Arleen.

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Giovedì 19 luglio

Essere salvata da un motel sperduto per un altro motel sperduto, questo il piano geniale di Kaylee.
Non avevo fatto in tempo ad assaporare l’aria di libertà della sua decapottabile che mi trovavo di nuovo rinchiusa dentro quattro mura aspettando che lei si rifacesse viva.
Qualcosa nei piani non andava, potevo vederlo dal suo sguardo mutato appena dopo aver letto un sms, e dalla direzione totalmente cambiata da quella che mi aveva promesso.

«Torno subito, tu stai ferma qui, buona, fino a che non ti vengo a prendere di nuovo, chiaro?» mi disse prima di scaricarmi davanti al plesso che sembrava della stessa catena dell’altro tanto era simile.

Mi sentivo più bambina di lei, spinta dalla paura che non voleva saperne di allontanarsi dal mio corpo. Mi ero chiusa di nuovo nella camera del motel in solitudine aspettando che il telefono prepagato che mi aveva lasciato la Spykids desse qualche segno di vita, ma dopo qualche ora passata a fissarlo lo avevo posato cercando di ingannare il tempo con una doccia.

Il mio pensiero andava all’ignoto e a quello che non potevo sapere visto che non avevo notizie di nulla e di nessuno tranne il poco che aveva fatto trapelare Kaylee, e Kaylee non mi aveva detto niente riguardo Matthew.
Quel piccolo barman idiota mi mancava fin troppo. Adesso che ero sola con me stessa non avevo più bisogno di nascondere che cosa quell’uomo era stato per me già dal primo momento.

La prima volta che avevo incrociato i suoi occhi mi ero accorta che non se ne sarebbero mai più andati dalla mia mente. L’orgoglio reciproco poi aveva fatto il resto, la voglia che lui mi chiamasse per fargli un bel massaggio terapeutico aveva combattuto con il fatto che potesse fraintendere le mie intenzioni, l’avermi spinta tra le braccia di Jona era diventato un modo per giocare, il fatto che avremmo fatto le riprese insieme, un altro pretesto per stargli a portata di radar e in tutto questo ho sempre finto che per me fosse un insopportabile obbligo, uno che quando lui ha messo la parola fine mi ha fatto più male di quanto poi ho dato a vedere.

Chissà come se la passava quell’irritante gigolò da strapazzo, che poi una Mistress e un Gigolò non si possono pensare ne sentire, solo una mente come Sunny poteva scrivere una storia tra i due, solo in un libro le cose potevano andare lisce e senza impedimenti, e noi eravamo la realtà.

Quando l’uomo dei miei pensieri era piombato improvvisamente nella stanza, ero già così piena dei miei ragionamenti che mi lasciai travolgere dalla sua passione.

Ero così felice che fosse lì che nient’altro valeva la pena di essere pensato.
Misi da parte quel briciolo di paura che mi aveva causato con il suo gesto da cavaliere senza macchia e mi lasciai completamente andare all’imponente onda che era entrata dalla porta.
Lo sentivo, lo annusavo, me lo stavo gustando come un pezzo di torta dopo la dieta forzata. Quanta roba era quel ragazzo, ed era lì per me, non poteva più mentire con il suo finto disinteresse. C’era tutto nei suoi tocchi, tutto quello che non riusciva a dirmi, la paura di avermi persa, la voglia di stare con me e il bisogno di vivere quell’attimo anche fosse stato l’ultimo.

Ero pronta a lasciarmi andare, non lo stavo trattenendo mentre infilava le sue mani a sfiorare ogni angolo della mia carne che si stava surriscaldando per lui.
Lo desideravo da morire, Dio poteva essere testimone di quanto avessi aspettato quel momento e di quanto avrei voluto viverlo e riviverlo anche in loop.
Fu proprio a forza del desiderio di andare contro le leggi del carpe diem che mi rivoltai a lui invitandolo ancora una volta ad andarsene. Lo volevo, mi voleva, ma non poteva essere una notte sola, io lo volevo sempre e non potevo rischiare di mandare tutto a puttane dopo lo sforzo enorme che avevo fatto.

«Da questo momento in poi si fa come dico io cherie. Io senza di te non vado da nessuna parte» aveva affermato mentre io ero ormai lontana dalle sue braccia.

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