Capitolo 37-Chris

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Mille domande invadono la mia mente, come se all'improvviso qualcosa non mi tornasse. Dopo tutto questo tempo, dopo tutto quello che ho passato adesso sono qui, di nuovo. Nello stesso limbo. Come se mi stessi aggrappando a qualcosa per tirarmi su, sempre più su, per poi ricadere di nuovo. Ma sono qui e per sapere cosa poi? Per ripiombare di nuovo nello stesso incubo che mi perseguita ogni notte e stavolta ad occhi aperti? Per ricominciare di nuovo ad andare in analisi? Perché lo stai facendo Chris? Sento una voce che continua a ripetermi da più di un'ora la stessa domanda. La sento da quando sono qui e non ho una risposta. No, non ce l'ho proprio. È come se avessi seguito il mio istinto e fossi venuto fino a qui senza sapere nemmeno il perché. E la cosa peggiore è che so già che me ne pentirò.
"Cooper! Ti cercano!", l'agente Dowson, è quello che leggo sulla targhetta attaccata alla sua divisa, fa cenno a Garret che sta per entrare nel suo ufficio. "Sta arrivando", mi fa l'occhiolino e si allontana.
Non mi è mai piaciuta la polizia, in fondo chi dice che ci si può fidare di questi tizi in divisa solo perché indossano una divisa?
Garret si ferma, restando lì in fondo nel corridoio a guardarmi. Credo che a tratti sgrani gli occhi per capire chi sono. Poi, fa qualche passo lento verso di me fino a quando non me lo ritrovo davanti. Dalla sua espressione non sembra affatto contento di vedermi. "Christopher Lewis, a cosa devo la tua visita?", mi porge una mano ma sembra quasi che sia la circostanza ad obbligarlo. Mi azzarderei quasi a dire che si sta sforzando di essere gentile.
In verità, non piace nemmeno a me stare qui, l'ultima volta che ci siamo visti mi ha fatto capire l'idea che ha di me, che sono un assassino e che dovrei stare alla larga da Jess e, su quest'ultimo punto, non creda abbia poi così torto.
"Ho bisogno di parlare con te".
"Stavo giusto andando ad occuparmi di un caso...".
"Non ti ruberò molto tempo. Dammi solo cinque minuti".
Garret si ferma e mi fissa a lungo. Poi annuisce, "Seguimi".
Lo seguo fino a quando non entriamo dentro il suo ufficio. Tutto è perfettamente in ordine, ancora più perfetto dell'ultima volta che sono venuto qui. Sembra quasi... Maniacale. Sì, questa è la parola giusta. Maniacale. Ogni cosa che si trova dentro questa stanza sembra seguire un ordine logico, simmetrico, preciso. Come se lui avesse preso un metro e avesse disposto ogni cosa seguendo delle coordinate esatte. Questa visione mi dà quasi i brividi.
"Allora, siediti e dimmi... Che cosa ti porta qui?".
È proprio in questo momento che mi chiedo se abbia fatto la cosa giusta a venire qui per rivangare nel mio passato. So a che cosa mi porterà, ne sono consapevole. Ma devo sapere, devo capire se ho commesso degli errori e se ho sempre creduto a qualcosa che, in realtà, non è vero. "Vent'anni fa. Quella sera, voglio sapere tutto di quella sera".
Garret poggia i gomiti sulla scrivania e mette entrambe le mani sulla bocca, come se fosse piuttosto sorpreso da quest'improvviso interesse sul mio passato, è evidente che proprio non se l'aspettava."Perché? Perché parlare ancora di qualcosa che già sai e che, soprattutto, può farti male? Non hai già sofferto abbastanza Christopher?".
"E a te che importa? Sappiamo benissimo che cosa pensi di me".
"Non capisco...". Dalla sua faccia non sono in grado di intendere se non sta capendo davvero quello che sto dicendo o se sta semplicemente fingendo.
"La nostra natura... Nessuno può cambiarla. L'hai detto tu l'ultima volta che ci siamo visti, qui, in quest'ufficio".
"Christopher...".
"Voglio sapere di quella sera, nient'altro. Puoi rispondere alle mie domande o no?".
Garret poggia la schiena sulla sua sedia di pelle e inizia ad oscillare lentamente da destra verso sinistra e viceversa. Sembra pensare, riflettere su qualcosa. Poi, inizia ad annuire, quasi convincendosi di iniziare a parlare. "Che cosa vuoi sapere?".
"Che cosa è successo quella sera?".
"Non puoi farmi questa domanda dopo vent'anni! Insomma... Sai che cosa è successo!".
"Che cosa è successo davvero!".
"Hai ucciso tuo padre quella notte, Christopher. Sei arrivato lì e hai trovato tua madre accasciata a terra da un lato, tua sorella dall'altro e al centro tuo padre con ancora una pistola in mano. In quel momento hai subito un crollo psicologico alla vista di quella scena e gli hai sparato".
So benissimo quello che è successo. È quello che mi hanno sempre detto, quello che mi ripeto da vent'anni e che oggi sto mettendo in dubbio.
"Non ricordi proprio niente eh... Nonostante sia passato tutto questo tempo e ti abbiano seguito decine di strizzacervelli, tu non ricordi ancora niente".
È quello che voglio fargli credere. "Non sono venuto qui per una seduta di psicoanalisi, rispondi alla mia domanda Garret".
"Tuo padre custodiva illegalmente un'arma in casa vostra. È quella che ha usato per uccidere tua sorella. Dopo averle sparato ed essersi accorto di te alle sue spalle, l'ha fatta scivolare sul pavimento, evidentemente sconvolto lui stesso da quello che aveva fatto. A quel punto tu hai preso l'arma e gli hai sparato".
"Questa è la ricostruzione dei fatti e sembra che tu la stia leggendo in uno di quei fascicoli che tieni lì sopra... Ma la verità... È questa la verità?".
"Dio... Di che verità stai parlando adesso?".
"Di quella sera ricordo solo me in piedi davanti a mio padre con quella pistola in mano. E quello sparo, nient'altro. Il resto è quello che mi riportò allora la polizia".
"Aspetta... Vuoi dirmi che, dopo tutte le cure alle quali ti hanno sottoposto e tutte quelle stronzate di percorsi psicologici che hai seguito, non sei mai riuscito a ricordare come sono andate le cose davvero?!".
"Perché c'eri tu quella sera in casa mia?".
"Ero di servizio proprio in quella zona con la mia volante, arrivò una chiamata dai vicini e mi mandarono lì. Quando arrivai eri come in trance, non rispondevi a nessuna delle mie domande, eri completamente... Perso".
"Le ricordo le tue rassicurazioni, che non mi sarebbe successo niente di brutto. Dopo lo sparo, ricordo solo questo".
"Dannazione... Eri solo un bambino Christopher! Un bambino di undici anni vittima di un'infanzia trascorsa a vedere il proprio padre violento! Avevi raggiunto il limite, non stavi bene, quella sera non eri tu".
"E mia madre?".
"Cosa? Che cosa vuoi sapere su tua madre?".
"Ha visto sua figlia morire o mio padre gli ha provocato quel trauma cranico prima?".
"Beh, secondo la ricostruzione dei fatti non si è mai capito se sia successo prima o dopo, è successo tutto così in fretta... L'unica spiegazione plausibile è che tua madre ha provato a difendere tua sorella e tuo padre l'ha spinta facendole battere la testa".
"Quindi mia madre può aver visto come sono andate le cose?".
"Come sono andate le cose lo sappiamo già Christopher, tuo padre ha ucciso tua sorella".
"Oppure può esserci dell'altro".
"Dell'altro? Non ti seguo...".
"E se le cose fossero andate diversamente? Se fosse stato un incidente? Se mio padre non avesse sparato a mia sorella intenzionalmente? Mia madre lo saprebbe e io avrei ucciso mio padre senza un motivo".
"Un incidente?! Tuo padre si drogava Christopher, quello che è successo quel giorno non è stato un incidente! Quel giorno era strafatto! Lo rivelarono gli esami tossicologici".
"Come fai ad esserne così sicuro?".
"Lo so e basta".
"Come fai!".
Garret mi guarda a lungo e, alla fine, tira un sospiro come per arrendersi. "Una volta Stephanie, tua sorella, venne in centrale per denunciarlo".
Cosa?! Mia sorella voleva denunciare nostro padre?!
"Allora mio padre era il capo della polizia qui. Provò a calmarla e a farle cambiare idea, ma lei non voleva proprio saperne".
"Perché era andata alla polizia? Che accadde?".
"Quella sera in cui tu gli sparasti non fu l'unica Christopher, in quegli ultimi mesi tuo padre tornava dal Golden con una grande quantità di roba che nascondeva solo lui sa dove. Ormai aveva perso la testa, all'epoca io ero alle prime armi ma sapevo che mancava poco per sbatterlo dentro. Una sera tua sorella torno più tardi del previsto e lui la picchiò, era fuori di sé, così lei riuscì a scappare e a venire qui. Dopo qualche ora venne tuo padre e sistemò le cose, adesso non ricordo come ma solamente che riuscì a tornare a casa con lei".
"Ci sono cose di cui non so niente, non ricordo niente...".
"Eri un bambino Christopher, è lecito che tu non ricordi tutto".
"Grazie per il tuo tempo".
Sto per andarmene quando Garret mi raggiunge sulla soglia. "Non ti conviene scavare nel tuo passato, quello che è successo dovrebbe restare dove si trova adesso. Mettici una pietra sopra, sarebbe meglio. Credo che dovresti andare via da qui e ricominciare. Questo posto non ti fa bene...".
"Mia madre è qui e ha bisogno di me".
"Che cosa stai cercando davvero ragazzo? Hai già scontato quello che dovevi scontare, perché colpevolizzarti ancora?".
"Perché ho ucciso mio padre e magari avrei potuto evitarlo. Magari quello che è successo con mia sorella è stato un incidente ed io ho fatto quel che ho fatto senza una vera ragione. E devo sapere, ho bisogno di sapere! Sono troppi i dubbi, le domande...".
"Domande su cosa?".
"Che cosa mi sai dire delle ragazze scomparse?".
"Che vuoi dire?".
"Ho letto di tutti quei tizi che hanno ricondotto la loro scomparsa a mio padre solo perché furono avvistate per l'ultima volta nei pressi del Golden...".
"Oh andiamo Christopher... Vuoi metterti a fare il detective adesso? Solo perché il tuo amico ti ha sbattuto fuori l'officina dopo che qualche delinquente lì fuori l'ha messa sotto sopra? Dovresti trovarti un vero lavoro".
Come fa a saperlo? Come fa a sapere tutto?! "Puoi rispondere a questa domanda?".
"Non abbiamo ancora una pista".
"E vent'anni fa? C'era una pista?".
"Che credi di fare Christopher?".
"Di nuovo, grazie per il tuo tempo Garret".
"Dovresti pensare a rifarti una vita piuttosto di occuparti di qualcosa che non compete a te".
"Quello che sto iniziando a pensare è che in questo posto la polizia sta facendo finta di niente".
Garret ride, come se gli avessi appena raccontato qualcosa di divertente. "Che cosa ci suggerisci di fare detective? Sentiamo!".
"Avete buttato fango su mio padre vent'anni fa e adesso? Mio padre non c'è e delle ragazze stanno continuando a sparire. Dovresti essere tu a suggerirmi qualcosa, sei tu il capo della polizia qui".
La sua faccia divertita diventa improvvisamente seria. Non dice una parola, riesco solamente a leggere la rabbia sul suo viso. Le mie parole sono come un'ingiuria nei suoi confronti, è palese.
Gli do le spalle e vado via, le informazioni che mi ha dato Garret sono sufficienti per capire quello che devo fare adesso.

È passata la mezzanotte da due minuti. Sono al 406 di Cushman Row, a Chelsea. Eccola, la vedo. E ogni volta è sempre la stessa storia. Sento il battito del mio cuore accelerare, quasi facendomi perdere il respiro. Il suo viso, il suo corpo, sono come una maledizione per me. Non ho mai avuto nessuna donna sul serio in vita mia, solamente scopate, senza un senso né un valore. Credevo che non avrei mai provato che cosa significasse amare qualcuno, perdere la testa, impazzire totalmente. E sono stato un codardo, l'ho guardata così tante volte ma non le ho mai detto quello che provavo davvero. L'ho rifiutata, ancora e ancora e lei è sempre stata lì. Jess non si è mai arresa, in fondo quello ad arrendersi sono stato io fin dall'inizio. Ho messo un muro davanti a lei, ogni volta che ha provato ad avvicinarsi a me e adesso ho la certezza che mi odierà, e come biasimarla? Ma mi chiedo anche come si può? Amare qualcuno tanto da sentire i brividi sulla pelle, essere incapace di gestire queste sensazioni che sembra che vogliano annientarmi da un momento all'altro? Cazzo, lo riconosco. Sono così complicato per lei, per Jess sono troppo. Le ho già rovinato la vita, l'ho resa infelice, l'ho esasperata una e più volte e questo non me lo perdonerò mai. So il male che le ho causato, così come quello che ho causato ad Eric. E come potrei mai perdonarmi quello che ho fatto? Non riuscirò mai a perdonarmi io, non lo faranno mai loro. Le persone che mi amavano sul serio, che c'erano davvero. Ed io che ho fatto? Ho mandato ancora una volta tutto a puttane. C'è un modo, ne esiste solo uno per farmi perdonare, per far sì che mi assolvano per tutte le mie colpe. Andarmene, devo andare via da qui liberandoli. E tra una settimana è quello che farò ma stavolta per sempre. Ma prima di andare devo darmi un'ultima possibilità, per scoprire di più su mia madre, per chiedere scusa. Soprattutto per chiedere scusa. Jess passa di nuovo davanti la finestra, e non mi vede. Si ferma un attimo per scostare la tenda ed io sono qui, sono proprio qui, ma lei non mi vede. Sono poggiato sul tronco d'albero dall'altro lato della strada. Guarda le macchine che passano mentre mette le braccia conserte, poi prende il cellulare, starà aspettando qualcuno? Sembra nervosa, continua a guardare fuori, sta per piovere, si sentono i tuoni. Si gira richiudendo la tenda e non la vedo più di nuovo. Tiro su il cappuccio della felpa, adesso sta piovendo davvero. Attraverso la strada e arrivo quasi vicino la rampa di scale di casa sua ma cambio subito direzione andando nell'appartamento accanto, è il 407, quello di Ben. Spero che non sia in casa, non saprei nemmeno che scusa inventargli per giustificarmi di essere davanti la porta di casa sua. Eccolo lì, Dan sale le scale e Jess gli apre velocemente per farlo entrare. Che ci fa lui qui? E che me lo chiedo a fare? Dopo tutto questo tempo e, soprattutto, dopo tutto quello che ho fatto avrà deciso di frequentarlo di nuovo? Sento come una fitta allo stomaco che mi attraversa lentamente, è questo quello che Jess avrà provato ogni volta? Delusione? Rabbia? Odio? Quello che so è che è sicuramente quello che sto provando io adesso. E sì, vorrei scendere queste scale e tornare da lei, bussare a quella porta e spiegarle tutto. Prenderla per mano e portarla via con me, ancora una volta nel nostro posto fuori dal mondo. Sì, lì staremmo bene, io e lei lontani da tutto. Ma perché poi? Per distruggerla ancora? No, io devo andare, devo andare il più lontano possibile da Jess. La amo cazzo, ed è esattamente quello che devo fare per lei. Andare via.

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