Capitolo 27-Chris

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"Quand'è successo? Cazzo Chris... Perché mi hai chiamato solo adesso?". Eric si guarda attorno, è chiaramente scosso.
Fatico un po' a guardarlo, mi dà fastidio la luce del sole che pian piano sta illuminando tutta l'officina attraverso le finestre. Ho bisogno di chiudere gli occhi, resto così per qualche minuto, è l'unico sollievo che ho. Ma anche ad occhi chiusi è come se vedessi dei flash che tagliano il mio campo visivo. Ad ogni flash il mio mal di testa diventa sempre più acuto.
"Mi stai ascoltando?". La voce di Eric è fin troppo squillante per le mie orecchie. "Chris?".
"Sì... Io... Non lo so... Mi sono svegliato e ho visto tutto questo... Casino...". Cerco di schiarirmi la voce, di ricompormi, almeno per quello che posso. Devo ancora riprendermi da ieri sera.
"Guardami...". Eric viene verso di me scrutandomi attentamente ed è la prima volta che lo fa da quando è arrivato qui, circa un quarto d'ora fa. "Guardami!" Quasi sussulto al suo tono alto di voce, mi stranizzo io stesso di questo, non è da lui. "Non posso crederci...". Scuote la testa, ancora più deluso che mai, non la smette di fissarmi e credo di non essermi mai sentito così a disagio come adesso. "L'hai fatto di nuovo! Cazzo!". Non ho mai visto il mio migliore amico in questo stato, prende la prima cosa che si trova davanti e la lancia verso la parete vicino la porta d'ingresso dell'officina. È proprio in quel momento che entra un cliente ma si ferma sulla soglia a bocca aperta.
"Siamo chiusi", sbotta Eric.
Il tipo pelato con una valigetta in mano guarda l'orologio sul polso destro. Sembra un uomo in carriera, forse un dottore. "Sono quasi le nove... Non dovreste essere aperti da almeno mezzora?".
"Siamo chiusi!", stavolta gli urla contro. Quel tipo fa dei passi indietro mentre Eric con una mano gli sbatte la porta in faccia e con l'altra gira il cartellino che dice ufficialmente che siamo chiusi. Resta lì, poggia entrambe le mani sul muro e fa dei respiri profondi, come se stesse cercando di ritrovare la calma. "Me lo avevi promesso...", dice adesso con un tono molto più pacato ma è chiaro che si sta sforzando.
"Eric... Mi dispiace...".
"Me lo avevi promesso Chris... Dannazione!", batte un pugno e quasi sussulto di nuovo. Per la prima volta mi sento in colpa. Terribilmente.
"Ne abbiamo parlato ieri sera...", viene verso di me puntandomi il dito, "E che cosa fai? Vieni qui, nel posto che ti ho dato come casa perché mi sono fidato di te, e permetti che accada tutto questo?! Davvero?! Che ti succede! Che c'è di sbagliato in te?!". Mi dà una spinta, lo guardo negli occhi ed è la rabbia a parlare e ad agire per lui, ma non posso biasimarlo semplicemente perché ha così dannatamente ragione.
"Non so come sia successo... Io... Stavo dormendo...".
"Stavi dormendo?! Vediamo un po'... Che cazzo hai fatto dopo che me ne sono andato ieri sera? Immagino che tu sia andato a letto, oppure no?".
Resto in silenzio, in questo momento mi sento così piccolo di fronte a lui. Vorrei scomparire, vorrei che non fosse mai capitato tutto questo.
"Fammi indovinare... Sei tornato in quel porcile, o sbaglio?".
Non riesco a proferire parola. So che qualsiasi cosa dica in questo momento sarebbe solo tutto inutile. Forse peggiorerei tutto.
Eric annuisce ridendo, ma è una risata amara. "A che ora sei tornato?".
"Credo... Prima delle tre".
"Hai chiuso la porta?".
Provo a ripercorrere tutto quello che ho fatto da quando sono tornato qui ma non ci sto a capire più niente. "Non lo so... Ricordo solo di essermi messo a letto, non riuscivo nemmeno a stare in piedi".
"Te lo dico io, non hai chiuso quella dannata porta! Non c'è nessun segno di effrazione! Eri talmente sballato che sei tornato qui e non ti sei nemmeno curato di chiudere a chiave".
"Eric...".
"Ti avrà seguito qualcuno da quel posto, ne sono sicuro. Avranno visto in che condizioni eri e non ci hanno pensato un attimo a fare... Tutto questo". Si guarda attorno, ancora sconvolto dall'immagine dell'officina sotto sopra.
"Mi dispiace". È l'unica cosa che riesco a dire, non saprei cos'altro fare per rimediare a tutto questo. Mi sento una merda.
Eric si lascia scivolare sul pavimento mentre continua a guardare la maggior parte dell'officina ormai distrutta. "Qui c'erano i miei risparmi, i nostri soldi, e tu hai lasciato che me li portassero via".
"Ti ripagherò per tutto... Me li leverai dallo stipendio".
"Sapevi che quei soldi mi servivano per le cure di mia nonna!". Mi guarda con gli occhi sbarrati, pieni di rabbia mentre delle lacrime iniziano a rigargli il viso senza controllo. Ma poi si alza e viene lentamente verso di me stringendo i pugni. "Non voglio più vederti".
"Eric...".
"Dovrai cercarti un altro lavoro, e un altro posto dove stare. Tu... Non metterai più piede in questo posto, non toccherai più la mia auto e non avrai più un cazzo di tutto quello che ti ho dato! Non sei più il benvenuto qui".
"Cosa?! Amico...".
"Vattene!".
Sto per avvicinarmi a lui ma mi fermo di colpo a quella parola. Eric è totalmente distrutto ed è solo colpa mia. Io sono la causa di tutto questo, io sono la causa del suo dolore. Come ho potuto? Come ho potuto fare tutto questo all'unico migliore amico che ho e che ho mai avuto in tutta la mia vita? Eric c'è sempre stato, mi ha sempre aiutato, ha annullato ogni tipo di distanza per starmi vicino. Sempre. Ed io lo ripago con questa merda. Ho mandato tutto a puttane per l'ennesima volta. E sì, ha proprio ragione, devo andare via. Devo scomparire una volta per tutte, per sempre.
Mentre esco dall'officina mi ferma l'arrivo di un messaggio. È un avviso di chiamata, riconosco quel numero. È quello della casa di cura dov'è ricoverata mia madre. Mi fermo davanti al Range Rover di Eric per forza d'abitudine ma cambio subito strada. Devo fare in fretta per prendere un bus che mi porti a New York.

OLTRE OGNI COSADove le storie prendono vita. Scoprilo ora