85. Ferentari pt2

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Ferentari è tristezza e angoscia, degrado e speranza mai esistita. Le suole delle mie scarpe battono su un terreno impolverito. In questo quartiere non esiste asfalto se non in piccole aree.

Il ghetto è popoloso di rom, di bambini a torso nudo e malnutriti, di donne incinte nel mercato, vecchi ammalati e uomini tossico dipendenti. Le abitazioni potrei definirle quasi delle baracche. Questi edifici solo a guardarli sembrano cascare. Saranno sicuramente pericolanti e chissà quanta umidità filtra nelle mura.

La pittura dei palazzi si è innerita, forse a causa della pioggia o semplicemente perché non è mai stata fatta una ristrutturazione di questi edifici. Mentre Rooney, Arthur, mia zia ed io cerchiamo l'indirizzo, ovvero Altea Zorilor, che è stato scritto sul retro della fotografia, forse da mio padre o forse da mia madre, mi guardo intorno.

Fisso le donne, alcune con dei veli a coprire i loro capo, altre senza, e con un'orda di bambini a seguirle. Fisso quest'ultimi, dai petti ossuti e dalla pelle mulatta.

I loro visi sono scarni, infossati, occhi che hanno visto troppo poco nella loro vita, da non rendersi conto che al di fuori di un quartiere così degradato e lasciato a marcire a sè stesso, esistono posti più colorati e luminosi per loro e per il loro futuro.

Questa realtà mi fa rabbrividire. I peli sulle braccia si rizzano, un groppo in gola mi impedisce di dire una sola parola. Rooney mi afferra la mano che stringe forte.

"Siamo arrivati, credo" annuncia Arthur.

Mi volto indietro, dove il padre di Rooney e mia zia camminano uno affianco all'altro.

"No, io non credo proprio" interviene mia zia arrestando i suoi passi. "Non dobbiamo svoltare qui" indica una stradina che ci finacheggia, mentre fissa la mappa che ha tra le mani "Ma alla prossima traversa".

"Signora Bonnet-".

"Signor Muller, guardi pure" mia zia sporge la cartina verso l'uomo.

Intanto Rooney ed io ci lanciamo un'occhiata divertita, finché un bambino mi spinge involontariamente per poi cascare ai miei piedi. Mi piego sulle ginocchia per aiutarlo a mettersi in piedi, ma un ragazzo più o meno della mia età, lo afferra prima di me e lo prende in braccio, per poi continuare a camminare svelto per la sua strada.

"Sì, okay ha ragione" dice Arthur quando già mi rimetto eretta. "Dobbiamo svoltare alla prossima".

Dopo qualche minuto ci ritroviamo dinanzi il palazzo, nel quale molto probabilmente abitavano mio padre e mia madre. L'edificio ha un aspetto indecente.

I balconi sulla facciata principale sono corrosi e infiltrati di acqua piovana, le mura scrostrate, e non molto lontano dal condominio c'è un ammasso di rifiuti. Entriamo tutti e quattro nella struttura, che sembra davvero pericolante, saliamo le scale ed io non provo nemmeno a poggiare le dita sul corrimano di ferro.

Arrivati al primo piano, Rooney nota un targa su una porta. Su quest'ultima si può leggere, anche se con un po' di difficoltà a causa della polvere, 'Lambert'.

Il cuore inizia a battermi forte della cassa toracica e le mani a sudare. Mia zia mi affianca e avvolge un suo braccio attorno alle mie spalle, come a volermi dire "ci sono io qui con te".

Il signor Muller si guarda intorno, poi sfila fuori la pistola. "State indietro" punta l'arma sulla serratura della porta.

"Papà, ti prego" sospira il figlio. "Non c'è bisogno" si avvicina alla porta e dà un calcio su di essa, la quale casca subito. "È di cartone".

Ci guardiamo tutti negli occhi, per poi entrare nella casa, nella quale hanno vissuto i miei genitori. Una sensazione mista tra angoscia e adrenalina riempie il mio cuore, quando cammino per il piccolo bilocale. Non c'è tanto da vedere, in realtà.

𝐌𝐘 𝐋𝐈𝐅𝐄 𝐈𝐒 𝐀 𝐂𝐎𝐌𝐄𝐃𝐘|| 𝐂𝐎𝐌𝐏𝐋𝐄𝐓𝐀✔Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora