Veronika. Angelo custode

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Giovedì 19 luglio

Avevo visto un film quand'ero piccola. A dire il vero ne avevo visti tanti, ma solo quello mi era rimasto particolarmente impresso.

Forse perché la mamma era scoppiata in lacrime appena i titoli di coda erano apparsi sullo schermo crepato della piccola TV.

O forse perché la sorella della protagonista si chiamava come me.

Parlava di una donna che dopo aver fatto l'insegnante di matematica per più di trent'anni, entra a far parte delle forze speciali con lo scopo di decrittare messaggi segreti e in codice.

L'unica pecca? Lei é schizofrenica e niente di quello che ha vissuto é vero. La sua vita non é mai iniziata, ma si consuma lentamente tra le mura fatiscenti di un manicomio.

É stato per anni il mio film preferito. Mi ha insegnato molto sulle persone. Mi ha aperto i segreti della mente e mi ha fatto capire quanto sia volubile e debole l'animo umano.

Per anni ho compatito la protagonista e fatto i paragoni con la sua realtà e la mia, definendomi fortunata per certi aspetti.

Fino a quel giorno.

Perché all'improvviso ho capito che quella che scambiavo per fortuna non era altro la distrazione inconsapevole di un destino troppo crudele.

Perché io sono diventata la protagonista folle di un film dell'orrore. Ero io quella che aveva i polsi costretti da delle manette e uno straccio ficcato in gola.

Ero io quella rinchiusa nell'abitacolo asfissiante di una macchina che correva nella notte, diretta per chissà dove.

Ero io quella che non aveva più nemmeno la forza di gridare o versare una sola lacrima.

Ero io quella che giaceva in posizione fetale con i vestiti ridotti a brandelli, a causa di strattoni e spintoni, tra due bestioni che non facevano altro che allungare le loro mani dove non avrebbero dovuto.

E soprattutto ero io quella che in quel momento stava lottando, come una belva in gabbia, per liberarsi e sfuggire all'ago di una siringa riempita di sedativi.

«Sentirai solo un pizzichino...» disse con un sorriso da serpe l'uomo che incombeva su di me.

Il suo compagno mi strinse le spalle, piantandomi le unghie nella pelle nuda.

«Già... Solo un pizzichino...»

Erano in quattro. Uno alla guida, uno al suo fianco e i due ai miei lati.

Strattonai le manette e lanciai un ringhiò acuto, dimenandomi con ferocia.

«La..ffa..t..mi!»

Il primo mi scosse un dito davanti al naso

«Non fare la bimba cattiva.»

Riuscii a sputare via il fazzoletto che mi teneva imbavagliata.

«Fottetevi!» strillai, tossendo saliva.

Risero tutti.

«Frederick tienila.»

Come se non avesse atteso altro, l'uomo dietro di fece scivolare la mani dalle mie spalle al busto, avvolgendomi in un abbraccio da orso, che però di dolce non aveva nulla.

Niente a che vedere con quelli che Ryan mi regalava quand'ero contenta, triste, allegra o semplicemente pensierosa e malinconica.

Fu il suo pensiero a darmi la forza necessaria per sollevare di scatto le gambe e colpire con violenza il naso del brutto ceffo difronte a me. E fu sempre il suo pensiero a far scattare la mia testa all'indietro.

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