Ryan. La verità

338 31 3
                                    

Lunedì 16 luglio

Svegliarmi accanto a lei fu come continuare il meraviglioso sogno che aveva addolcito quella notte.

Veronika dormiva profondamente, le labbra socchiuse che sfioravano il mio petto, una gamba gettata di traverso sopra le mie in un groviglio di carne e lenzuola.

Contemplando il suo viso rilassato e in pace, del tutto dimentico della crisi che l’aveva colta quella notte, sentii il cuore allargarsi e non potei fare a meno di circondarla col braccio e tirarla di più verso di me, anche a costo di svegliarla. La tenni stretta, godendomi il profumo dei suoi capelli, con gli occhi chiusi.

Se un Dio esisteva da qualche parte, avrebbe dovuto concedermi di congelare quell’istante così perfetto.

L’avevo ritrovata proprio quando pensavo di averla perduta, proprio quando le labbra di Kaylee avevano cercato di ricordarmi che Veronika non era la sola al mondo.

Ma l’intento di Kaylee era stato proprio l’opposto. Me l’aveva riportata. Forse poteva essere pessima nelle sue relazioni, ma era un’amica leale e avrei dovuto ringraziarla prima che Veronika le facesse la pelle.

La ragazza si mosse al mio fianco e io la strinsi di più. Lei si lamentò, mugugnando: «Mi soffochi…»

«Ti farò un funerale stupendo.»

Veronika sbadigliò sorridendo e schiuse gli occhi. «Buongiorno.»

Io non le risposi, preferendo premere le mie labbra sulle sue. Quello era il mio buongiorno. Lei lo era.

Sunny era partita quella mattina presto, lasciandomi solo un biglietto.

“Vado da papà. Ti chiamo appena arrivo. Sono contenta che V sia tornata” e aveva aggiunto anche una faccina sorridente.

Io e “V” passammo una giornata tranquilla, casalinga, come una giovane coppia di sposi. Veronika preparò il pranzo – cotolette bruciate e insalata scondita perché nessuno aveva provveduto a fare la spesa – poi ci rilassammo sul divano come se non avessimo un solo pensiero al mondo.

Sunny chiamò per informarci che il volo in Irlanda era andato bene, che le condizioni di nostro padre erano stabili ma i dottori non avevano speranze che uscisse dal coma. La mamma era distrutta dal dolore e Sunny si sarebbe fermata almeno fino al prossimo weekend. Le dissi che non c’erano problemi e che abbracciasse la mamma da parte mia.

Poco prima di salutarmi, Sunny aggiunse: «Potresti ricevere visite oggi. Marie è in città, ha saputo che ci siamo trasferiti qui e voleva passare a fare un saluto.»

Marie. Non la vedevo dal funerale di Kate e Zoey. Era stata una mia collega di lavoro, una modella bellissima, grintosa e simpatica che aveva rubato il cuore di molti all’epoca. Il mondo della moda si era vestito a lutto quando aveva deciso di appendere le Loboutin al chiodo e di cambiare vita. Non aveva mai spiegato il motivo, trincerandosi dietro un generico: “la bellezza non dura per sempre.”

Avevamo mantenuto i contatti. Lei e Kate erano amiche inseparabili, ero quasi geloso del loro rapporto. Erano tanto intime, non avevano problemi a farsi la doccia insieme o ad entrare nello stesso camerino quando andavano a fare shopping. Ogni volta che uscivo con loro la gente pensava fossi l’amico gay di due lesbiche.

Con la morte di Kate era venuta meno l’unica cosa che ci legava. Non l’avevo biasimata quando era scomparsa nel nulla. Io stesso dopo l’incidente mi ero chiuso in me stesso, escludendo il mondo.

«Comportati bene» si raccomandò mia sorella prima di riattaccare.

Poco prima che Marie suonasse al campanello, Veronika andò a farsi la doccia. Andai quindi io ad aprire la porta e mi trovai davanti forse la ragazza più bella del mondo. Gli anni non avevano scalfito minimamente il suo fascino; conservava la stessa aria da eterna ragazzina, lo stesso fisico flessuoso e atletico slanciato da scarpe altissime e shorts attillati.

BondingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora