Capitolo 36-Chris

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Uno sparo e sento il sangue nelle mie mani. Di nuovo. Scorre, scorre così velocemente che mi riempie quasi tutto il corpo. Resto qui a guardarlo mentre scorre. È caldo, lo sento ovunque. È colpa mia, solo colpa mia, è tutta colpa di quello che ho fatto. È come se improvvisamente mi fossi separato dal mio corpo e adesso abbia la possibilità di guardarmi dall'esterno. Guardati, mi dice una voce, hai ucciso tuo padre. Tuo padre è morto a causa tua. Che cosa hai fatto Christopher? Che hai fatto! L'hai ucciso davvero! L'hai ucciso tu! Tu. Sei il colpevole di tutto quello che è successo alla tua famiglia, a tua madre. Smettila, devi smetterla! Vorrei che questa voce tacesse adesso, che non mi tormentasse più. Ma rimbomba, rimbomba sempre più forte nelle mie orecchie fino ad esasperarmi. E vorrei dire basta, ad alta voce, ma mi sento impotente ed inutile. Mi sento senza forze. Tremo, credo di non aver tremato mai così forte in vita mia, come se avessi una crisi improvvisa ed incontrollabile, una convulsione. Ma i piedi sono piantati sul pavimento, non posso muovermi. Mi cade la pistola dalle mani, il suono del suo scontro con la mattonella è come un boato che mi assorda.

Apro gli occhi e mi sollevo sul letto. Ho la maglietta appiccicata alla pelle per il sudore. Tendo il braccio e quasi arrivo alla lampada per poi ricordarmi che non funziona, dovrò sistemarla tra le tante cose di questa vecchia casa. Fuori è buio, posso vederlo dalla finestra, sarà ancora notte fonda anche se non ho idea di che ora sia. Oh... È adesso che realizzo di avere un cellulare nuovo, o meglio il primo visto che non ne ho mai avuti. Che strano, Christopher Lewis con un cellulare, non mi è mai interessato averne e, poi, non sono cresciuto come gli altri miei coetanei legati indissolubilmente alla tecnologia. La mia vita, diciamo, ha avuto una piega diversa fin dall'inizio. Avevo ragione, sono appena le quattro, me ne rendo conto quando premo un tasto e si illumina il display del cellulare. L'ho comprato con quei pochi risparmi che ho guadagnato in officina da Eric. Ho dovuto farlo, quasi come un obbligo visto che, al giorno d'oggi, non si può fare a meno di internet, né tantomeno per inviare un curriculum. Bisogna crearsi una mail ed il gioco è fatto, aspetto che prima o poi mi contatti qualcuno, da quando non lavoro più da Eric quei pochi risparmi stanno per finire. L'ansia mi sta divorando, non riesco a dormire per almeno un'ora consecutiva da più di un mese. Svegliarsi ogni mezz'ora e girarsi e rigirarsi sul letto è quello che faccio ogni notte finendo per addormentarmi solo nelle mattinate. Eppure una volta questa casa mi trasmetteva pace, serenità. Forse è per la sua posizione, alla fine di Houston Street. Ha ancora tutta l'aria di una perfetta casa di periferia, la mia casa perfetta, quella più bella al mondo, così come dicevo sempre a mia madre. Il nostro angolo di paradiso, circondato da alberi, dal prato ricco di fiori e da una grande altalena posta sul retro, accanto al piccolo recinto dove mamma si prendeva cura del suo piccolo orto. Era tutto perfetto, la casa, la mia famiglia, o quasi. Ricordo solo felicità qui, ovunque mi giri a guardare riesco ancora a sentire le nostre risate e la nostra spensieratezza. Stile classico, costruita su due piani come una vera reggia, questo era l'angolo di paradiso di mia madre ma non sapeva che si sarebbe trasformato nel peggiore dei suoi incubi. Vedere la propria figlia morire nella propria cucina, deve essere stato devastante per lei. La polizia, i dottori, non hanno mai capito se in effetti mia madre abbia visto morire mia sorella prima di subire quel trauma cranico. Ma io sono convinto di sì in base alla loro ricostruzione dei fatti. E, se così fosse, mia madre che cosa avrà mai provato? Mi sono sempre concentrato su quello che provai io quel giorno, e lei? Gli occhi di una madre che vedono la propria figlia priva di vita. Io non ho mai saputo come sono andate le cose davvero, quando arrivai in casa lei era sdraiata sul pavimento e credetti che anche lei fosse morta. E se fossi arrivato prima? Le cose sarebbero andate diversamente e adesso lei non sarebbe rinchiusa in quella casa di cura ed io non sarei qui, da solo, nella nostra vecchia casa a scervellarmi? Sono tante le domande e solo una la risposta, la realtà, quella che io sono qui da solo nella casa dove ho vissuto per undici anni insieme alla mia famiglia.
Mi alzo per prendere un bicchier d'acqua ma quando arrivo proprio di fronte la cucina mi fermo, come se ci fosse qualcosa che mi bloccasse. Ed ecco che vedo lì in fondo mia sorella e rivedo me che provo a fare qualcosa per svegliarla quando invece non c'era proprio niente da fare, ma io ero fin troppo piccolo per capirlo, ero solo un bambino. E non posso, non ci riesco. Sono venuto qui, ho cercato di mettere le cose apposto, di ripulire vent'anni di polvere ma niente, tutti i ricordi e quello che è successo è proprio qui davanti ai miei occhi. E niente potrà mai cancellarlo, nemmeno i cambiamenti che in quest'ultimo mese ho cercato di fare. Brucia, sento un bruciore nel petto che mi sta consumando. È in momenti come questo che mi chiedo come sia possibile provare un dolore così, più ci penso e più impazzisco. Mentre supero il punto esatto dove Steph era sdraiata priva di vita stringo gli occhi, come se solamente questo bastasse a cancellare via tutto quel dolore che, nonostante siano passati vent'anni, è ancora lì, vivo. Sento un brivido sulla schiena, un brivido che mi scuote, che sale e scende e che non mi fa stare fermo. Bevo velocemente l'acqua e spengo la luce, ho bisogno di stare lontano da qui soprattutto di notte, come se qui si nascondesse un mostro pronto ad annientarmi con la sua unica arma di difesa, il buio. Lo stesso mostro che si nascondeva negli angoli più bui della mia stanza quando ero solo un bambino. E mi ritrovo qui, sul divano di casa mia. Ma ho di nuovo undici anni e ho bisogno della mia mamma. Mentre sto fermo seduto a fissare la parete di fronte a me, dove prima c'era un mobiletto con sopra una tv, vedo scorrere davanti ai miei occhi tutti i vecchi ricordi. Eccola, mia madre che corre attorno a questo piccolo tavolino rincorrendomi con il grembiule sporco di cioccolata e con in mano un mestolo. Steph insegue lei, come se fosse una catena, fino a quando non arriviamo in cucina e iniziamo a rincorrerci lungo l'isola posta al centro della stanza. La vedo, è proprio lì la mia torta di compleanno, sollevata su un'alzata per dolci, fiera come una regina sul suo trono. Quella torta per i miei dieci anni era speciale, così come era speciale ogni compleanno mio e di Steph per mia madre. Avrebbe potuto far fare la torta dal migliore pasticcere di tutto il paese ma ogni anno e per ogni occasione non le importava, doveva essere lei a pensare alla torta per i suoi bambini, era quello che diceva sempre. E, poi, amava cucinare, ma soprattutto era specializzata nella preparazione di torte al cioccolato. Il migliore pasticcere del mondo poteva mettersi di lato in confronto a lei, per me avrebbe vinto lei sempre e comunque. Quel giorno Steph infilò un dito dentro la torta, lo tirò fuori e iniziò a leccarlo con soddisfazione. Mia madre spalancò la bocca lasciando cadere il mestolo dalle mani ed io iniziai a piangere. All'inizio urlò arrabbiata ma non resistette per molto, mia sorella era fin troppo divertente. Aveva tutta la faccia sporca di cioccolato, ricordo che mia madre gliene disse di tutti i colori mentre Steph non la smetteva di ridere, fu così che iniziai a ridere anch'io e nostra madre si arrese. Prese quella torta, la mise al centro tra di noi e iniziammo a mangiarla con le mani sporcandoci dappertutto. Quella fu l'unica volta che avvisò il catering di aggiungere una torta al cioccolato nel menù. Eccoli, sono proprio qui i ricordi. Posso quasi toccarli, posso ancora sentire l'odore della crema al cioccolato, posso concentrarmi e sentire le risate di quel giorno. Mi basta chiudere gli occhi e posso tornare indietro. È lì che incontro mia sorella di nuovo, è lì che posso guardarla ancora e pensare a quanto sia bella. È lì che rivedo mia madre, felice mentre ci guarda accarezzandoci e riesco a sentire ancora tutto il suo amore per noi, per me. E voglio dormire con questo ricordo, con il ricordo del loro viso d'angelo impresso nella mia mente.

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