Capitolo 10-Jess

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"Chi era quel tipo?".
"Un amico, te l'ho già detto".
"Un amico...", non sembra convinto, "Spero solo che non sia come quell'altro. Come si chiama... Benjamin?".
Mi irrigidisce, odio la presenza di Garret attorno a me, è negativa e non mi fa bene. "Non posso crederci... Sul serio?".
Mi guarda come se non capisse di che cosa sto parlando. "Non capisco Jess... Cosa ho detto adesso da ferirti così tanto?".
"Sei proprio uno stronzo, non cambierai mai...". 
"Okay, tregua... Ero venuto per chiederti di venire a cena stasera, la mamma non fa altro che chiedermi di te da quando ti ha vista al cimitero".
"Oh... Ma guarda un po', non pensavo non avessero ancora inventato i telefoni. Avrebbe potuto chiamarmi in qualsiasi momento per invitarmi ed evitarsi di mandare te come il suo cane fedele".
"Per quanto ancora Jess? Coverai quest'odio verso di noi, verso la tua famiglia".
Rido, non posso trattenermi. "La mia famiglia? Non lo siete mai stati, nemmeno quando papà era vivo. Quindi, per favore, risparmiati queste cazzate...".
"La mamma non sta bene, lo sai... E da quando parli così?!".
"Alla mamma conviene non stare bene, farsi prendere da quelle crisi isteriche, per avere il tuo appoggio, la tua eterna devozione".
"Jessye, per favore, vieni stasera a cena da noi. Cosa vuoi? Che ti preghi forse?!".
"Il tuo rispetto, ecco quello che voglio. Per me e per i miei amici, per il mio lavoro. Per la mia vita!". Vorrei rimproverargli tutte quelle volte che mi ha fatta sentire inappropriata, esattamente come nostra madre, e tutte quelle che mi guardava in un modo così... Non lo so, in un modo così strano che non mi sono mai spiegata.
"È solo una cena, sono sicuro che non lo farai per me ma almeno fallo per lei, nostra madre sta soffrendo molto".
Lo guardo a lungo, mi rendo conto che questi secondi sono insopportabili. Vorrei chiudergli la porta in faccia e mandarlo al diavolo ma, forse, sono un po' come mio padre. Non riuscirò mai a dire di no, non riuscirò mai a farmi da parte nonostante mi abbiano fatto del male. "Sarò da voi alle otto". Sono le uniche parole che riesco a dirgli senza nemmeno guardarlo più in faccia. Apro la porta di casa mia invitandolo ad uscire. Riesco a vedere con la coda dell'occhio che Garret annuisce soddisfatto finendo per uscire finalmente da casa mia. Bene Jess, stasera ti aspetta una serata di merda e, la cosa peggiore, è che l'hai voluto tu. 

"E adesso parliamo di una notizia dell'ultima ora. È scomparsa un'altra ragazza, sui vent'anni, questa mattina a Greenwich Village. È la terza in pochissimi giorni, il quartiere teme che la storia si stia ripetendo. Le autorità locali stanno procedendo ad effettuare i controlli necessari per capire da quali piste iniziare. Al momento solo la paura che l'incubo del 2001 possa ripetersi". 
Non appena spengo la tv mi ritorna in mente qualche vago ricordo dei fatti di vent'anni fa. All'epoca avevo 10 anni, ricordo ancora la disperazione di mio padre, la miriade di casi che gli venivano assegnati, all'epoca un sacco di ragazze scomparivano ogni giorno. Quando faceva tardi mi diceva sempre che quelle ragazze avevano bisogno di lui e che doveva fare il possibile per aiutarle. In quel periodo passava le notti in centrale a seguire qualche pista, lo ricordo perché trascorrevo il tempo a contare i minuti affinché lui tornasse a rimboccarmi le coperte ma, gran parte delle volte, mi svegliavo il giorno dopo e lui non era ancora tornato. Era come una continua lotta contro se stesso. Dava il massimo e doveva dare ancora di più, non si sarebbe mai accontentato. Ma quell'anno fu terribile per lui, quelle poche volte che lo vedevo era stanco, stremato e non si fermava mai. E questo era altro motivo di scontro tra lui e mia madre, come se non avessero già problemi.
Il suono del campanello mi riporta alla realtà. Guardo dall'occhiolino. È Emma ma, non appena apro la porta, vedo anche Mia. Le faccio entrare ma credo di averci impiegato un po' ad esitare.
"Sbrigatevi, tra poco devo uscire...".
"Si può sapere che diavolo ti prende?! Vai via così, di punto in bianco, e per di più con quel tipo che nemmeno conosci?! Che ti succede Jess? Non è da te!". Emma mi guarda con disapprovazione. Sembra davvero delusa ed io quasi mi sento in soggezione, in dovere di chiedere scusa per non essere stata perfetta come sempre. Ma odio questa sensazione, dopo tutti questi anni odio fingere di essere perfetta e di fare la cosa giusta, ne ho abbastanza.
"Che cosa vuoi che faccia? Che mi scusi per il mio comportamento non eccelso di ieri sera? Con te? O con te Mia?!". A queste parole Mia abbassa lo sguardo, è chiaramente a disagio. Ma, per la prima volta, trovo soddisfazione nel vederla così, quasi nel farla sentire umiliata. "Ah già, forse dovresti essere tu a scusarti per tutto quello che hai detto e per tutto quello che fai ogni giorno senza nemmeno rendertene conto!".
"Jess...". Emma adesso mi guarda con gli occhi sbarrati, è come se volesse parlare ma alla fine si arrende.
"Cosa, Emma? Forse per una volta sono io a decidere che diavolo voglio fare in questa vita?".
"Se tutto questo c'entra con la rottura con Dan...".
"Dan? Chi ti ha detto... Non mi dire che ti ha telefonato!".
"Non dirgli che te l'ho detto... È solo preoccupato per te...".
"Ma dai Emma! Nemmeno tu che sei la mia migliore amica hai mai capito quanto io sia infelice con lui. E, per la cronaca, non ho rotto con lui adesso ma due anni fa, peccato che tu non te ne sia mai accorta".
"Beh, io l'ho sempre detto che quel tipo non mi piaceva...".
"Mia!". La zittiamo entrambe all'unisono.
Mi prendo qualche minuto per respirare, mi sento quasi in apnea. Ma forse è adesso che sto iniziando a tornare a galla per riprendere ossigeno, per tutto questo tempo sono stata in fondo ad un oceano di menzogne senza nemmeno rendermene conto. O, forse, facevo finta di non rendermene conto.
"Jess, ti prego. Torna in te...".
"Non posso crederci Emma... Dopo tutto quello che ti ho detto non hai nemmeno provato a capire per un attimo quanto io sia stata infelice in tutto questo tempo, soprattutto nell'ultimo. La verità è che vi è sempre andata bene la Jess amorevole e perfetta, quella che si faceva andare bene tutto senza mai lamentarsi, quella che acconsentiva a tutto zitta e buona. Ma ne ho abbastanza, di tutto questo... Di voi!". Ho davvero urlato contro le mie migliori amiche? Ma la cosa peggiore è che mi sento meglio. Rinata.
Emma fa un passo indietro, sembra scossa. Mia mi guarda, invece, accennando un sorriso. Non posso dimenticare tutte le volte che mi ha spinta ad essere me stessa, senza regole, senza oppressione. Devo ammetterlo, Mia è sempre stata l'unica a capirmi fino in fondo e io non le ho mai dato ascolto. A volte le sue provocazioni sono sempre state un modo per far uscire fuori la vera me stessa, quella che io ho sempre ripudiato. Ma io ho sempre finto di non capirla e l'allontanavo ogni volta.
"È bastata una notte chissà dove con quel... Chris? Per farti diventare così... Diversa? Nemmeno lo conosci!".
"Potrei dire lo stesso di te Emma, non mi conosci". Restiamo così, a fissarci per alcuni secondi che sembrano infiniti. "Adesso, se non vi dispiace, avrei da fare". Vado verso la porta e la apro in attesa che escano.
Emma non se lo lascia ripetere, mi supera senza più nemmeno guardarmi ed esce. Sì, è davvero delusa da me ma, per la prima volta, potrei anche gridare che non mi importa.
Mia, invece, si ferma per qualche momento sulla soglia. "Sono felice che tu l'abbia finalmente capito. Devo ringraziare quel Chris?".
Non riesco a risponderle, mi fanno ancora male le sue parole di ieri sera.
"Ci vediamo presto Jess". Abbassa il viso continuando a sorridere ma, forse, un po' ferita dal fatto che io non l'abbia ancora perdonata.

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