Veronika. L'incubo ricomincia

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Lunedì 16 luglio

Girai la manopola dell'acqua e lasciai che il getto ghiacciato mi infracidasse fino all'anima e portasse via con sé dubbi, insicurezze e certezze malferme.

Era una cosa che facevo fin da piccola, lasciare alla doccia fredda il compito di svuotarmi la mente. Lei ci avrebbe messo poco. Avrebbe solo versato su di me un cascata gelida che, mentre si gettava verso l'abisso, avrebbe trascinato incurante qualsiasi cosa con se. Se ci avessi provato io probabilmente non avrei mai avuto nemmeno la forza di iniziare. Ero debole e una delle poche cose che m'impedivano di perdere il contatto con la realtà erano proprio i pensieri e i sogni ad occhi aperti.

Mi passai una mano tra i capelli bagnati e afferrai lo shampoo dal ripiano di plastica.

Ne versai una goccia abbondante sul palmo aperto e lo sfregai energicamente contro l'altro, passando poi a insaponarmi la chioma spettinata e piena di nodi.

Anche mia mamma amava sognare. Era stata lei a insegnarmi a credere nelle speranze.

Ricordo che, quando e se tornava presto dal lavoro, si sedeva difronte alla finestra e fissava il vuoto. Potevano passare delle ore e nessuno sarebbe mai riuscito a riscuoterla dal suo stato catatonico. Neanche io.

Una volta ero scivolata sul ghiaccio e mi ero sbucciata il ginocchio, ma lei era accorsa solo diversi minuti dopo quando ormai avevo ripreso a correre dietro le altre bambine del quartiere e il sangue si era cristallizzato sulla pelle. Io non me l'ero presa, mi ero asciugata le lacrime e avevo dimenticato l'accaduto.

Una sera, stufa e mezza addormentata, le avevo chiesto come mai si comportasse così, la sua risposta era stata: alcune persone hanno i soldi, altri la fama. Io i miei sogni e l'amore di una piccola principessa.

Credo che quelle poche parole siano state quelle che più mi hanno colpita. Quelle che mi hanno aperto gli occhi su un'altra dimensione e mi hanno donato un nuovo modo di vedere le cose.

Quelle che erano state impresse da un fuoco dolce nel mio cuore e nessuna scheggia aveva avuto il potere di cancellarle.

Non per il modo in cui le aveva mormorate, quanto per la dolcezza nostalgica che si celava dietro a ogni parola.

La dolcezza che solo una mamma può provare e trasmettere.

La dolcezza grazie alla quale ero cresciuta ed ero diventata una donna.

La donna che mi aveva permesso di continuare a vivere.

La donna che mi aveva insegnato la fiducia nel prossimo nonostante tutto.

La dolcezza che mi aveva aperto il cuore affinché m'innammorassi perdutamente di Ryan.

...

Qualcuno aveva suonato al campanello.

Aprii il box doccia e uscii fuori, gocciolando ovunque.

A tentoni cercai l'asciugamano, che avevo buttato da qualche parte prima di fiondarmi sotto l'acqua, e mi asciugai il viso.

Tossii, improvvisamente infreddolita.

Mi avvolsi in un asciugamano e mi accostai allo specchio, togliendo il vapore con una mano.

Una Veronika distratta e con gli occhi velati e un naso orrendamente storto mi restituì il riflesso.

Mi osservai a lungo.

I capelli, che avevo tagliato in un raptus di rabbia usando un coltello da cucina, stavano ricrescendo allungandosi sotto le orecchie e accarezzandomi le spalle.

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