Kaylee. Con te

310 28 5
                                    

Venerdì 20 luglio

Ancora una volta mi ero allontanata da Gonçalo con il cuore a pezzi.
Finiva sempre così.
Quella volta però, non avrei versato lacrima, lui non se le meritava. Non dopo avermi usata.
Dovevo solo raccogliere gli ultimi pezzi della mia dignità ed allontanarmi da quella città maledetta, San Diego mi aveva causato solo tanti guai.
Prima di trovare una meta lontana, però, avrei dovuto sistemare alcune faccende.                                

Tra queste c’era il mio lavoro. Avrei lasciato tutto e mi sarei dimessa, avevo fin troppo denaro da spendere in giro. Avevo iniziato la mia carriera quando ero ancora troppo giovane per dare un peso a tutte le mie azioni, avevo deciso che da quel momento in poi volevo godermi la vita e magari ritrovare quel pizzico di serenità che mi era sempre mancata, troppo obbligata a sottostare a regole assurde.

Aspettavo che la porta si aprisse torturandomi le unghie, avrei concluso anche con lei una volta per tutte.
Non appena sentii il rumore della serratura sollevai lo sguardo e la vidi venire verso di me, con la tuta arancione e le manette alle mani. Sembrava distrutta.

«Ma che piacere, la mia figliola che mi fa visita» disse sprezzante.

Sorrisi quasi divertita. Era dietro le sbarre e riusciva comunque ad essere una stronza.
«Ciao Eleanor, anche tu mi sei mancata tanto.»

«Devi aiutarmi» esordì lei, lasciandosi scivolare sulla sedia.

«No.»

Lei sollevò lo sguardo, in un'espressione mista tra la confusione e la rabbia.

«Su, non mi guardare così. Sei sinceramente irrecuperabile e non in termini giudiziari, ma come persona.»

«Non hai capito nulla, tu mi aiuterai ad uscire da qui!» gridò lei battendo le mani sul tavolo in legno.

«Calma, questi comportamenti non si addicono ad una donna, non ti vorrà nessuno se fai così. Me l'hai insegnato tu, ricordi?»

Mi alzai sotto al suo sguardo sempre più irato e incredulo.

«Non so quanto tu meriti la libertà, però farò un'eccezione e ti farò tirare fuori» il suo volto si illuminò per un secondo.

«Ad una sola condizione: cederai la tua parte dell'organizzazione a papà e ti farai una vita normale. Cambia pure identità se ti garba, ma basta uccisioni, basta giochetti di potere e bugie. Se non lo farai potrai marcire qui tranquillamente.»

Mia madre serrò la mascella, probabilmente maledicendosi del fatto che mi aveva insegnato ad essere quasi più stronza di lei quando mi impegnavo.
La vidi annuire rassegnata.

«Se una volta che sarai fuori di qui, scopro che hai fatto qualcosa fuori dai nostri accordi, ti faccio riportare in cella senza esitare.»

«Ho capito, Kaylee.»

«Mi fa piacere. Farò delle telefonate, un paio di testimoni e forse tra qualche giorno sarai libera. Ricorda quello che ti ho detto.»

Mi alzai dal tavolo su cui ero poggiata e uscii da quella stanza, sollevata di aver risolto una minima parte dei miei casini.

Giravo per le vetrine di di San Diego intenta a distrarmi, quando venni assalita da una folla di paparazzi.
Iniziarono a riempirmi di domande sulla mia storia con Gonçalo, ma l'unica che mi risuonò chiara nelle orecchie fu: "Signorina Reese, come mai non è distrutta della morte del suo fidanzato?"

Mi avvicinai alla ragazza che mi aveva posto la domanda e le chiesi di ripetere. Una, due, dieci volte fino a quando non interiorizzai ciò che mi aveva detto e poi scoppiai a piangere. Quando sentii i rumori delle fotocamere mi ricordai di essere davanti a dei paparazzi che probabilmente avrebbero stampato la mia faccia ovunque e con la poca forza che mi era rimasta in corpo mi ricomposi. Calai gli occhiali da sole sugli occhi e dopo aver afferrato la giornalista per un braccio, mi allontanai da lì. Le chiesi informazioni su informazioni, troppo scossa per credere che fosse successo davvero.

BondingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora