Arleen. Rialzarsi

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Lunedì 16 luglio

Dopo aver cacciato in malo modo Matthew ed avere avuto la breve visita di Gonçalo, più nessuno era venuto a trovarmi in ospedale.
Certo, non ero moribonda, ed io stesso avrei odiato a morte chiunque avesse fatto capolino da quella porta, soprattutto se accompagnato da fiori e palloncini. Ma non aver avuto altre
visite mi lasciava comunque un senso di solitudine.
Le mie coinquiline si erano dimenticate improvvisamente di me, dimostrandomi che era vera
la teoria che pensi ad una persona solo finchè le vostre vite coincidono.

Stavo bene, niente di rotto, nessuna commozione cerebrale, anche se dopo il pezzo che avevo fatto a Matthew poco più di ventiquattr’ore prima, potevo sembrarlo.
Mi rimandavano a casa, mi dimettevano dai letti duri e gli omogenizzati a colazione. Solo per
quello ero felice di mettere piede fuori da lì.

Uscii con indosso la giacca di pelle strappata, anche se malconcia non avrei mai rinunciato ad indossarla, anche perché copriva i grossi cerotti molto meno estetici ed io avevo
comunque una dignità di donna che volevo mantenere.
Per questo anche se venivo da due giorni di ospedale ero comunque bellissima.

Misi piede nel piazzale sperando di intercettare un taxy libero quando vidi Jona fuori dall’auto aspettarmi.

«Ehi scopamica, ti serve un passaggio?»

Mi guardai intorno per essere sicura non avesse sentito nessuno l’idiozia uscita dalla sua bocca, poi appena lo ebbi a tiro di mano gliel’alzai contro.

«Sono inferma ma riesco ancora a picchiarti se voglio.»

«Ari sei lenta» disse afferrando la mia mano in aria. «E poi… guarda con la coda dell’occhio chi c’è nella macchina cinque metri circa a sinistra da te…»

«Matt» sussurro e trasformo il mio volto in un leggero sorriso.

Allento la forza nella mano e lui smette di trattenerla, dandomi modo di fargli una leggera carezza, lenta e marcata e sopra di essa lasciarci un casto bacio che sfiorava la pelle e
lasciava insieme al mio sospiro un velo di rossetto che avevo sulle labbra.

Sembravo una adolescente, ma pensare di far rosicare almeno un millesimo Matthew mi spingeva a fare questi gesti stupidi.
Dopo di questo aprii la porta e mi feci accompagnare volentieri all’hotel dove ormai abitavo.

«Perché sei venuto a prendermi?» chiesi abbassando il volume dell’orribile musica che
ascoltava.

«Volevo farmi perdonare di non essere venuto a trovarti.»

«E perché non l’hai fatto? Anzi, perché l’hai fatto ora?»

«Ieri, ieri ho cercato di svagarmi, ho fatto delle foto ad Iris, ho pensato per un po’ solo a me, alle sensazioni che la mia macchina fotografica mi fa provare, alla voglia di tirare fuori
qualcosa di bello dalle persone, anche le persone che di bello pensano di non avere niente. Ieri l’ho fatto con Iris e l’ho anche portata in spiaggia finchè…»

«Hai portato Iris in spiaggia?» lo interruppi incredula.

«Tu non vuoi che ti ci porti perché pensi che sia un modo per abbordarti.»

«A parte che non ci sarebbe bisogno, ma perché, vuoi dirmi che non cercavi di rimorchiare
Iris?» chiesi con un pizzico di malizia.

«Mi conosci poco se pensi che me la sarei portata a letto. Volevo solo ringraziarla, mi ha tolto qualche problema dalla testa.»

«Mi stavi dicendo… “finchè…”»

«Finchè non ho visto Gonçalo e c’ho parlato. Dopo momenti di insensato piagnucolio per il bisogno di stare con Kaylee abbiamo parlato di cose serie. Mi ha detto delle foto, dello stalker, e c’è rimasto pure male quando ha saputo che non ne ero ignaro. Ho anche detto ad Iris che avrei portato Gonçalo a casa, così da farle capire che tra noi la serata era finita, di
fatto sono rimasto con lui fino all’arrivo di Kaylee. È in quel momento che ho deciso che sarei
stato io a venirti a prendere oggi, solo che devo aver dimenticato di dirlo a Matthew. Non pensavo di certo di trovarlo lì.»

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