Veronika. La vera me

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Domenica 1 luglio (sera)

Mi fissava, esattamente come io fissavo lui. Sotto quello sguardo distaccato, sentii le viscere rimestarsi e aggrovigliarsi tra di loro.

«Perché non ti dai una possibilità, Ryan?» chiesi tristemente.

Non pensavo più a nulla. Non a Mike, non ai documenti che avevo trovato quel pomeriggio, non al fatto che solo pochi minuti prima avessi mollato un ceffone in pieno volto al ragazzo davanti a me.

Lui si scostò brusco la mia mano dal petto e si voltò dall’altra parte.
«Perché non me la merito» replicò, giocherellando con un pelucco sulla coperta.

Sbuffai e gli afferrai il polso, costringendolo a tornare con lo sguardo sul mio viso. «Perché sei così duro con te stesso? Perché non ti sciogli un po’? Perché ti fai del male? Credi di migliorare la situazione comportandoti in questo modo?»

Vidi l’espressione di Ryan mutare di colpo, passando da un’ interesse annoiato a un guizzo di incredulità e di sconcerto.

«Che intendi dire?» domandò, tutt’a un tratto sospettoso.

Sospirai e mi feci più vicina. Quello che stavo per dire non avrebbe fatto altro che peggiorare la cosa, ne ero consapevole, ma tentai ugualmente.

Mi dispiaceva troppo per quel povero ex modello, con il quale la vita era stata ingiusta anche più della sottoscritta.

«So tutto» sussurrai, abbassando lo sguardo. «Di Kate, di Zoey e dell’incidente» e tirai fuori i documenti che avevo nascosto sotto la maglietta.

Ryan sbiancò e io mi coprii il volto.

Quando, quel pomeriggio, ero tornata a casa dopo avere girato per San Diego senza una meta precisa, per due ore buone, avevo passato tutto il tempo da sola, in compagnia dei miei pensieri, del ticchettio dell’orologio in salotto e del rumore solitario e ipnotico del rubinetto che perdeva in cucina. Mi ero pentita di non aver voluto accompagnare Ryan e Sunny a quella mostra, dato che almeno avrei fatto qualcosa. Ma era stato solo per un momento, dato che avevo trovato una piacevole distrazione guardando la tv. All’improvviso mi era venuta voglia di leggere qualcosa, nonostante le mie difficoltà. Mi ero alzata, ignorando il dolore acuto alla caviglia, e mi ero avvicinata alla grande libreria in salotto. Avevo preso il primo volume che mi era capitato sotto tiro ed ero tornata a posto. Appena l’avevo aperto, però, dalle pagine ingiallite e consunte dal tempo era sfuggito qualcosa. Era una foto. In essa erano ritratte tre persone, tra cui avevo riconosciuto solo Ryan, senza la sedia a rotelle. Accanto a lui posavano, bellissime e sorridenti, una donna e una bambina. Girando la foto, avevo scoperto una breve dedica:

Alle mie due principesse, Kate e Zoey. Vi porto nel cuore, R.

Inizialmente non avevo capito. Mi ero chiesta chi fossero quelle due e perché non abitassero con Sunny e suo fratello. Perché in quella foto Ryan sembrasse tanto felice e più diverso rispetto ad ora. Perché avesse perduto la sua leggerezza, diventando scorbutico e brontolone come un vecchio scaricatore di porto.

Scettica avevo sfogliato il libro che avevo tra le mani, scoprendo che in realtà era un collage di pagine di giornale, di foto e pagine interamente scritte a mano.

Mi ero fermata su una facciata a caso e avevo cominciato a leggere, divorata dalla curiosità.

E lì avevo compreso tutto. Avevo capito chi fossero Kate e Zoey, associandole finalmente a quelle frasi confuse che Ryan mormorava nel sonno. Avevo trovato risposta ai miei dubbi. Perché non abitassero con i due fratelli, perché non ci fosse una cameretta arredata per una bambina, perché la casa non fosse tappezzata di foto, disegni e ricordi. Avevo capito perché il ragazzo non era più lo stesso della foto. Avevo capito il motivo del suo modo di comportarsi.

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