Capitolo 7-Jess

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È proprio bello qui. Il campus è pieno di spazi verdi, potrei quasi dire che si respira aria pura. I ragazzi camminano con i loro libri tra le mani commentando la lezione dell'ora precedente e gli insegnanti vanno di fretta guardando l'orologio come se stessero perdendo il treno da un momento all'altro. È tutto più frenetico qui a Greenwich ma non posso negare che mi trovo a mio agio. Ho sempre amato la frenesia, mai la pacatezza. La pace. No, la pace non fa per me. Quando a volte mi capita di uscire tardi dalle lezioni sento in lontananza la musica provenire dai locali. Nell'ultimo anno ho sempre voluto lasciarmi andare, tornare a fare quello che facevo prima. Entrare in uno di quei locali e iniziare a ballare fino a notte fonda. O almeno questo era quello che facevo senza dirlo a Dan, lui avrebbe dato di matto. Ma non glielo tenevo nascosto per molto, anche perché il giorno dopo se ne rendeva conto da solo dalle mie occhiaie. E quelle erano le cause principali dei nostri litigi. Io che volevo essere quella che ero realmente e lui che mi modellava a suo piacimento. E la cosa peggiore è che glielo lasciavo fare. Forse mi andava bene così. Da quando mio padre è morto ho lasciato perdere quella vita e il mio rinchiudermi è stato un sollievo per Dan. Non me l'ha mai detto ma io l'ho sempre saputo. Preferiva tenermi stretta a lui in quel modo piuttosto che capire che doveva lasciarmi andare. E a me stava bene così, ormai non avevo nulla da perdere.
"Vuoi fare un tiro?". Una tipa stramba si avvicina e si siede accanto a me nel muretto, a gambe divaricate mentre continua a fumare la sua sigaretta.
"No, grazie...".
"Ho iniziato da qualche giorno e non ci sto capendo ancora niente, sono proprio tutti di corsa qui eh?!", dà un altro tiro e mi porge una mano. "Sono Adèle". Indossa una camicia e una cravatta e dei pantaloni, per non parlare delle scarpe lucidissime. Ha dei capelli corti e ricci che sparano boccoli dappertutto. Ha gli occhi azzurri, quei tipi di occhi che non appena ti guardano ti fulminano, ma quello che mi colpisce di lei sono le fossette che appaiono improvvisamente sul suo viso ogni volta che sorride. "E tu sei...". Mi rendo conto che l'ho lasciata con la mano sospesa per troppo tempo.
"Jessye... Sono Jess".
"Sei anche tu nuova qui?".
"Da qualche mese... Vedrai che pian piano ti abituerai a questi ritmi. Cosa ti porta qui?".
"Il mio sogno. Non appena ho potuto ho preso l'aereo da Parigi e sono venuta ad insegnare qui. La mia casa è New York. Il mio posto è qui".
E la guardo con ammirazione, Adèle si guarda attorno annuendo, confermando in quel modo le sue parole. Sembra una donna che sa quello che vuole o, meglio, che l'ha ottenuto. È una grande forma di ispirazione per me. Segue con lo sguardo la moltitudine di studenti che ci passano davanti. "Non pensi che questi mostri più che qualche lezione abbiano bisogno di una vera e propria psicoanalisi?".
Rido di colpo, è impossibile non farlo. È buffa, anche nel modo in cui dice le cose. Finalmente un attimo di diversione in questa giornata. "Già... Anche tu insegni...".
"Psicologia? No, per fortuna no. Piuttosto avrei bisogno io di qualcuno che mi psicoanalizzi", ride anche lei divertita dalle sue stesse parole, "Insegno francese".
"Già... Che domande...".
"Mi sa che è tardi", Adèle scende giù dal muretto, "Vado a cercare l'auditorium de secondo piano. Mi hanno detto di andare lì... Dovrebbe esserci una sorta di conferenza... Non ho capito esattamente di cosa si tratti ma sono sicura che non sarà per niente divertente. Ci vediamo in giro, dottoressa Cooper".
"Cosa?! Allora...".
"Già... Mi sono già informata bene e... Direi anche che sono un'ottima osservatrice". Mi schiaccia l'occhiolino e si allontana con quelle fossette che le segnano il viso, lasciandomi qui senza parole. La saluto mentre si allontana in mezzo alla moltitudine di ragazzi che percorrono la sua stessa strada. Dopo qualche secondo non la vedo più.
Quando illumino il display del mio cellulare trovo delle chiamate perse e dei messaggi su WhatsApp, di cui uno che ruba la mia attenzione.

Ti prego, dammi solo del tempo per spiegare. Buon compleanno Jess

Compongo il numero di Daniel, lo so a memoria. È lo stesso da più di dieci anni.
"Grazie per aver chiamato". Risponde dopo il primo squillo.
"Cos'hai di così importante da dirmi?".
"Non così Jess, non per telefono".
Sono indecisa se mandarlo al diavolo o restare in linea. "Tra poco andrò al Greenwich's café...".
"Ti raggiungo lì".
Riattacco subito senza curarmi se aveva altro da dire e pentendomi subito di avergli detto di incontrarci. Ma, in fondo, so che glielo devo.

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