Iris. Sguardi

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Mercoledì 27 giugno

Ero intenta a preparare la valigia quando vidi entrare Lui. Thomas Cleveland, il mio padrone. Non mi permetteva mai di chiamarlo con il suo nome, mi ripeteva che quello era solo un nome per gli altri e non per me. Alcune volte ero arrivata a pensare che la sua fosse una falsa identità.

«Cosa stai facendo, Iris?»

«Vado via per qualche giorno.»

«Dove pensi di andare, ragazzina?»

«Siamo a San Diego, troverò un hotel, ho abbastanza soldi per vivere altri cent'anni. Ti ringrazio per aver badato a me in questi anni, ma ora è arrivato il momento di utilizzare i soldi dei miei genitori, fino a quando non troverò un lavoro. Dammi la chiave.»

Scoppiò a ridere. «Chiave?»

«Sì, quella del lucchetto. Dammela.»

«No bambina, la chiave resta mia. Quando dovrai toglierlo, verrai da me. Tornerai sempre da me, Iris.»

«Lo so, ma dammi del tempo per pensare.»

«Lo farò bambina, ma ricorda, questa è casa tua. Ci vediamo in facoltà per la tua tesi.»

Presi la mia valigia senza pensarci due volte e scesi al piano di sotto. Stavo per uscire quando sentì la sua voce.

«Iris?»

Mi girai e lo guardai con gli occhi lucidi. Nonostante tutto mi sarebbe mancato.

«Tu sei la mia bambina. Tornerai e capirai che in tutti questi anni ti ho solo protetto dal mondo esterno. Ti ho protetto da tutte quelle persone che si sarebbero finte tuoi amici, e poi ti avrebbero pugnalato alle spalle. Ma ti ho protetto soprattutto da tutti quei ragazzi che vedendoti avrebbero voluto solo scoparti. Ti ho evitato di soffrire, Iris, ti ho salvato da un mondo squallido.»

Una lacrima scese sul mio volto. «Dovevi permettermi di vivere queste emozioni. Io non conosco nemmeno il significato della parola amicizia.»

Presi la mia valigia e aprii la porta andando via, senza guardarmi indietro.

Uscii fuori e alzai lo sguardo guardando il cielo. Per la prima volta avevo preso una decisione senza lasciarmi condizionare da lui. Ero certa che loro in questo momento erano fieri di me. Aspirai a pieni polmoni l'aria che mi circondava ed espirai.

Libera, per la prima volta mi sentivo libera.

«Iris?»

Mi girai e vidi Trevor. Lo avevo evitato come la peste per anni, ma ora era arrivato il momento di cambiare.

Presi coraggio e gli sorrisi. «Trevor, mi segui per caso?»

Dopo essersi ripreso dallo shock che gli avevo parlato, scoppiò a ridere. «Io non ci posso credere, per la prima volta da anni mi hai rivolto la parola. Hai il sorriso più bello del mondo.»

Scoppiai a piangere e lui lentamente si avvicinò a me, stringendomi. In quel suo abbraccio mi sentivo a casa, un sentimento che non provavo più da molto tempo.

«Allora, mi dici che ci fai con una valigia?»

«È una storia lunga. Mi aiuti a trovare un alloggio?»

Annuì senza chiedermi altro. Aveva capito che non avrei risposto alle sue domande.

«Ti avrei invitata volentieri a stare da me, ma in casa siamo già in cinque.»

«So che lavori in un hotel, mi va bene quel posto.»

«Ti sei informata su di me?» mi chiese speranzoso.

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