Capitolo 59-Jess

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Chris non dice una parola da quando è arrivato a casa mia. Sembra scosso, non so se la cosa migliore da fare adesso sia chiedergli di raccontarmi che cosa è successo o continuare a restare in silenzio facendogli sentire che sono qui nonostante lui non mi parli. Scelgo la seconda. Poggio sul tavolino accanto al divano dove siamo seduti la sua tazza di caffè ancora calda. Lui la fissa ma è chiaro che è totalmente altrove. Continua a scuotere la testa, talmente immerso in quello in cui sta pensando. Sono sicura che tutto questo ha a che fare con l'incontro di stamattina che ha avuto con Williams e sua madre. Avrà scoperto qualcosa? La tesi di Williams era vera? Martha ha fatto un cambiamento? Mille sono i miei perché ma l'unica cosa che riesco a fare adesso è sdraiarmi accanto a lui poggiando la testa sul suo petto. Eccolo... Riesco a sentire il suo cuore, ha dei battiti accelerati. Chris, con una mano, inizia ad accarezzarmi il viso e gioca dolcemente con i miei capelli con le sue dita. Sono qui, vorrei gridargli, ma mi accontento di questo che è già tanto per me, e sono sicura anche per lui.
"Aveva ragione".
Mi sollevo guardandolo e noto che delle lacrime gli rigano il viso. "Chi aveva ragione?".
"Williams... Su mia madre".
"Che vuoi dire? E' successo qualcosa al vostro incontro di stamattina?".
"Puoi crederci?", Chris adesso mi guarda con gli occhi pieni di... terrore, "Mia madre non è poi così distante come credevo". Fa una pausa, asciuga gli occhi con i palmi delle mani e prende il caffè bevendone un sorso. Sembra nervoso, quasi trema. "Williams mi ha sempre detto che lui e... il dottor Jones credevano che mia madre fosse perfettamente cosciente e che avesse deciso volontariamente di chiudersi in una realtà tutta sua".
"Perché dici questo? Non capisco...".
"Ho ripercorso i fatti della notte in cui ho ucciso mio padre e la cosa strana è che proprio nel momento in cui lo stavo colpevolizzando di quello che aveva fatto a mia sorella lei... ha iniziato a comportarsi in un modo così strano...".
"Strano in che senso? Che ha fatto?".
"Ha iniziato ad avere come... un tic. Scuoteva la testa, non batteva ciglio e... sembrava essere nel pieno di una crisi".
"Fammi capire bene... Voi credete che, in base a questa sua reazione, c'è qualcosa che non sappiamo?".
"Qualcosa che lei vorrebbe dirci ma che non vuole".
"O che non può".
"Capisci adesso Jess? Cazzo!". Chris si alza continuando a piangere mentre strattona i suoi capelli in preda alla disperazione. "Se tutto questo è vero vuol dire che io non so qualcosa di quella notte e che... Che... Forse non avrei dovuto uccidere mio padre!". Odio vederlo in questo stato, non so se lo preferisco fragile come adesso o forte e indomabile come il resto delle altre  volte.
"Ehi...", mi alzo e lo raggiungo. Prendo le sue braccia e stringo le mie mani alle sue, "Quello che è successo può significare tutto o niente. Non hai nessuna certezza Chris e, anche se ci fosse dell'altro, devi convincerti che quello che hai fatto lo hai fatto per proteggere tua madre e tua sorella. Se non capisci questo non potrai andare avanti... Fa tutto parte del passato, è ora che tu lo capisca!".
"State tutti a dirmi la stessa cosa ma... Questo non cambia quello che penso".
"E che cosa pensi? Sentiamo! Che tuo padre era la vittima e tu il carnefice?! Dio Chris! Avevi solo undici anni! Un bambino che torna a casa e vede sua madre e sua sorella credendo che siano entrambe morte a terra, un bambino che ha vissuto una vita vedendo la propria madre soffrire! Che cosa credi che avrebbe fatto qualsiasi altra anima innocente vedendo scivolare una pistola tra le sue mani? Avrebbe difeso la sua famiglia! Ed è quello che hai fatto tu... Non so più come dirti che non sei tu il mostro!". 
Chris adesso poggia le sue dita delicatamente sul mio viso e si ferma a guardarmi come se avesse appena avuto un'illuminazione. "Tu... eri lì. Io... Ero in preda al panico prima che Williams arrivasse con mia madre e... avrei voluto fare di tutto per sentirmi meglio ma, all'improvviso, mi sei apparsa tu e ogni singola paura è iniziata a svanire come... una magia. Tu puoi tutto Jess, sei... tutto quello che mi fa andare oltre a questa merda". 
Quelle parole sono come un soffio d'aria fresca per me, posso vedere nei suoi occhi la sincerità di quelle parole... L'amore per me che è lo stesso che io provo per lui. Intoccabile e straordinario.
"Sono qui Chris, non so più come dirtelo ma...".
Lui mi interrompe baciandomi, ma è un bacio intenso che mi ruba tutto l'ossigeno che ho. Le nostre lingue si toccano abbracciandosi. La pelle d'oca mi prende dappertutto, come una scossa violenta. Poi, lui si stacca e mi sorride. "Ho cercato una vita intera una via di fuga e oggi ho scoperto che sei tu la mia via di fuga".
"E, allora, credi in me. Credi in noi. Tu devi essere più forte che mai Chris! Non arrenderti, non adesso. Sono tante le cose che stanno venendo a galla... Io che scopro che la notte della scomparsa di quella ragazza ero al vecchio Golden, tua madre che ha una crisi proprio quando stai parlando di quello che è successo a tua sorella... Piano piano rimetteremo i pezzi insieme e, solo allora, troveremo la pace che stiamo cercando da sempre".
"E poi?".
"E poi cosa?".
"Verrai con me a Parigi?".
"Io...".
"Non devi rispondermi adesso. Devi solo... pensarci".
Restiamo lì mentre Chris mi avvolge con le sue braccia abbracciandomi, mi lascio trasportare dal profumo della sua pelle mentre quella domanda inaspettata continua a battere nella mia mente.

"Davvero niente male!", Dan mi batte il cinque, "Abbiamo spaccato come primo giorno".
E sì, ha davvero ragione. Oggi è il primo mercoledì di metà settembre in cui abbiamo iniziato il nostro progetto all'università. La lezione è andata più che bene, nonostante i momenti in cui ero totalmente assorta dai miei pensieri. "Jess?".
"Sì?".
"Stai bene?".
"Sì! Perché me lo chiedi?".
"Ti ho vista... prima. Pensavi a qualcosa...".
"Scusami! Io... E' un periodo... pieno".
"No, tu non devi scusarti, è solo che ti conosco e vorrei che sapessi che con me puoi parlare".
"Visto che mi stai dicendo questo, vorrei cogliere l'occasione per ringraziarti".
"Ringraziarmi? Per cosa?".
"So quello che hai detto a Williams...".
"No, non devi farlo Jess. Per te farei di tutto e lo sai".
"Sì ma se non fosse stato per te John non ci avrebbe aiutato né come professionista né come amico".
"Sono sicuro che quello che è successo a te e Chris è collegato in qualche modo quindi... Non resta che scoprirlo no?".
"Già...".
"E allora? Cos'è che ti turba?".
"La mia prossima seduta con Williams, la sua segretaria mi ha fissato l'appuntamento per venerdì ma non so se sono pronta, di nuovo".
"La verità è un gioco. Non sai mai se è più bello fingere di non sapere o saperlo davvero".
"Hai centrato il punto. E' come se morissi dalla voglia di risolvere tutta questa situazione ma, allo stesso tempo, avessi paura di farlo e la cosa peggiore è che non so perché".
"Semplicemente perché hai paura Jess, è umano averne, soprattutto se la terribile storia della scomparsa di quelle ragazze ti coinvolge in qualche modo. Com'era quel detto? Tutti i nodi vengono al pettine? Prima o poi dovrai fare i conti con la realtà Jess, che ti piaccia o no. Solo così potrai vivere la tua vita come meriti".
"Nel frattempo, mi godo questo studio che non è proprio niente male!". Mi guardo attorno e ammiro la stanza che Donna ha fatto diventare qui, alla New York University, il mio studio con tanto di targhetta con il mio nome qui sulla scrivania.
"Beh, diciamo che la rettrice ha fatto davvero un buon lavoro, come sempre". Dan guarda il suo orologio, "Ci siamo. I nostri colloqui con gli studenti stanno per iniziare, io mi trovo nella stanza qui di fronte. Ci vediamo dopo".
"A dopo Dan e... ancora grazie".
Dan esce dal mio studio ed io mi godo ancora per un po' il profumo di fiori che proviene da quel vaso accanto la finestra lì in fondo, accanto a quel piccolo divano che sembra comodissimo fin da qui. Mi siedo e sistemo la mia agendo appuntando la data di oggi. Accendo il mio telefono rileggendo per l'ennesima volta il promemoria dell'appuntamento con Williams e, sì, ha ragione Dan. Dovrò pur andare a fondo a questa storia, ormai che sono a questo punto non posso tirarmi indietro. Ma sono troppe le cose, tra le tante il pensiero di Chris e di quello che starà facendo adesso. Mi ha detto che sono la sua salvezza, l'ho visto nei suoi occhi quando mi guardava. Vorrei tanto chiamargli e sapere che sta bene perché ogni minuto che passa temo che possa ricrollare negli stessi errori ed è l'ultima cosa che vorrei. Sapere che sono il suo porto sicuro, così come lui lo è per me, è una grande speranza. Pensare alla domanda che mi ha fatto ieri, invece, mi turba parecchio. Andare con lui a Parigi? Sarebbe un sogno per me ma sento come se fosse irrealizzabile e non so perché. Forse, perché abbiamo più problemi che serenità. Forse è la paura di fare un passo così grande e sono tante ancora le cose irrisolte. Ho il suo nome sulla rubrica, vorrei telefonargli e chiedergli come sta... 
Bussano alla porta. "Sì?", sarà il mio primo paziente di oggi. 
La porta si apre lentamente, poi entra qualcuno... Credo sia una ragazza, ha una felpa larghissima e i pantaloni sono ancor più larghi della felpa. Tiene il cappuccio alzato, come se volesse nascondersi e le mani in tasca. Ha lo zaino sulle spalle, lo toglie per sedersi.
"Ciao! Sono la dottoressa Cooper, tu sei?".
"Kaylie... Kaylie Thompson". Parla quasi con un filo di voce mentre tiene lo sguardo basso e la postura curvata. E' come se stesse cercando di nascondersi, ma non capisco da che cosa. 
"Bene Kaylie, sono qui per ascoltarti, quando vuoi puoi iniziare".
Cerco di sorriderle incoraggiandola ma vedo che non serve a niente. Lei continua a guardarmi con espressione seria. "Io... Posso parlare?".
"Certo che puoi, sono qui per questo".
"No... Intendo dire... Quello che... Quello che dirò qui resterà qui o...". Sembra piuttosto impacciata mentre parla, direi nervosa. China il capo come se non volesse guardarmi.
"Non devi preoccuparti. Devi pensare a questo incontro come un normale incontro con un professionista solo che, in questo caso, siamo all'università. Il segreto professionale è garantito, sempre".
Kaylie inizia a battere la gamba nervosamente. Poi, abbassa il cappuccio della felpa e noto che i suoi capelli sono totalmente rasati. E' bellissima, ha dei lineamenti così delicati da sembrare una bambola. 
"Che cosa c'è che non va Kaylie? Puoi parlarmi di qualunque cosa, io non ti giudicherò né tantomeno ti dirò che stai sbagliando. Il mio compito qui è aiutarti a liberarti da quello che ti fa sentire così".
"Così come?".
"Forse... Incompresa?". 
Smette di battere la gamba e mi guarda interdetta. "Come fa a...".
"Saperlo? I tuoi occhi...".
"Che hanno i miei occhi?".
"Devii più volte lo sguardo, non ti piace il confronto, hai paura di essere criticata".
"Cos'è? Un'indovina?".
"No e non è nessun trucco di magia. Semplicemente, conosco bene i miei pazienti ancor prima che inizino a parlare".
Kaylie fa una pausa, tentenna un po' prima di iniziare a parlare. Poi, credo che si convinca, "Mi sono chiesta per troppo tempo come posso andare ancora avanti così, a nascondermi, a privare me stessa della mia libertà. Come si fa a combattere la paura?".
Quella domanda mi colpisce così tanto perché, poi, non è altro che è stessa che mi faccio io da mesi. "Non so se sono la persona più indicata per darti la risposta giusta ma... Posso assicurarti che il primo passo è affrontare i motivi per i quali tu hai paura. Quali sono?".
"Il mio corpo. Io... Vivo qui dentro ma tutto questo non è me. Immagini quanto sia difficile svegliarsi la mattina, scendere la scale e sentirsi osservati dalla propria madre che disapprova come ti vesti, come cammini, come parli, quello che dici e come lo dici... Tutto quello che fai. Allora ti accontenti di far silenzio e i giorni passano così, senza più un senso logico".
"Che cos'ha il tuo corpo che non va Kaylie?".
"Non è il posto in cui vorrei stare. Fin da piccola guardavo con ammirazione i vestiti di mio fratello maggiore o quelli di mio padre. Alle volte li provavo quando restavo sola a casa ma, una volta, la babysitter se ne accorse e lo disse a mia madre. Sa quello che ha fatto mia madre? Niente. Ha fatto finta che non fosse successo niente cancellando tutto con un sorriso, poi ha iniziato a preparare la cena".
"Che cosa vorresti tu davvero?".
"Vorrei poter iniziare un processo di transizione ma è una cosa troppo grande, ci vogliono dei soldi e... Non posso farlo perché a casa mia esploderebbe una guerra. Ieri ho rasato i miei capelli, appena sono tornata a casa mio padre mi ha picchiata e mia madre era lì, stavolta non sorrideva però. Mi guardava così... male, era proprio schifata. Da me... Dalla propria figlia".
"Ascolta tesoro... Io non sono nessuno per incitarti a fare qualcosa che non vuoi ma... Puoi chiedere aiuto o almeno denunciare se subisci dei maltrattamenti in casa. Sei maggiorenne da un po', non hai di che preoccuparti".
"Denunciare?! E poi? Quando tornerei a casa mi chiuderebbero le porte lasciandomi lì per strada".
"Hai pensato di trovarti un lavoro e magari...".
"Magari cosa? Eh? Cercarmi un lavoro, affittarmi una casa, vivere da sola e poi? Non ha capito qual è il problema? Sono da sola! E... La cosa peggiore è che tutti in quella casa fanno finta che va tutto bene. Dopo uno schiaffo ci si siede a tavola come se nulla fosse perché è più semplice fingere che va tutto bene piuttosto che accettare la realtà". Quanto sono vere le sue parole, mi si sbattono in faccia adesso più che mai. "E la società? Parliamo della società. Ancora oggi i pregiudizi fanno ammazzare la gente lì fuori e... Sono sicura che questo accadrebbe anche a me".
"Tu vorresti fare tante cose, hai dei progetti, delle ambizioni e vuoi farmi credere che l'occhio della gente è quello che ti spaventa di più? Se nella vita vogliamo ottenere qualcosa dobbiamo andare avanti per la nostra strada anche se questo vuol dire che saremo soli o che dovremmo impegnarci con tutte le nostre forze. Nessuno può impedirci di vivere la vita che vogliamo anche se si tratta della nostra famiglia, semplicemente perché chi ci ama, se ci ama davvero, sarà sempre lì per noi".
"A lei è successo? Di non essere accettata?".
"Sì, non ci crederai ma mia madre ha trascorso la maggior parte della sua vita facendomi sentire in difetto. Vivevo in una famiglia dove solamente mio padre mi voleva bene, mentre lei preferiva mio fratello a me. Vedi Kaylie, sono due storie diverse le nostre ma ti assicuro che il principio è lo stesso. Quell'occhio di disapprovazione che continua a guardarti ogni giorno ti fa crescere con la paura di non essere abbastanza o adeguata, ti fa avere delle insicurezze che ti porti dietro tutta la vita e, alle volte, ti rende impacciata e ti fa sentire stupida. Poi, arriva un giorno in cui ti guardi allo specchio e inizi a ripetere a te stessa che lo sei, che sei abbastanza, che non hai bisogno che nessuno te lo ricordi e, anche se il mondo fuori ti va contro, tu continuerai sempre ad andare controcorrente perché l'unica cosa che importa e la tua felicità. E, forse, poi incontri qualcuno che ti aiuta a capirlo ancora di più".
Gli occhi di Kaylie iniziano a riempirsi di lacrime e lei inizia a singhiozzare. 
"Anche questo va benissimo, far uscire quello che hai dentro è giusto, è il primo passo verso l'accettazione. Tu sei questa, non hai scelto tu ma la tua natura ha scelto te. Non c'è niente di sbagliato in te e so che sei venuta qui affinché un'estranea potesse dirtelo e sì, potrei uscire lì fuori a gridarlo: non c'è niente che non va in te Kylie! Per una volta dì ad alta voce quello che pensi, ti assicuro che dopo andrà meglio".
"Io... Non voglio toccarmi e sentire il mio seno, mi fa rabbrividire! Odio le mie forme, vorrei cambiarle e renderle così come le voglio. Indosso questi vestiti larghi perché solo così posso nasconderle. Vorrei intraprendere un percorso di transizione, prendere quelle pillole di ormoni che tengo nascoste da mesi, ma, se lo faccio, vorrà dire non tornare più indietro".
"Non farlo... Non devi farlo, non devi tornare indietro. Piuttosto devi solo sforzarti di andare avanti, per te stessa".
"E' così semplice... parlare".
"Ascolta... Io... Ho un amico così speciale, mi basta solo pensarlo e mi viene da ridere perché lui è la persona più straordinaria che io conosca. Lui è gay e ha vissuto tutta la sua vita mostrando la sua vera anima e vivendo nella più totale indifferenza di suo padre. Un giorno se ne andò di casa perché era stanco, mi diceva che doveva vivere e che fino ad allora non lo aveva fatto. Oggi è la persona più felice che io conosca ed io lo ammiro perché ha avuto il coraggio di fare la cosa più straordinaria che un essere umano merita di fare... Lottare per la sua felicità.  A volte mi chiedo come fa, lo guardo e ogni mio problema diventa più piccolo".
"Quindi io... Dovrei semplicemente lottare per la mia felicità?".
"Sì Kaylie, tu dovresti uscire da quella porta abbassando il cappuccio della tua felpa senza più nascondere chi sei. Quello è il primo passo verso la tua libertà e non devi guadagnartela perché è un tuo diritto!".
"E se trovassi il coraggio di fare tutto questo e... restassi da sola?".
"Non siamo mai soli là fuori, ci siamo noi ed il nostro cuore che merita di essere difeso".
Kylie mi guarda annuendo mentre continua a piangere. Poi, si alza asciugando le lacrime con la manica della felpa e mi dà le spalle per uscire. Prima di farlo si ferma sulla soglia della porta e si gira a guardarmi, "Grazie".
Non appena esce continuo a guardare nella sua direzione mentre un nodo in gola mi sale, questa storia mi ha commossa.
Compongo il numero di Ben nel tastierino del mio cellulare, lui risponde poco dopo. "Ehi Jess? Tutto bene? Che ore sono... Non dovresti essere all'università?".
"Sì... Io... Ecco, volevo solo... dirti che ti voglio bene".
"Stai bene? Tu stai piangendo...".
"Sì! Va tutto bene, volevo solo dirtelo. Adesso devo andare".
"Ehi Jess...".
"Sì?".
"Ti voglio bene anch'io".

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