Capitolo 58-Chris

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Mentre Williams è dall'altro lato della scrivania intento a firmare dei documenti che man mano consegna all'infermiera in piedi accanto a lui, non posso fare a meno di restare fermo a guardare mia madre. E' seduta su quella sedia a rotelle, con la testa inclinata da una parte mentre guarda un punto fisso davanti a sé. È come se non fosse qui, se il suo corpo lo fosse ma la sua mente no. E' chiaramente altrove. Mi chiedo come si fa a restare così per tutto questo tempo, senza alcun contatto con il mondo fuori. È come se fosse sospesa in una dimensione che non è quella reale. A volte mi chiedo se riesca a sentirmi, se volesse dirmi qualcosa o abbracciarmi. Il suo volto invecchiato e spento mi fa sentire così distante da lei, da quella madre che avevo una volta. Ha una flebo attaccata al braccio, l'ultima volta non l'aveva.
"Cos'è quella?".
"Glucosio. Ultimamente sua madre sta rifiutando di mangiare quindi dobbiamo integrare in qualche modo gli zuccheri che le mancano. Stava facendo qualche progresso, aveva iniziato a fare qualche piccolo passo da sola ma da un paio di mesi sembra che abbia avuto una ricaduta". L'infermiera ringrazia il dottor Williams e, prima di uscire, si avvicina a mia madre. "Sta tranquilla, qui sei in buone mani", le sorride dandole un bacio sulla fronte, "Noi ci vediamo dopo". Poi, esce dalla stanza.
In qualche modo mi rincuora sapere che qui mia madre è trattata bene, mi fa stare tranquillo.
"E' necessario?".
"Cosa?".
"Che le abbiano attaccato quella cosa?".
"Christopher, come ti ha spiegato Emily, Martha ha bisogno di quella flebo. Non collaborando a mangiare volontariamente , soprattutto, autonomamente bisogno che integriamo quello che le serve via endovena".
Mentre Williams parla continuo a guardare mia madre. Sento una pena verso di lei che mi fa venire un groppo terribile in gola. Ed è proprio in questo momento che mi chiedo se avessi potuto fare di più, se avessi scelto ancor prima di venire qui a sistemare le cose, a scoprire la verità, se sempre c'è una verità. Forse avrei permesso che le cose andassero diversamente? Forse adesso lei non sarebbe su quella sedia a rotelle? Chissà se sarebbe sempre la stessa donna piena di luce, di energia che ti assale e ti trasporta con sé. L'ho sempre ammirata, lei è sempre stata il mio punto di riferimento, il mio punto fermo e forte. Fino a quando lei sarebbe stata in piedi lo sarei stato anche io. Poi, lei è caduta crollando e sono crollato anche io in mille pezzi.
"Non è colpa tua", mi dice Williams riportandomi alla realtà.
"Di che parli?".
"So a che cosa stai pensando. Non è la prima volta che mi ritrovo davanti persone con un cuore così grande da pensare di avere la colpa di tutto quello che gli succede".
"E che cosa ti fa pensare che io abbia un cuore così grande, come dici tu?".
"I tuoi occhi", fa una pausa, "Mi basta guardarti negli occhi per capire che quello che ti è successo è qualcosa che non avresti potuto controllare. E' andata così perché doveva andare così e tu devi fartene una ragione".
"Guarda mia madre e dimmi come potrei farmene una ragione".
Williams annuisce ed è come se lo avessi colto alla sprovvista, "Quello che ti è successo non è qualcosa che è dipeso da te. Per poter andare avanti devi semplicemente accettare questo".
"Siamo qui per psicoanalizzare me?".
"No ma... Fidati di me Christopher, l'accettazione è il primo passo per vivere bene. Detto questo, quando vuoi possiamo iniziare il nostro incontro mirato a provare a riportare qui tra noi Martha, non è vero Martha?", dice Williams rivolgendosi a lei ma mia madre resta immobile. A stento batte le ciglia, è completamente assente.
"Sono pronto".
"Bene", Williams fa quella cosa che fanno tutti gli schizzacervelli, tira fuori un'agenda con una penna e inizia a scriverci su qualcosa. Poi, guarda me. "Christopher, oggi siamo qui con tua madre per rivivere il giorno della morte di tuo padre. Nel nostro precedente incontro mi hai già raccontato come sono andate le cose ma, oggi, ti prego di ripercorrere i fatti davanti a tua madre".
Tentenno ancor prima di iniziare a parlare, come se la voce c'è ma io non sono proprio in grado di farla uscire. Ci provo e riprovo mentre l'adrenalina comincia di nuovo a scorrermi dentro destabilizzandomi ancora una volta. Ripenso a Jess, alle sue parole, a quali sarebbero le sue rassicurazioni e, per un attimo, passa tutto e posso iniziare a parlare. "Quella sera ero rientrato da casa di Eric, avevo visto la camera di Steph a luci spente ed ero sicuro che fosse con delle amiche. Non appena entro in casa e vado verso la cucina vedo la stessa scena che mi tormenta da vent'anni. Mio padre di spalle con davanti, da un lato, mia madre sul pavimento e, dall'altro, Steph, mia sorella, anche lei a terra. Non ne ho la certezza perché sono troppo lontano ma credo che Steph sia morta. Non so perché in quel momento lo penso, è come se lo avessi sentito sin dal mio momento in cui l'ho vista in quello stato. Il pianto disperato di mio padre rompe quel silenzio assordante, ha ancora la pistola in mano quando mette le mani tra i capelli. Poi, la lascia scivolare dietro di lui mentre si inginocchia continuando a piangere. E... succede tutto in un attimo: io mi chino a prendo quella pistola. Parte uno sparo e, poco dopo, scopro di averlo ucciso".
"Che cosa succede poco prima di realizzare quello che avevi fatto?".
"Ero come in trance. E' stato tutto così veloce, incontrollabile. Volevo farlo tutte quelle volte che trattava male mia madre o alzava la voce a Steph, ma poi finivo per fare il vigliacco e scappare. Ma quel giorno è stato tutto diverso, quel giorno sono stato in grado di porre fine a tutto, e anche alla mia vita".
"E che cosa ricordi dopo lo sparo?".
"Il silenzio. Era come se le mie orecchie si fossero tappate. Poi, ho iniziato a sentire delle voci come in lontananza, come quando perdi i sensi e senti rimbombare dei suoni attorno a te ma non capisci che sta succedendo. Per dei giorni... non ho ricordato quello che avevo fatto. In riformatorio facevo degli incontri con dei psicologi che mi continuavano a dire che ero stato io, che io avevo ucciso mio padre e, ogni volta, era come se lo scoprissi per la prima volta. E così ripiombavo di nuovo nel silenzio, e le voci tornavano ad essere rimbombanti, lontane. Fino a quando ho iniziato a non parlare più, per un anno. Ero convinto che se non avessi parlato avrei potuto evitare di ammettere a voce alta quello che avevo fatto".
"Torniamo al momento in cui entri in salotto e sei vicino la cucina. Vedi tuo padre di spalle mentre tua madre e Stephanie sono di fronte a lui, entrambe a terra. Che cosa pensi?".
"Che l'abbia uccise".
"E la verità qual è invece?".
"Che ha ucciso mia sorella e che ha provato ad uccidere anche mia madre ma, alla fine, mi dicono che era viva".
"Che cosa ti hanno detto sull'andamento dei fatti?".
"Mi hanno detto che lui era ubriaco e... che, secondo la loro ricostruzione, ha ucciso prima Steph e poi picchiato mia madre facendole perdere i sensi".
"Che cosa lo avrà provocato secondo te?".
"Non lo so... Le discussioni erano sempre perché non era pronto a tavola o perché Steph chiedeva di uscire ma lui glielo proibiva sempre...".
"Tu pensi che Russel Lewis meritava quello che gli è successo?".
"Gli ho sparato, quindi sì. Ricordo quanto ero stanco in quel periodo, lui era stressato, non gli si poteva dire una parola a tavola che iniziava a lanciare cose, a volte anche addosso a noi. Non ne potevo più, non riuscivo più a vedere mia madre versare ancora una lacrima e... Quando ho visto Steph a terra io... Non ci ho visto più. È come se qualcosa mi avesse dato finalmente la forza di non scappare più e reagire".
"Se ti chiedessi se lo rifaresti ancora che cosa mi risponderesti?".
"Volevo solo proteggerle ed ero solo un bambino. Credo che rifarei lo stesso errore".
"Se ne sei sicuro, perché lo chiami errore?".
"Perché nessuno ha il diritto di togliere la vita a qualcun altro".
"Che cosa farebbe il Christopher di oggi?".
"Aiuterei la mia famiglia, chiederei aiuto. Inizierei a parlare, a scuola, con gli amici. Forse se avessi parlato avrei potuto mettere fine a quell'incubo e mia sorella ancora qui".
"Che cosa pensi di tuo padre oggi?".
"Che era un alcolizzato e un drogato del cazzo e che il suo male ha distrutto noi. La sua condanna è stata uccidere la propria figlia, ci pensi cazzo? Come fa un padre a...".
"Aspetta Christopher...", Williams mi fa un cenno con la mano mentre guarda mia madre.
Seguo la sua direzione verso di lei e resto sbalordito da quello che vedo. Mia madre continua a guardare un punto fisso senza battere ciglio ma stavolta scuotendo la testa. Anche il suo respiro sembra accelerare.
Williams afferra la cornetta del telefono e preme un numero sul tastierino, "Nel mio studio, ora". Riaggancia e si alza andando verso mia madre. Tira fuori una di quelle torce che servono per controllare le pupille. "Martha! Puoi sentirmi? Martha! Sono il dottor Williams, Martha!".
In quel momento entra l'infermiera di prima. "Portala nella sua stanza, dalle un tranquillante. Ripasserò dopo", le dice Williams e lei, senza esitare o fare domande, afferra la sedia a rotelle e la porta via.
"Aspetta...", mi alzo, "Perché la sta portando via? Che è successo?".
"Christopher torna a sederti".
"Perché l'hai fatta portare via? Lei... Sta bene?".
Williams mi guarda ma stavolta sorride annuendo.
"Che c'è da ridere?".
"Non capisci? Tua madre ha appena avuto uno stimolo. Dopo vent'anni ha avuto un impulso, lei ha reagito!".
"Che cosa significa?".
"Che è come sospettavo...", si spinge indietro con la sua poltrona con le rotelle ed apre un cassetto nell'armadietto alle sue spalle. "Ecco... Questo è il lavoro del dottor Jones! Qui dice... Nessun riscontro del paziente, nessuna risposta agli stimoli esterni...", continua a sfogliare quelle pagine, "E, ancora, la paziente rifiuta volontariamente ogni tipo di contatto con il mondo esterno. Capisci?", Williams chiude il fascicolo e mi guarda come se avesse appena avuto un'illuminazione. "Rifiuta volontariamente ogni tipo di contatto con il mondo esterno! Volontariamente! Io lo sapevo...".
"Sapevi cosa? Cazzo, non sto a capirci niente...".
"Ho sempre creduto che tua madre avesse volontariamente deciso di tagliare ogni tipo di rapporti con il mondo esterno".
"Mi stai dicendo che il fatto di non parlare sia stata sempre una sua scelta?".
"In quel fascicolo è scritto chiaro: il forte trauma cranico l'ha mandata in coma per dieci giorni ma, al suo risveglio, i dottori che l'hanno seguita hanno dichiarato che i parametri erano tornati alla normalità. Che non ci fosse niente da fare se non una leggere riabilitazione".
"Perché? Perché avrebbe dovuto fare questo? Sapendo che, in più, suo figlio era rinchiuso in un riformatorio là fuori?".
"È questo il punto! Perché?".
"Non so più che cosa pensare... Perché ha reagito così proprio nel momento il cui stavo parlando di mia sorella, di quello che è successo?".
"Perché forse non è quello che è successo davvero".
Ritorna quello stesso groppo in gola di prima che mia madre entrasse in questa stanza. Non è quello che è successo davvero? Cazzo! Ho vissuto vent'anni nella menzogna? In una bugia? C'è dell'altro che è successo quella sera che io non so? "Ma com'è possibile? La polizia, la scientifica, tutti mi hanno sempre detto come sono andate le cose quella sera prima del mio arrivo. Che cosa non mi hanno detto e perché?".
"Qualcosa che forse ha visto solo tua madre".
"Che vuoi dire?".
"Voglio dire che quella sera avrà visto qualcosa che l'ha devastata così tanto da portarla a decidere di non parlare più per vent'anni".
"Possiamo tornare a parlarle? Forse posso provarci io...".
"No, Christopher, quello che è appena successo è già abbastanza per tua madre. Almeno per oggi. Non possiamo rischiare di peggiorare la situazione. E' già tanto il fatto che abbia reagito, in qualche modo".
"Qual è la prossima mossa? Quando potrò rivederla?".
"Facciamo passare qualche giorno e vedrò di organizzare un altro incontro. Ma, stavolta, sarai tu a parlarle".
"Che cosa dovrei dirle? Non saprei da dove iniziare".
"Ti aiuterò io, tu dovrai solamente parlarle, farle le domande che le avresti sempre voluto fare. Vedremo così se avrà ancora delle reazioni come quella di oggi. Vedremo che succederà".
Se prima di oggi i dubbi mi assalivano senza darmi tregua, adesso è ancora peggio. Mi sento completamente annientato dai mille perché e continuo a ripetermi che quella possibilità che io abbia vissuto una vita dentro una bugia si fa sempre più vera. E, adesso, mi sento ancor più spaventato di quando avevo undici anni, di quando ero solo un bambino che aveva appena sparato al proprio padre.

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