Capitolo 11-Jess

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Mia madre si mette tra me e Garret sul vialetto di casa, guardandosi attorno per paura che i vicini possano sentirci. È la solita, per lei è sempre stato più importante curarsi dell'opinione degli altri che di quello che succede nella sua famiglia. "Forse è meglio entrare dentro e darci una calmata...".
"No! Hai appena detto che Chris ha ucciso suo padre. Non puoi rimangiartelo!".
"Non lo sto facendo ma se mi ascoltassi per una volta... Dannazione Jess... Entra in casa!".
"No. Non credo a una sola delle parole che continui a dire". L'adrenalina è troppa, la sento pulsare nelle mie vene. Conosco Chris da un giorno, in fondo non so nulla di lui, l'unica cosa che so è che ha un'anima nobile, ben lontana da quello che ho appena scoperto. Che vuol dire tutto questo? Quello che mi ha detto Garret... Dio, è troppo. 
"Jess... Ti prego". Garret si fa da parte indicandomi di rientrare in casa.
Ma lo ignoro e corro verso la mia auto. 

Non so perché ma sono già diretta a Greene Street.
Quando arrivo vedo l'insegna Eric's spenta. Sono le dieci passate ma c'è luce dentro l'officina, sono sicura che Eric è lì dentro. Fuori piove, fermo i tergicristalli e scendo dalla macchina. Non so perché ma resto bloccata qui davanti mentre la pioggia continua a battermi addosso con tutta la sua violenza. Sento ogni goccia trafiggermi la pelle ma, poi, mi guardo ed è solo acqua.  Dannazione... I tacchi, non posso correre. Andare a cena da mia madre vuol dire vestirsi impeccabilmente, vuol dire mettere delle scarpe perfettamente abbinate al vestito aderente, forse fin troppo, che indosso. Delle scarpe che non siano mai basse ma che abbiano un tacco 12, per dare eleganza al punto giusto come lei mi diceva sempre. Arrivo davanti la porta con i capelli fradici. Busso, nessuno risponde. Cerco di guardare dentro, non vedo nessuno. La spingo, è aperta.
"Eric? Sei qui?". Sento dei rumori provenire dal suo ufficio lì in fondo. Dalla vetrata noto la lampada della scrivania accesa e qualche movimento. È allora che Eric si accorge della mia presenza.
"Jess? Che ci fai qui?", guarda l'orologio sul polso, "Che ti è successo?". Mi osserva dalla testa ai piedi con sguardo interrogativo. "Sei fradicia! Vieni, ti do una coperta". Apre il piccolo armadietto proprio dietro le sue spalle e mi porge un plaid. Perché tiene un plaid dentro un'officina di auto?
"Scusami... Ho bisogno di parlarti".
"Devo preoccuparmi? Si tratta di Emma?".
"No, no... Emma sta bene... Ecco... Chris, si tratta di Chris".
Eric è chiaramente sorpreso dalla mia domanda. "Chris? Che succede con Chris?". Quasi sorride, incredulo della mia domanda.
"Chi è... Da dove viene... Perché è qui... Cosa è successo a suo padre...".
"Aspetta... Jess, ferma...", scuote la testa, "Che cosa sono tutte queste domande e perché? Non capisco...".
"Christopher Lewis, è così che si chiama no?", come se volessi che Eric mi dicesse che non è questo il suo nome così da pensare che la persona di cui mi ha parlato Garret sia un'altra, "Dimmi che gli è successo, che è successo a suo padre. È stato lui? Ho bisogno di saperlo Eric...".
"Jess... Vieni qui, a quest'ora, e inizi a chiedermi di Chris e della sua famiglia. Perché? È successo qualcosa ieri sera tra voi? Emma mi ha detto che avete trascorso tutta la notte insieme...".
"Non è questo il punto".
"Quello che è successo nel suo passato è qualcosa dal quale è meglio che tu resti fuori. Non ti riguarda, dammi retta".
"Dannazione Eric, voglio solo sapere che è successo a suo padre! È così difficile darmi una risposta?!".
"Chi ti ha detto di suo padre? Dove hai preso tutte queste informazioni?". Eric fa un sospiro, poi riprende. "Ascolta, dimenticati di Chris, lui andrà via presto e... tutto questo sarà finito".
Andrà via presto? Cosa? Perché? Ma non posso pensarci adesso... "Ti prego Eric, dimmi che non ho trascorso l'altra notte con un assassino".
Di colpo Eric si blocca, guardando alle mie spalle. Quando mi volto vedo Chris, non so da quanto sia lì ma molto probabilmente da tempo sufficiente da aver sentito quello che ho appena detto. "Ci penso io Eric", dice con la voce spezzata senza distogliere lo sguardo da me. 
Eric lo fissa, poi sposta lo sguardo su di me annuendo. "Io vado a casa, ci vediamo...".
Chris mi supera e, non appena Eric esce, chiude l'officina da dentro con un colpo di chiave. Indossa solo una paio di pantaloni da lavoro, sono tutti sporchi di olio credo, bianchi con chiazze scure ovunque. Per la prima volta lo vedo a petto completamente nudo. Dio... Che visione è questa? È come se i miei occhi non riuscissero a contenerla tutta. Lì, proprio lì sul cuore c'è qualcosa che mi ferma, che ruba la mia attenzione. È un tatuaggio, credo che sia una donna che abbraccia un bambino. Forse una madre con il proprio figlio. Lega i capelli fino a qualche secondo fa sciolti e, senza nemmeno guardarmi, va verso il piccolo frigo che c'è vicino l'ufficio di Eric e tira fuori una Heineken, la mia preferita. "Ne vuoi una?".
Non è quello di cui ho bisogno adesso. Non riesco a proferire parola, riesco solo a scuotere la testa in segno di un no.
La poggia sul tavolo da lavoro accanto agli attrezzi e si allontana un attimo per tornare con un asciugacapelli tra le mani. "Di la c'è il bagno. Va ad asciugarti, rischi di prenderti un raffreddore". Un asciugacapelli? Dopo il plaid adesso questo... Che succede qui? Mentre me lo porge incrocio il mio sguardo con il suo, ed eccola... Riesco a vederla di nuovo la sua anima, è così pura... No, non può aver ucciso qualcuno. Lui non è la stessa persona di cui mi ha parlato Garret. 
Proprio vicino l'ufficio di Eric c'è una porta, lì dentro c'è il bagno. Non c'ero mai stata prima d'ora e non avrei mai potuto immaginare di ritrovarmici in quest'occasione. Accendo il phon e asciugo i capelli e, per quello che posso, la giacca inzuppata d'acqua. Per fortuna i vestiti sotto non lo sono. La poggio su una sedia che trovo proprio fuori il bagno. Quando esco non vedo più Chris, ma mi accorgo che la porta sul retro è aperta e una luce proviene da essa. Se non mi sbaglio, lì fuori c'è un piccolo giardino che il padre di Eric amava curare quando ancora era in vita. Ma, prima di arrivarci, noto una tenda che sono sicura che prima non c'era, me ne accorgo solo adesso. La scosto, vedo un letto, una piccola finestra e un tavolino sul quale ci sono dei vestiti. Li riconosco, alcuni di essi li indossava Chris ieri sera. Sì, quella è la camicia che ho tenuto sulle spalle per tutta la sera...
"Vieni". Sobbalzo, Chris è dietro di me. "Qui fuori si sta bene".
Lo seguo, andiamo nel giardino. Lui si siede su una piccola sdraio e ne avvicina un'altra per me. Beve qualche sorso di Heineken. "Che c'è Jess? Cos'è che ti ha sconvolta così tanto?". Mi guarda ma so che sa già di cosa si tratta. "Sei venuta qui, a quest'ora... Che succede?".
"Chris... Io...".
"Tuo fratello è Garret Cooper. Quello che ha detto è la verità. Sta a te decidere se uscire da quella porta o no". È andato dritto al punto, senza esitare. Non posso crederci, resto totalmente di stucco mentre continuo a guardarlo senza riuscire a dire una parola. Lui guarda un punto fisso, sembra distante adesso. Distaccato. Nemmeno mi guarda, come se avesse cambiato bruscamente il modo di approcciarsi a me.
"Perché vi conoscete?".
Adesso sposta lo sguardo su di me. Ha gli occhi lucidi e sembra quasi che voglia dirmi di più, posso sentirlo. Ma è come se si trattenesse, come se fosse più semplice far uscire fuori il lato più duro di sé, il classico processo di negazione che colpisce la maggior parte della gente che non vuole affrontare qualcosa di importante che è successo nella propria vita. L'unica cosa che gli viene bene adesso è scuotere la testa. 
"Se tu mi permettersi di parlarti, potrei provare a capire...".
"Non ho bisogno di una psicoanalisi".
"Chris...".
"No! Non farlo! Non te l'ho nemmeno chiesto".
"Di fare cosa?".
"Di psicoanalizzarmi. E' quello che fate voi strizzacervelli no?", sbotta ironico.
"Sei sempre così stronzo?".
Il silenzio si mette in mezzo tra noi due ma, non so perché, non riesco ad arrendermi. La voglia e la curiosità di sapere che cosa affligge quest'anima pura mi spinge ad avvicinarmi ancor di più a lui.
"Vorrei poter...".
"Cosa Jess?", Chris si alza di colpo e lancia la bottiglia di birra lì in fondo. Dal rumore credo proprio che si sia rotta in mille pezzi.
D'istinto, porto le mani al viso e faccio qualche passo indietro.
Chris mi guarda, non batte le palpebre, sembra immobilizzato. Stringe i pugni, più forte, sempre più forte. Riesco a vedere le vene rigonfiate su tutte e due le braccia, è come se lottasse contro qualcosa per mantenere la calma.
Faccio un passo verso di lui, non ho paura. Perché? Perché non mi spaventa? E' come se sentissi il suo bisogno di aiuto ma lui alza le mani come se volesse fermarmi. "No. Sta lontana!".
"Chris, sono qui. Puoi parlarmi".
"Va via Jess...".
"E quello che è successo ieri sera... Facciamo finta che non sia successo?".
"Due sconosciuti che hanno trascorso la notte insieme a parlare. Questo è quello che è successo Jess. E ora è meglio che tu vada via da qui".
"Chris...".
"Va via!". Urla così forte da farmi immobilizzare. Poi, mi dà le spalle. Ed è come se avesse appena piantato un muro proprio davanti a me, lo sento con tutta la sua potenza.
Faccio qualche passo indietro e decido di arrendermi, almeno per adesso.

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