Matthew. Terremoto

300 34 2
                                    

Mercoledì 18 luglio

Mi sentivo distrutto, sfiancato, svuotato. Praticamente il guscio vuoto, la confezione di me stesso.

Non avevo chiuso occhio per l’intera notte e dal momento in cui ero tornato a casa dopo aver riaccompagnato Kaylee non avevo fatto altro che passare dal letto al terrazzo alla cucina e poi di nuovo al terrazzo, cercando conforto nel panorama notturno come sempre, ma non era servito a nulla.

Avevo misurato il tempo in chiamate in uscita verso il numero da cui Kevin mi aveva inviato quella foto dell’orrore, perdendo il conto del numero delle volte in cui avevo premuto il tasto di chiamata del mio cellulare dal momento in cui sul suo schermo era apparsa Arleen legata, ferita, malconcia. A nulla era servito pensare al messaggio che aveva lasciato in segreteria a Kaylee, in cui chiedeva di stare tranquilli, lasciarla fare e darle fiducia; a nulla era servito che avesse espressamente richiesto che io stessi buono e proprio per questo Kaylee mi aveva chiesto di accompagnarla a casa di Ryan per trovare conforto per gli ultimi avvenimenti, inconsapevoli di quello che avremmo scoperto su Goncalo e altrettanto a nulla era servito il discorso rincuorante che mi aveva fatto prima che di tornare a casa mia.

Niente era servito a nulla.

Sarebbe stato bello solo avere lei.

Mi incolpavo per ogni cosa. Era stata colpa mia se mi ero avvicinato troppo ad Arleen ed era sempre stata colpa mia se poi me ne ero allontanato, lasciando che Kevin la prendesse. Nella logorante presenza della sua essenza avevo finalmente lasciato che ciò che provavo mi investisse come un fiume in piena, colpendomi in faccia come uno schiaffo, gettandomi in testa il fatto che non sapevo come fosse potuto accadere, ma nel poco tempo in cui la conoscevo, Arleen mi era entrata dentro senza che nemmeno io entrassi in lei, nel senso più fisico del termine. Nonostante fossi consapevole che fosse troppo presto per parlare di amore, sapevo che in ogni caso era un qualcosa di talmente sconvolgente da essere capace di far tremare le fondamenta del mio cuore e spaccarle, così da poter seminare un bozzolo di sentimento che nel frattempo aveva messo su radici profonde e resistenti.

Era la prima donna che mi trovavo a guardare come qualcosa di diverso da un corpo da scopare e la prima donna che mi trovavo a desiderare di avere prima di averla posseduta.

Mi resi conto in quel momento che entrare in Arleen, sentirmici fuso, avvertire la sensazione del suo caldo sesso attorno al mio pene sarebbe stato il coronamento di ciò che provavo per lei, il perfetto pezzo mancante del puzzle, e non il contrario. Non era un corpo che desideravo amare, ma l’amore stesso al cui corpo avevo deciso di congiungermi. C’era una differenza abissale in questo.

Quando Veronika suonò alla mia porta mi trovò così: completamente immerso nella piena consapevolezza della mia scoperta, nella catatonia del terrore di perdere Arleen senza averla nemmeno avuta realmente, nella paralisi dovuta alla deprivazione di sonno. Non riuscii nemmeno a stupirmi del tutto per la sua presenza a casa mia, o forse non nella misura in cui avrei dovuto: semplicemente le aprii la porta di casa e le braccia, così che si potesse sfogare piangendo senza dire una parola. La condussi nella camera degli ospiti così, come fosse una bambola di pezza, completamente distrutta; la feci stendere sul letto e le diedi le stesse gocce per dormire con cui avevo stordito i miei incubi ogni notte in cui ne avevo bisogno. Aspettai che crollasse esausta tra le coperte per lasciarle sul comodino un biglietto in cui le dicevo che avrebbe potuto trovarmi a casa di Jona e le lasciai il suo numero, oltre al mio.

Mi sciacquai la faccia, passando le dita attraverso la peluria ispida che mi ricopriva le guance e che non avevo la minima voglia di rasare; indossai le prime cose che trovai sotto mano, preparai un caffè doppio e andai verso casa del mio amico, deciso a trovare con lui una soluzione.

BondingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora