Arleen. Libera

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Giovedì 12 luglio

La giornata era cominciata con una voglia inespressa in corpo, prima l’amplesso spezzato con Matt, poi aver dovuto massaggiare quel corpo statuario che si ritrovava il mio capo, Jona era solo la ciliegina sulla torta.
Proporgli un massaggio in cambio di aiuto con il trasloco era sicuramente stato frutto della mia frustrazione ormonale oltre che unica moneta di scambio che potevo offrirgli, ma quando poi aveva trasportato tutti gli scatoloni da casa delle mie amiche ex coinquiline all’ultimo piano del lussuoso hotel di Llanos, non potevo negargli ulteriormente la sua ricompensa.

Lo avevo ignorato quando ancora eravamo nella mia vecchia camera, appena avevo scrocchiato le dita per cominciare mi ero resa conto che avevo troppa rabbia in corpo per poter posare le mani su di lui. Lo avevo quindi gelato con la scusa che se avesse voluto il suo massaggio avrebbe dovuto terminare tutto il lavoro. E così si era rimesso subito a sfaccendare senza fiatare ulteriormente.

Ma quando ogni scatolone era di nuovo vuoto e le cose tutte in ordine, non potevo non proporgli di nuovo la mia moneta di scambio.

«Lo vuoi o no questo massaggio?» chiesi spuntando dalla camera.

«Non lo so più» rispose sincero alzando le spalle.

Lo vidi così giù che feci appello a quel poco di empatia che avevo in corpo.
«Non sono la tua migliore amica, ma se ti serve qualcosa, anche sfogarti, io sono qui.»

«Non sono una ragazzina alla prima cotta durante un pigiama party a casa tua, non piagnucoleró dei miei problemi sentimentali.»

«Io non sarò certo quella che ti fa le treccine e mette lo smalto alle unghie, ma visto che non vuoi un massaggio, se ti serve altro dimmelo.»

«No, voglio solo tu non ti metta nei guai con il club.»

«Ancora con questa storia? Facciamo così» dissi prendendo dalla mia borsa un tesserino rosso. «Se non ti fidi che ho completamente in pugno la situazione vieni pure al club, sarai mio ospite.»

Lo prese e rigiró tra le mani il pass che permetteva ai miei clienti di accedere all’area segreta dell’hotel.
«Non è che poi mi frusti o cose del genere?»

«Non sei abituato alla mia bullwhip?» risposi sogghignando.

...

Uscita dal bar dove Matthew lavorava mille sentimenti si fecero vivi dentro di me come a voler manifestare la loro presenza e quindi la mia capacità di averli partoriti.

Rabbia.
Rancore.
Tristezza.
Confusione.

Il tutto non perché Matthew avesse deciso di chiudere quel qualcosa che non era neanche iniziato, ma perché mi erano oscure le motivazioni ed io odiavo non capire.
Si stava affezionando troppo a me?
C’era davvero qualche ragazzina gelosa dei nostri peccaminosi giochi?
Aveva paura scoprissi troppe cose su di lui, o sul suo passato?

Mi sarebbe bastata una sola di queste certezze per metterci una pietra sopra, ma tutte le sue parole nascondevano di più, sarebbe stato chiaro anche ad un bambino.
Beh, una cosa era certa, con Matthew che non mi avrebbe più stuzzicata avrei potuto dimostrare a Christopher che ero davvero la donna che aveva conosciuto qualche settimana prima.

...

Tornai all’hotel decisamente fuori forma, quei sentimenti mi aleggiavano dentro e non avrei voluto essere nei panni di nessuno degli uomini che mi sarebbero capitati a tiro.

Una volta scesa nei sotterranei dell’hotel non mi sarei mai aspettata di trovare al bar lui. Fu quasi un sollievo vederlo lì, di spalle, sorseggiare il suo drink mentre mi stava aspettando.
Aspettava me senza sapere se e quando sarei arrivata ed era una sensazione bellissima.

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