Lunedì 2 luglio, mattina
La luce del sole filtrava dalla tapparella socchiusa, trafiggendomi gli occhi come minuscolissimi spilli e non concedendomi tregua dall'emicrania martellante con cui mi ero svegliato quella mattina. Mugugnando, cercai maldestramente, a tentoni, l'analgesico che sapevo di avere sul comodino e nel farlo urtai la bottiglia di Lagavulin ormai vuota, che si schiantò a terra con un rumore sordo, frantumandosi in una miriade di cocci.
Se il buongiorno si vede dal mattino, non oso immaginare il resto di questa giornata di merda. Non che quella di ieri sia finita meglio.
Sbuffando, mi rassegnai a scendere dal letto, dal lato opposto a quello del disastro a cui avrei rimediato dopo. Mi trascinai fino al bagno, sfilai i boxer e mi guardai nello specchio, in tutto il mio terribile aspetto. I capelli erano più arruffati del solito, profonde e violacee occhiaie mi segnavano gli occhi e un accenno di barba incolta mi ricopriva le guance, donandomi un aspetto trasandato che non mi apparteneva. Alla fine ero riuscito a buttarmi prepotentemente tra le braccia di Morfeo e a prendermi con la forza il sonno che meritavo, concedendomi una pausa dai continui pensieri, ma a quale prezzo? L'uomo che mi guardava, di rimando, dallo specchio, non era che la mia grottesca caricatura e io ho sempre pensato che l'aspetto esteriore riflettesse quello interiore: un guscio pulito e ordinato, sempre impeccabile e sotto controllo, rimanda a un animo pulito e ordinato.
Con i pugni chiusi e le nocche ben salde sul marmo del lavandino, abbassai la testa e cercai di riprendere il controllo della situazione, mentre il petto si sollevava e riabbassava freneticamente e una morsa opprimente mi attanagliava il cuore e cercava di schiacciarmi i polmoni, impedendomi di respirare come dovrei e incamerare tutta l'aria di cui ho bisogno. Ero nel pieno di un attacco di panico.
Mi sedetti sul water, rilassai la schiena e appoggiai la testa al muro, sollevandola e rivolgendo un muto sguardo al soffitto; rivoli di sudore freddo mi scendevano lungo il volto e per tutta la spina dorsale, mentre portavo la mano destra al petto, in un disperato tentativo di tenere il cuore al suo posto, visto che sembrava volesse fuggire via. Contai i battiti impazziti e cercai di concentrarmi solo su di loro, riuscendo, poco a poco, a calmarmi.
I motivi che mi avevano portato a un tale crollo emotivo erano innumerevoli e tutti pesanti come macigni. L'aver rivisto quell'uomo, che mai avrei pensato di vedere qui a San Diego, la fuga in macchina e la folle corsa fino a casa nel cuore della notte... A tutto ciò si aggiungeva che avevo ricevuto una chiamata da Eleanor, quella stessa notte, che nel suo inconfondibile stile lapidario, mi aveva chiesto se fossi riuscito ad avvicinarmi alla figlia. Mi ero limitato a un laconico "Più o meno", non volendo di certo rivelare il piccolo incidente con l'automobile di Kaylee, sicuro che non avrebbe propriamente... approvato, ecco, l'accaduto, nonostante lei non mi avesse identificato come il responsabile.
Quando Eleanor mi aveva detto che mi avrebbe fatto avere al più presto notizie sugli spostamenti della figlia, ne ero stato immensamente felice: ero preso dai sensi di colpa per aver rubato la macchina - ero un gentiluomo, che diamine: puntavo ad amare le donne, non a derubarle - ed ero intenzionato a incontrarla il prima possibile per poterle organizzare qualcosa. Volevo scusarmi implicitamente per l'accaduto.
Un tempo infinito dopo, mi sembrò di aver ripreso il controllo della situazione, mi alzai e mossi qualche passo traballante verso la cassettiera in cui conservavo i boxer puliti, così da prenderne un paio prima di fare la doccia. Lo sguardo mi cadde sulla foto incorniciata posata sul mobile, la afferrai tra le mani e la studiai nei minimi particolari.
Due coppie, immerse in un paesaggio verdeggiante e illuminate dal sole, sorridevano felici alla fotocamera, strizzando gli occhi a causa dell'eccessiva luce di quella mattinata estiva. Ai loro piedi c'era una tovaglia a quadrettoni bianchi e rossi, stropicciata e piena di briciole, con accanto un cestino da picnic. Tutto il quadretto trasudava felicità, spensieratezza, voglia di vivere: a guardarli sembrava che nemmeno un problema potesse scalfire la loro gioia.
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Bondings
ChickLitSiamo di nuovo noi, le pazze del Club della Frusta, con un nuovo progetto! Se vi aspettate di leggere una trama, resterete delusi: noi siamo le prime a non avere idea di quello che combineremo. Possiamo solo assicurarvi tanto sesso, quindi per chi a...