano. Sarebbe arrivata nel pomeriggio. Non disse altro, e non era un buon segno.

Sospettavo già il motivo della sua prematura partenza dall’Irlanda, dove era andata a trovare nostro padre, ma quel sospetto mi lasciò indifferente. Passai la giornata ad allenare spalle e bicipiti in casa, alternandoli a lunghe pause.

Mi ritrovai a fissare il mobilio moderno del mio appartamento come se lo vedessi per la prima volta. Abitavo lì da più di un mese eppure non avevo appeso nemmeno una foto, non avevo cambiato neanche un cuscino, non avevo neanche spostato quel tavolino di vetro così ingombrante al centro della sala anche se era la prima cosa che avevo deciso di fare varcando la soglia.

Non l’avevo resa una casa. Era solo un posto come un altro dove campeggiare per qualche settimana in attesa che le pareti si facessero ancora una volta troppo strette per contenere i ricordi e il dolore. E quando la claustrofobia mi serrava le sue mani nere sul collo, era il momento di cambiare.

Mandai un messaggio a Veronika, chiedendole come stesse e informandola che Sunny stava per tornare a casa. Poi, dopo una lunga esitazione, scrissi: “Vieni da me. Dobbiamo parlare.”

Non sapevo come avrebbe reagito alla mia idea. Probabilmente avrebbe accettato senza fiatare e avrebbe addirittura preparato i bagagli per entrambi. Forse le sarebbe dispiaciuto lasciare la zia appena ritrovata, ma San Diego era diventata troppo piccola per noi. Dovevamo ricominciare lontano dal marciume che ci stava assediando. Lontano da Llanos e dalla sua gratuita malvagità. Era in carcere, e speravo ci sarebbe rimasto a lungo. Probabilmente sarei dovuto tornare per testimoniare contro di lui in tribunale ma intanto volevo sapere Veronika al sicuro dalla sua vendetta. Non potevo lasciare che quell’uomo mi portasse via un’altra volta la donna che amavo.

La porta si aprì di scatto facendola entrare. Indossava una camicetta bianca abbottonata male e shorts strappati. Senza una parola mi si fiondò addosso, incollando le labbra alle mie. Indugiai in quel bacio dal sapore dolceamaro, condito dalle sue lacrime; poi mi ritrassi.

«Non dirmi che sei venuta da sola.»

«Sono una ragazza grande e, come vedi, non ho neanche un graffio.»

«Sei un’incosciente.»

Veronika mi si sedette in braccio, sorridendo. «Lo sapevo che non potevi stare senza di me.»

La guardai serio. «Ce ne andiamo, Veronika. Aspettiamo che torni Sunny, la informiamo e prepariamo i bagagli.»

«Va bene» fece lei. Non ci aveva pensato neanche un secondo. «Dove andiamo?»

«Non importa. Forse è meglio se saluti tua zia.»

«Chiederò a Sunny di accompagnarmi.» Mi baciò di nuovo, indugiando. Le sue labbra coccolavano le mie con dolcezza e insieme passione. Ci staccammo solo per riprendere fiato. «Mi sei mancato.»

Prima che potessi replicare, suonò il campanello.

«È Sunny?»

«Non suonerebbe.» Le chiesi di andare ad aprire e ci trovammo davanti il fotografo. «Heart.»

«Temo di avere cattive notizie.» Il suo sguardo era inquieto e arrabbiato. «Gonçalo è uscito.»

Il gelo mi scese nel cuore e fu Veronika a gridare al mio posto: «Com’è possibile?!»

«Kaylee ha pagato la cauzione ma c’è un processo in corso. Le accuse contro di lui sono troppo gravi. Nemmeno il più grande boss della mafia potrebbe farla franca.»

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