Capitolo 44-Jess

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È lì, proprio lì seduto sulla stessa sedia dove ogni giorno ricevo i miei pazienti. Mi fermo a guardarlo più volte e lo so già, è come se non riuscissi a trovare la giusta concentrazione per affrontare questa seduta. Ma come potrei mai?! È tutto diverso perché lì, su quella sedia, è seduto l'uomo che amo. Mi sento come bloccata in un limbo dal quale fatico a uscire fuori. Mi vengono in mente tutte quelle volte che l'ho pregato di parlarmi, di fidarsi di me, di raccontarmi ogni cosa. E adesso che è davvero qui tutto mi sembra così surreale e non so se ne sarò capace, di scoprire questa parte di lui che fino ad adesso era nascosta. E mi sento così stupida ad aver desiderato così tanto tutto questo finendo poi ad aver paura di scoprire la verità su tutto quello che gli è successo.
Chris è nervoso, muove le gambe come se avesse una specie di tic, con una mano porta indietro i capelli che continuano a ricadere appiccicandosi alla fronte, inumiditi dal sudore. Strano, perché non c'è affatto caldo. Vorrei andare lì e provare a calmarlo, rassicurarlo ma, per quel che posso, devo provare a mantenere la mia etica professionale. Quello che temo è che possa pentirsi di tutto questo, da ora in poi ogni mia mossa definirà ogni cosa e stavolta non voglio commettere nessun errore, non voglio sbagliare. Alza gli occhi più volte verso di me per poi ignorarmi nuovamente, come se fosse combattuto tra quello che vorrebbe dirmi e quello che, in realtà, sono sicura che vorrebbe continuare a tenere nascosto. È come se davanti a me avessi due versioni di Chris, l'una che combatte contro l'altra violentemente ed io sono qui inerme davanti ad entrambe.
Apro il mio quaderno d'appunti e inizio a prendere tempo scrivendo che giorno è oggi e l'ora. È tardi, manca meno di un quarto d'ora alle dieci. Di solito per le otto concludo l'ultima visita ma è chiaro che stavolta farò un'eccezione, stavolta si tratta di Chris. "Quando vuoi puoi iniziare".
A queste parole lui ferma all'stante i movimenti delle gambe che, giusto fino a qualche secondo fa, battevano sul pavimento incontrollabili. Mi guarda a lungo, per un tempo che mi sembra quasi infinito. Poi, alza gli occhi verso il soffitto tirando un respiro profondo e, dopo aver poggiato la testa sulle nocche quasi nascondendosi, torna a guardarmi e stavolta credo si decida a parlare.
"So che è difficile per te ma...".
"No", mi interrompe sicuro, "Non scapperò ancora, non da te. L'ho fatto per fin troppo tempo. Ho bisogno di farlo, ho bisogno di liberarmi da questo... veleno". Ha le lacrime agli occhi, eccolo lì seduto di fronte a me indifeso. Chris con le lacrime agli occhi, Chris che piange, Chris che rivela questa parte così innocente di sé. Ma com'è possibile? Questa nuova versione di lui mi intenerisce, quasi mi impietosisce. E' in perfetto contrasto con quell'altra parte forte, indistruttibile e che quasi mi spaventava. Per la prima volta sto vedendo la sua parte più debole ed io mi sento come davanti a un neonato appena venuto al mondo, ho paura che ogni mia mossa possa fargli male. Provo a contare tutte le volte che provo ad alzarmi dalla sedia per correre da lui, quasi in suo soccorso, ma finisco sempre col risedermi. Provaci Jess, devi farlo per lui, e per te.
"Ero con Eric quella sera. Giocavamo ai videogiochi e si era fatto tardi. Mia madre mi aveva raccomandato di stare attento all'ora ma ero nella casa accanto, non avrei dovuto fare strada per rientrare e non ho dato peso al tempo. Era così con Eric, le giornate volavano davanti a quella vecchia tv di sua nonna. Fu lei ad avvertirmi di tornare a casa, mi disse che sicuramente mia madre le avrebbe telefonato da un momento all'altro. Mi venne il batticuore, mi veniva sempre quando infrangevo una delle promesse che le facevo. Le promesse... Per noi erano sacre, le uniche cose che contavano davvero: poter contare l'uno sull'altro. Mi sentivo in colpa, ricordo di essere uscito da casa di Eric quasi inciampando e lui era lì, alle mie spalle, mentre rideva guardandomi andar via. Mentre mi avvicinavo a casa, mi accorsi che la luce della cucina era accesa, l'unica di tutta la casa. La nonna di Eric mi disse che mancava un quarto d'ora alla mezzanotte e, a quell'ora e come ogni sera, Steph avrebbe dovuto essere in camera sua a parlare al telefono con le sue amiche. Invece, la luce della sua stanza era spenta. Le uniche volte che lo era voleva dire che non era in casa, ma quel giorno ero sicuro che lo fosse. Fu come un segnale d'allarme per me, sentivo che qualcosa non stesse andando bene...". La voce di Chris si spezza di colpo. Resta a bocca aperta come se stesse cercando di riprendere fiato. Guarda un punto fisso e chiude gli occhi, cercando di trovare la calma. Mi si spezza il cuore vederlo in questo stato ma, allo stesso tempo, sono fiera del suo autocontrollo, sono sicuro che si sta impegnando davvero tanto.
"Se vuoi possiamo fare una pausa, non devi dirmi per forza tutto adesso. Possiamo andare a step...".
"Posso farcela". Torna a guardarmi, più che convincere me sembra che voglia convincere se stesso. Poi, annuisce e riprende, "Non appena aprii la porta di casa sentii un silenzio lancinante. Ci pensi? Come si fa? Come si fa a sentire il silenzio? Sembra un paradosso, lo è davvero. Ma quella fu l'unica volta che riuscii a sentirlo. Passai la sala da pranzo e, non appena arrivai in cucina, restai immobile. L'immagine di mio padre di spalle con quella pistola in mano diede un taglio netto a quel silenzio. Lo spezzò facendomi sentire un gran rumore ma... Era tutto nella mia testa perché, in fondo, tutto quello che avevo attorno era immobile, come sospeso nel tempo. Da un lato, alla sua sinistra, c'era mia madre distesa sul pavimento e dall'altra, alla sua destra, mia sorella. Entrambe erano prive di sensi e l'unica cosa che riuscii a fare fu continuare a stare in silenzio. Lui mise le mani tra i suoi capelli mentre continuava a tenere quell'arma stretta tra le sue dita. Iniziò a dire qualcosa, non ricordo bene cosa ma sono sicuro che era sconvolto dalla scena che aveva davanti a sé. Ricordo che singhiozzava, così forte da crollare di colpo sul pavimento come se le sue gambe non riuscissero più a reggere il suo peso. Ci fu un momento in cui chinò il capo ed iniziò a scuotere la testa come se stesse continuando a dire di no, quasi a negare la terribile scena davanti a lui. Poi, di colpo, fece scivolare la pistola alle sue spalle così forte che arrivò ai miei piedi ed io rimasi lì ad osservarla non so per quanto tempo".
"E... Che cosa è successo dopo?". Mi tremano le gambe, adesso sembra che abbia degli spasmi anche io. Non mi era mai capitato, con nessun altro paziente, di sentire tutto questo. E' come se ad ogni parola di Chris sentissi delle fitte allo stomaco che mi fanno piegare in due, come se anch'io fossi dentro quella storia.
"Gli sparai. E, poi, il buio più totale. Non mi ricordo altro se non tuo fratello che continuava a scuotermi".
"Garret... Come arrivò lì?".
"I vicini sentirono degli spari e chiamarono la polizia e lui era da quelle parti quella sera. Ricordo la nonna di Eric che continuava a parlarmi ma io non sentivo nemmeno la sua voce, vedevo solo le sue labbra muoversi. Tutti continuavano a dirmi qualcosa, la polizia, la gente lì fuori casa mia che mi guardava con compassione e con scalpore. Un bambino di undici anni che aveva appena ucciso suo padre. Lo scandalo del 2000 successo proprio a Greenwich... Puoi immaginare che cosa significò tutto questo a quel tempo?".
"Che cosa ricordi del momento dello sparo?".
"Lo sparo, nient'altro".
"Pensaci Chris, chiudi gli occhi e prova a tornare indietro. Che cosa ricordi?".
"Vent'anni Jess... Per vent'anni ho chiesto a me stesso di ricordare, ripetutamente, ogni dannata notte quando chiudevo gli occhi come tu mi stai chiedendo di fare proprio adesso. Poi, l'ho capito".
"Che cosa vuoi dire?".
"Spensi l'interruttore. In quel momento che vidi mia madre e mia sorella prive di sensi decisi di non provare più niente. Non sapevo se fossero entrambe morte, non sapevo niente... L'unica cosa di cui ero sicuro è che ne avevo abbastanza. Fu come... Una reazione a catena. In quel momento mi si materializzarono davanti agli occhi tutte quelle volte che vedevo mia madre litigare con mio padre, tutte quelle volte che lui era violento con lei... E con Steph. Una volta provai a difendere mia madre ma fu lei ad urlarmi di andare via, di correre da Eric. Era lei, sempre lei, a proteggermi. Quella sera volevo essere io per la prima volta a fare qualcosa per lei e per mia sorella. Capisci Jess?!", ride mentre di colpo le lacrime gli scorrono sul viso, "Sono stato io! Ho ucciso mio padre! E avevo solo undici anni... Di che cosa sarei capace adesso?! È per questo Jess! È per questo che per tutto questo tempo, per tutti questi mesi, ho cercato di allontanarmi, di fare casini... Per farti allontanare da me. Che cosa potrebbe offrirti uno come me? Dopo quello che ho fatto... Io sono un assassino". Quella parola pesa a lui tanto quanto a me, come un macigno improvviso arrivato con tutto il suo peso di di noi. Mi guarda con gli occhi sbarrati, terrorizzati. 
"Quello che hai fatto è il risultato di una sofferenza che si è nutrita di te per fin troppo tempo!". Mi rendo conto che delle lacrime iniziano a scorrere sul mio viso, così, senza che io me ne renda conto. Vedere Chris in questo stato mi distrugge, è come se, in un modo o nell'altro, tutto questo facesse parte anche di me. "Adesso ti farò una domanda, ti sembrerà fuori luogo e strana ma ti prego di rispondermi... Com'era la scuola?". Questa domanda sembra quasi sorprenderlo ma annuisce quasi subito, come se avesse capito a che cosa voglio arrivare. "Ricordi qualcuno che a quel tempo si rese conto del tuo disagio?".
Chris sembra riflettere su qualcosa, a lungo. "C'era... La mia maestra di italiano. Un giorno mi disse che avrebbe voluto parlare con mia madre. Accadde qualche giorno prima, ricordo di non averglielo mai detto".
"Non stavi bene Chris... Tu soffrivi del disagio che vivevi tra le mura di casa tua, ma cercavi di nasconderlo per non dare dispiacere a tua madre perché sapevi che le avresti dato conferma dell'incubo che stavate vivendo. Lei proteggeva te e tu lei ma avevi solo undici anni... Devi capire questo! Tutto quello che è successo non è colpa tua. Quello che è successo davvero è che sei stato vittima di abusi all'interno della tua propria casa. Anche se non li hai vissuti sulla tua pelle, li hai visti con i tuoi occhi su quella di tua madre e di Stephanie. Quello che è successo quella sera è semplicemente che il tuo cervello è andato in blackout e quello che hai fatto non è stato altro che proteggere la tua famiglia da quello che tu credevi fosse un mostro".
"Credevo...".
"Non lo credi più?".
"Non so più che cosa credere Jess. Considerando quello che ho appena scoperto sulla mia famiglia non so più che cosa sia stato reale e che cosa no. Come se la mia vita fosse stata tutta una finzione... Ho trascorso dieci anni isolato dal mondo, in un riformatorio dove mi trattavano come una bestia, come se volessero ricordarmi che meritavo di stare lì e ho trascorso gli altri dieci come un mendicante in giro per il mondo facendo cose di cui non vado fiero e facendo ogni tipo di lavoro mi capitasse tra le mani, qualunque. Con quello che guadagnavo mi pagavo un nuovo biglietto aereo e andavo via perché non volevo legare con la gente o, meglio, non volevo che la gente legasse con me. Non potevo stare in un posto più di qualche mese, era fin troppo...".
"E' per questo che non volevi che io legassi con te".
Alle mie parole resta a fissarmi, a lungo, accennando un mezzo sorriso che mi provoca una fitta che mi taglia in due lo stomaco. "Non dovrebbe mischiare il lavoro con il privato dottoressa", mi risponde come se le mie sensazioni avessero raggiunto anche lui. Dottoressa... Quella parola così comune detta da lui risulta adesso incredibilmente sexy. Seguo l'andamento delle sue labbra mentre la pronuncia e cerco di restare il più possibile seduta sulla poltrona, anche se adesso mi è così stranamente difficile.
"Perché dici che ci credevi? Hai dei dubbi su tutto quello che è successo?", dissimulo.
"Oggi sono stato dal signor Wilson, l'avvocato di mio padre e l'uomo che ha sempre gestito tutti i suoi affari nonché il suo braccio destro e... ho scoperto qualcosa che mi ha sconvolto".
Quel nome... Eric me ne ha parlato proprio qualche giorno fa.
"Cazzo!", Chris ride scuotendo la testa, "Mio padre non era quello che credevo che fosse. Tutta la mia infanzia, i miei ricordi, sono andati a puttane!".
"Che cosa ti ha detto di così sconvolgente quell'uomo?".
"Non posso...", Chris si alza. Inizia a girovagare per tutta la stanza, sembra piuttosto scosso.
Mi sento in difficoltà ed è una cosa che solitamente non succede con i miei pazienti. Di solito sono io a mantenere il controllo della situazione ma stavolta sembra proprio sfuggirmi di mano. "Chris... Ti prego...".
"E' stato un errore... Non sarei dovuto venire...". Fatica a respirare come se di colpo gli mancasse ossigeno.
"Non farlo...", vado verso di lui cercando di fermarlo ma mi respinge scappando ancora, "Non allontanarti, non di nuovo, non adesso che siamo arrivati fino a qui".
Chris mi guarda, scorre una lacrima sul suo viso che spezza il mio cuore. E' diverso, posso leggerglielo negli occhi. E' come un libro aperto adesso, vedo e sento che ha bisogno di me.
Non posso mollare, non adesso. "Ti prego, parlami! Dimmi che ti ha detto quell'uomo!".
"Sapevo che il grande Russel Lewis aveva un bel giro di affari ma... Puoi crederci?! Sono milionario!", ride isterico, "Sono milionario e la cosa più assurda è che nemmeno mi importa! Dio... Mi sento così sporco! E... Lurido proprio come lui!".
"Cosa?! Di che stai parlando?".
"Mio padre non possedeva solo quello stupido locale... Il Golden. Io sapevo che andavano molto bene i suoi affari ma ero solo un bambino e non avrei mai potuto immaginare così bene! Oggi Wilson mi ha mostrato una specie di foglio con una lista di... attività di mio padre di cui non ero a conoscenza. Sai qual è la cosa più assurda di tutta questa situazione? Mia madre! Lei era l'unica cosa alla quale mi aggrappavo durante la mia infanzia, l'unica cosa stabile e vera e oggi ho scoperto che anche lei mi mentiva".
"Perché tenertelo nascosto? Non capisco...".
"Avevo undici anni, ero solo un bambino che credeva che il proprio padre gestisse un locale di poco conto lì a Greenwich e, invece, appariva in tv, gli facevano interviste, la sua fama era importante a New York e io... Io vivevo in una realtà alternativa dove tutto mi sembrava normale, dove a me e Steph sembrava normale e ora... Cazzo! Solamente adesso capisco perché quei figli di puttana dei miei compagni di classe mi snobbavano... Loro sapevano più di me sulla mia stessa vita!".
"Nemmeno tua sorella sapeva? Lei era qualche anno più grande di te".
"Credo che sapesse qualcosa in più ma non tutto".
"Perché?! Io non capisco...".
"Non voleva che io conoscessi il successo. Tutto questo gli portò i soldi e i soldi la droga. Questa merda finì per colpire mio nonno, mio padre e lui... Aveva paura che avrebbe colpito...".
"Te".
"Mio padre non voleva che io crescessi nel lusso perché non voleva che io facessi la sua stessa fine e quella di suo padre. Bel lavoro Russel Lewis! Guardami adesso! Sono diventato proprio come te in ogni caso".
"Tu non sei come tuo padre Chris".
"E chi te lo dice?". Questa domanda resta sospesa nell'aria, dentro questa stanza, ossessionando sia me che lui.
Non riesco a rispondergli come se, in fondo, me lo chiedessi anche io.
"Se ho capito bene... Dopo quello che hai scoperto oggi, stai mettendo in dubbio tutto?".
"E se fosse andata diversamente Jess? Se io avessi ucciso ingiustamente mio padre?".
"Vedi? Tu sei diverso. Tu hai il beneficio del dubbio!".
"E a che serve dopo vent'anni della mia vita mandati a puttane?!".
"Mi hai raccontato di abusi, di tuo padre che usava la violenza contro tua madre e tua sorella... Cosa pensi che sia successo quella sera?! Tuo padre era fatto, ha introdotto un'arma in casa e ha commesso un grosso errore, quello di uccidere tua sorella. È quello che disse la polizia, i giornali, tutti...". Nel frattempo mi ricordo dei numerosi articoli che ho letto incentrati su questa storia.
"E se fosse stato un incidente? Se le cose non fossero andate realmente come credono tutti?".
"Tutti dicono che è andata così... Le cose non possono cambiare dopo vent'anni Chris".
"Mia madre... Non so quando abbia perso i sensi, non so se lei abbia visto come siano andate le cose davvero...".
"Dio Chris... La polizia, la scientifica, tutti hanno confermato l'andamento dei fatti... Il tuo dolore non può farti mettere in dubbio questo!".
"Ma io ho bisogno di sapere".
"Sapere cosa?".
"C'è un dottore, è il responsabile della clinica dov'è ricoverata mia madre e crede che ci sia una speranza per lei. Abbiamo un'ultima possibilità prima che le diagnostichino demenza senile a lungo termine".
"Perché dopo tutto questo tempo non l'hanno ancora fatto?".
"Voleva farlo il medico che gestiva tutto prima di lui e che ha impiegato molti anni a studiare il caso di mia madre ma, adesso, Williams crede di poter dimostrare che c'è una speranza per lei. E' convinto che ci sia una possibilità, dice che può leggerglielo negli occhi".
Williams... Mi viene subito in mente il prossimo incontro che avrò con lui e credo che, al più presto, dovrò parlare di tutta questa storia, della mia storia, a Chris. "E come vorrebbe farlo? Adesso e dopo vent'anni?".
"Beh... Vorrebbe che io parlassi del mio passato davanti a mia madre per vedere se possa smuovere qualcosa in lei".
"Vorrebbe farlo con te?!".
"Sì"
"Ne sei sicuro? Insomma... Non so se ti farebbe bene, hai già fatto molta fatica stasera e...".
"Ho bisogno di stare in pace Jess", Chris mi interrompe, "Ho bisogno della verità e...".
"E di cosa?".
China il capo, sembra non riuscire a far uscire le parole, di nuovo.
"Concentrati, puoi dirmi tutto. Non arrenderti di nuovo, non a questo punto".
"Di andare via da qui, per sempre. Ho dei biglietti per la settimana prossima".
A quelle parole un brivido percorre la mia schiena, quasi tremo. I miei occhi si riempiono di lacrime così velocemente senza nemmeno darmi il tempo di controllarmi, e come potrei mai farlo?! L'uomo che amo mi ha appena detto che andrà via da qui. Dio, fa male, di nuovo, con la stessa intensità che ho provato la prima volta che l'ho perso. E adesso lo perderò di nuovo?
"Jess...".
"Perché vorresti andare via da qui?".
"Jess...".
"Dimmelo!".
I suoi occhi sono lucidi ma credo che adesso cerchi di mantenere più controllo possibile, sicuramente più di me. "Non posso restare in un posto dove ogni angolo mi ricorda quello che è successo e quello che ho fatto. Il mio posto non è qui Jess, quando sono tornato l'ho fatto per mia madre. Lei aveva avuto dei problemi e non credevo di restare per così tanto tempo ma poi... Ho incontrato te...".
"Oh ti prego, non adesso...".
"E' la verità, Jess io... Ti amo".
"Ma non basta, non è vero?! Non ti basta per restare".
Chris non risponde ma la risposta è evidente. Sembra in difficoltà, non sa cosa dire ed è lì che capisco quello che devo fare. "Ti aiuterò".
"Cosa?", anche lui è sorpreso tanto quanto me.
"A scoprire la verità".
"Jess, basta con questo gioco del dottore e del paziente, stiamo parlando di noi adesso...".
"Hai ragione, non è un gioco. Ho detto che ti aiuterò, l'ho fatto questa sera prendendoti come mio paziente e lo farò fino alla fine. Ti aiuterò a far chiarezza su tutta questa storia e poi... potrai andartene". Il senso di un groppo in gola mi fa mancare l'aria.
"Jess...".
"Abbiamo finito per oggi, si è fatto tardi". Mi alzo provando a mettere in ordine le cose sulla scrivania ma ci riesco a stento, mi tremano le mani.
Chris si alza e prova a venire verso di me ma, poi, si blocca di colpo. Con la coda dell'occhio riesco ad accorgermi che si allontana verso la porta fino a quando non esce di casa mia.
Ed è proprio in quel momento che le gambe non reggono più il mio peso facendomi finire sul pavimento, come se il dolore mi fosse crollato addosso con tutto il suo peso improvviso. E inizio a urlare, a piangere e ad urlare di nuovo fino a quando mi sento mancare la voce.

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