Capitolo 32: Ma io c'ero.

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Capitolo 32
Ma io c'ero.

Domani sarà la Vigilia di Natale e il mio umore è sotto i piedi. Guardo casa mia, addobbata a festa con colori verdi e rossi ovunque, ma non riesco neanche a sforzare un sorriso per Albert.

«Leva quel muso lungo quando arriva Papà.» Mi intima con un falso tono duro, mentre Edward, seduto accanto a lui sul divano a giocare con la play con Albert, finge di non ascoltarci.

«Non ho il muso lungo.» Ribatto, ma in realtà ha ragione, lo so io e lo sa anche lui.

«Come no.» Si intromette Edward e Albert gli tira una spallata per farlo sbagliare a giocare, infatti iniziano a darsi pizzicotti e pacche per far sbagliare l'altro. Sono dei bambini.

Mi alzo dalla poltrona e abbandono il mio libro sul tavolino. Che stupida che sono stata a pensare di poter leggere qualcosa in questa casa! C'è sempre qualcosa o qualcuno che mi interrompe, infastidisce ed impedisce la lettura o qualsiasi altra attività volessi intraprendere.

Salgo le scale ed entro in camera mia, chiudo la porta con un tonfo. Apro la finestra e vado sul balcone, non prima, però, di aver preso una felpa che avevo precedentemente buttato sul letto.

C'è una forte umidità fuori, anche perché ha piovuto fino a poco fa, ma nonostante questo le temperature non sono troppo basse.

«Maya.» Mi sento chiamare da quella voce.

Mi volto cercando di reprimere la voglia di picchiare il suo bel faccino. «Matthew.» Ricambio il saluto, mi fa male vederlo così vicino a me -separati solo da un paio di metri.

«Come stai?» Mi domanda lui con un sorriso radioso, sembra essere tutto tranquillo e okay per lui. Ma come diamine fa?

«Mh.» Annuisco solamente. «Te? Che ci fai qui? Non dovevi essere a Londra?» Chiedo con freddezza, ma le mie mani stanno tremando e sono certa non per colpa del freddo.

«Sì, partirò in questi gironi.» Conferma annuendo. Sembra essersi accorto del mio sguardo vacuo su di lui, infatti mi sto sforzando di non essere gentile, di non sorridergli e di non mostrarmi dolce e buona come sempre. «Credo che partirò il giorno di Natale.»

«Mh, okay.» Che senso ha starlo ad ascoltare se tanto mente?

Distolgo lo sguardo dal suo, ma solo perché i suoi occhi marroni sono troppo impegnati a scavare in ogni centimetro della pelle del mio volto e io sono davvero troppo presa da lui per comportarmi in maniera normale.

Mi è quasi bastato un piccolo scambio di parole per riuscire a dimenticare quella sera, ciò che ho visto. Mi è bastato guardare i suoi capelli tirati all'indietro e alcuni riccioli castani tendere verso il basso incorniciando il suo volto per poter quasi pensare di dimenticarmi di tutta quella faccenda.

Indossa una felpa nera pesante e larga -deve essere anche comoda-, ma non voglio controllare meglio come si è vestito, perché sono troppo impegnata a guardare qualcosa nel giardino sotto di noi per poterlo analizzare meglio.

«Come sono andati questi primi giorni di vacanza?» Domanda lui, ma perché non lascia perdere la conversazione?

«Bene.» Mento, sono stati uno schifo.

Ho una voglia matta di chiedergli come siano andati i suoi, cosa ha fatto, cosa ha mangiato e perché ieri pomeriggio c'era una forte musica natalizia a casa sua -le pareti non sono poi così grosse come si pensa. Ma questo mio desiderio non verrà esaudito, perché non ho alcuna intenzione di chiedergli niente.

«Bene.» Ripete lui, sento i suoi occhi pungermi addosso, ma non mi muovo di un centimetro.

Resto in silenzio e anche lui. Infatti si forma un grande velo di silenzio ed imbarazzo che aleggia su di noi, ma nessuno dei due ha intenzione di aprire bocca.

Fallin all in youDove le storie prendono vita. Scoprilo ora