Matthew. Epilogo

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«Potresti coprirti un po’ di più?»

«Come farei a prendere il sole altrimenti?»

«Puoi anche rimanere pallida ed elitaria, non devi prenderlo per forza. Non te l’ha mica prescritto il medico.»

Arleen si piegò, donandomi una meravigliosa visuale del suo seno costretto da un costume nero di almeno una taglia più piccola del necessario. Mi guardai intorno con circospezione, per verificare se qualcun altro stesse ammirando lo stesso panorama invece che quello delle cristalline acque delle Maldive, intanto che la mia rossa e indomabile stronza personale afferrava un pacco di fazzoletti dalla borsa da mare in paglia colorata e ne estraeva uno, affrettandosi a scarabocchiarci qualcosa su. Poi me lo schiaffò in faccia, spalmandomelo sul naso.

«Ora sì. Arleen Devis: sole e mare, tutti i giorni per almeno cinque ore al giorno. Firmato: dott.ssa Arleen Devis.»

«Questa cosa della laurea ti sta sfuggendo di mano, doc.»

«Non mi pare la pensassi allo stesso modo ogni volta che mi hai chiesto di giocare al paziente.»

«No, in effetti no» ghignai soddisfatto e compiaciuto al ricordo dell’ultimo completino da dottoressa sexy che le avevo regalato. Rimanevo comunque un purista, un amante del semplice e raffinato: ciò che me lo faceva rizzare nei pantaloni più di ogni altra cosa era sempre lei col camice e nient’altro sotto.

Spesso mi fermavo a pensare a un fatto che mi piaceva definire curioso.

Una vita passata a odiare il colore bianco: mi trasmetteva idea di vuoto, di solitudine, di ignoto terrificante che io invece amavo riempire con la mia vita rigidamente impostata e definita, di puro che non mi apparteneva più dopo aver intrapreso il mio meraviglioso ma peccaminoso lavoro e di milioni e milioni di fogli pieni di infinite parole sulla vita dei miei, di mio fratello e poi su di me e l’incidente e Kevin. Bianco era l’incognita di ogni trasferimento che ero costretto a compiere per sfuggire ai peccati commessi in passato, l’incognita di ogni nuova vita che andavo a occupare. Bianca la crisalide vuota delle nuove case, impersonali e mai troppo piene ché tanto avrei dovuto abbandonarle poco dopo. Bianche le lenzuola del mio letto poco usato, troppo impegnato a scaldare quelle degli altri.

Poi, all’improvviso, lei. Lei che era rosso sempre, ma anche bianco. All’improvviso la sua pelle diafana, le lenzuola che sanno di casa e sesso e amore e del suo corpo, dei suoi umori, del suo sudore, dei suoi sogni. Bianche le mura che abbiamo abbellito con quadri importanti, foto di vacanze e con il suo diploma di laurea incorniciato. Bianco il camice con cui la vedevo sempre più spesso, in ospedale o nella nostra casa, bianco l’abito con cui la immaginavo – forse un giorno, chissà.

Il futuro rimaneva sempre un’incognita, ma adesso che Arleen era lì, pronta a dividerla con me, non faceva più paura.

«Bomba d’acqua!»

La voce squillante di Iris mi distrasse da ogni pensiero e una valanga di acqua gelida mi inzuppò dalla testa ai piedi, rischiando di rovinare il preziosissimo Rolex che avevo al polso. Scattai seduto improvvisamente e feci appena in tempo a vedere Iris che correva e rideva con il corpo del reato – il fucile ad acqua – in mano, inseguita da Kaylee e Christopher, mentre Gonçalo mi si avvicinava con un cipiglio contrariato e indubbiamente zuppo.

«Ricordami perché mi hai convinto a venire a trascorrere il Capodanno qui, Evans.»

«Non saprei, Llanos. Fuochi d’artificio in un panorama tropicale mozzafiato?»

«Decisamente no.»

«Monumenti di antiche civiltà da visitare?»

Gonçalo sbuffò vistosamente, sedendosi accanto a me sulla sdraio. «Ma fammi il favore.»

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