Capitolo 32-Jess

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Non appena finisco di parlare Dan resta lì a fissarmi. Non dice una parola, non batte ciglio. Credo che questa volta non avrò il suo appoggio, e non posso nemmeno arrabbiarmi per questo. Insomma, ormai le cose tra di noi non vanno affatto bene e l'ultima volta che ci siamo lasciati non l'abbiamo fatto nel migliore dei modi, considerando che è finito in una stazione di polizia per sporgere denuncia contro Chris. È quasi comico, se penso a quello che io e lui eravamo fino a qualche anno fa e guardo come siamo diventati adesso mi viene da ridere, ma forse in realtà è più amarezza. È davvero triste come ci siamo ridotti, scoprendo di essere soltanto due estranei che hanno passato una parte importante della loro vita, tanti anni senza nemmeno conoscersi sul serio.
"Capisco la tua reazione, se non vuoi accettare la mia proposta...".
"Va bene, ti aiuterò Jess", non impiega molto tempo a rispondere.
Resto piuttosto sorpresa, nonostante il nostro rapporto ormai sia andato a rotoli, Dan mi ha appena detto che mi aiuterà. Quasi non ci credo, pensavo che il mio tentativo sarebbe stato vano.
"Davvero? Io... Non so come ringraziarti... Quello che è successo con Chris...".
"No, non farlo. Quel giorno sono stato un idiota".
"Beh, non sei stato l'unico, anche io ho commesso degli sbagli".
"Ma adesso siamo qui".
"Ed io devo ringraziarti Dan, in nome di tutto quello che c'è stato".
"Ringraziarmi? Jess... Non devi. L'unica cosa che devi fare da ora in poi è credere che non rovineremo di nuovo tutto. E, per farlo, ti propongo un accordo".
"Un accordo?".
"A partire da adesso, il nostro rapporto sarà meramente professionale. Tu hai bisogno di me per risolvere una volta per tutte quello che ti perseguita fin da quando eri bambina ed io ho bisogno di te Jess, quel lavoro alla New York University il mese prossimo significa tanto per me". Quindi è come se volesse pareggiare i conti. Una cosa ciascuno, tutti e due usciremo vincenti da questa storia.
Mi sta bene. "Affare fatto".
Dan mi guarda soddisfatto, e sento che per la prima volta le cose stiano andando per il verso giusto. E spero che sia così davvero da ora in poi. "Bene. Iniziamo subito?".
Guardo l'orologio, manca poco alle nove. "Credo che sarà meglio domani, si è fatto tardi...".
"Scusa, oggi è stata una giornata piena e ho perso la cognizione del tempo. Domani credo di avere un appuntamento alle quindici e trenta e poi... Niente... Mi farò dare conferma da Meredith. Ti va bene se ti raggiungo verso le sei?".
"Io sono libera tutto il giorno, posso raggiungerti io quando vuoi...".
"No, ho delle commissioni da sbrigare a Chelsea, aspettami per quell'ora".
"Allora, a domani".
Dan annuisce, sembra avere un velo di malinconia sul viso. Il senso di colpa per tutto quello che è successo è ancora troppo forte, so che ha commesso degli sbagli con me ma so anche che io non sono stata poi così corretta con lui. So che se siamo arrivati a questo punto dove ormai è solo il rapporto professionale che ci lega è per colpa di entrambi. Ma ho bisogno di lui, ne avrò sempre, sia perché gli voglio bene e sia perché non ci sarebbe nessun altro che potrebbe aiutarmi sul serio. Non appena arrivo sulla soglia della porta mi fermo e mi giro verso di lui che è ancora lì seduto, ma stavolta con lo sguardo perso nel vuoto. Ci guardiamo, ancora una volta e Dan, senza nemmeno dire una parola, annuisce ma in quel gesto riesco a capire che, in realtà, è lui a ringraziare me.

Non appena arrivo al mio appartamento noto una volante della polizia parcheggiata proprio lì davanti. Non appena mi avvicino, si apre lo sportello e da lì esce Garret. Che ci fa qui a quest'ora? Sarà successo qualcosa? Chiudo la mia auto e vado verso di lui.
"Cos'è quella faccia? Non posso andare a trovare la mia sorellina?". Garret mi precede ancora prima che io parli.
Ogni volta che mi chiama così è come se venissi annientata da un brivido lungo la schiena e non ho mai capito il perché. Non lo sopporto proprio. Lo usa fin da quando eravamo dei bambini, la maggior parte delle volte per farmi i dispetti.
"Sì ma... Non mentre sei in servizio. Vuol dire che è successo qualcosa. Non è così?".
È in quel momento che dalla volante esce mia madre. Mia madre?! Che ci fa qui?
"Possiamo entrare?", mi dice lei senza nemmeno curarsi di salutare la propria figlia che non vede da un altro mese o più, ormai ho perso proprio il conto. Del resto, non è una novità. È sempre stata assente ma mai come nell'ultimo anno, dalla morte di mio padre, quando invece avrebbe dovuto fare esattamente il contrario. La madre, avrebbe dovuto fare semplicemente la madre. Quella che si prende cura di tutti, amorevole e presente. 
"Certo", anche se non capisco questa visita improvvisa alle nove passate di sera. Sono sicura che c'è qualcosa sotto. E non si tratta di niente di buono, soprattutto se si tratta di loro due che vengono qui insieme.
Non appena entrano in casa mia, mia madre fa la sua solita faccia, quella di una che guarda quasi con sdegno attorno a sé. Sono ben consapevole che non le è mai piaciuto il mio gusto in materia di arredamento. Da quando questa casa è mia, ho cambiato tutto con i miei primi guadagni, perfino i mobili. Non avrei mai potuto tollerare ancora per molto quel gusto classico riversato ovunque, dai mobili fino a quei strano soprammobili sparsi dappertutto.
"Te l'ho già detto detto mamma, nel ripostiglio ho degli scatoloni con tutte le tue cose. Quando vuoi puoi prenderle".
"No... Io stavo solo... Guardandomi intorno".
"Sei venuta qui in tutto due volte nell'ultimo anno... E la tua faccia è sempre la stessa, so benissimo a cosa stai pensando".
Mia madre si astiene dal rispondermi, mi sorride annuendo ma è palese che si tratta di un sorriso forzato. Come se non la conoscessi...
"Allora... Che cosa vi porta qui a Chelsea a quest'ora?".
"Jess... Ecco, noi stavamo pensando di...". Mia madre inizia a parlare ma sembra quasi esitare, guarda di continuo Garret come se volesse il suo appoggio ad ogni parola che le esce dalla bocca. Fa un respiro profondo e poi riprende. "Credo che con tutto quello che sta succedendo lì a Greenwich sarebbe meglio che tu venissi a stare da noi. Ormai questo mondo non è più sicuro...".
Cosa?! Mia madre mi sta chiedendo sul serio di andare da lei perché si preoccupa che possa succedermi qualcosa?! 
"Il mondo non è più sicuro?!". Non so perché ma tutto quello che dice mi suona terribilmente divertente e stavolta non riesco a dissimulare.
"Quello che nostra madre vuole dire è che la scomparsa di tutte quelle ragazze ci sta facendo preoccupare e crediamo che tu possa non essere al sicuro qui".
"E credete davvero che da voi sarei al sicuro?". Non lo sono mai stata, nemmeno quando ero una bambina. Solo con papà in casa stavo bene. Una voce dentro di me vuole sbattergli in faccia tutto quello che penso davvero, come se volesse uscir fuori ed io la bloccassi di continuo. "Credo che abbiate perso tempo a venire qui".
"Jess, ormai quasi ogni giorno scompare una ragazza, quasi tutte della tua età. New York non è un posto sicuro, Greenwich non lo è. Dovresti valutare la nostra proposta e pensare di venire a stare da noi per un po', almeno fino a quando le cose non si sistemano... Ti abbiamo detto qualcosa di divertente?".
"Sì mamma! In questo momento mi viene solo da ridere e sai perché? Dopo trent'anni ti stai preoccupando per la prima volta per me! Guarda un po', proprio adesso che sto bene!".
"Non ti va mai bene qualsiasi cosa io dica o faccia, siamo sempre al solito punto!".
"Che cosa vuoi davvero mamma? Redimerti?".
"Jess...".
"No Garret! Venite qui, a casa mia, e pretendete che io venga a vivere da voi? Davvero?".
"Oh mio Dio...", mia madre si avvicina a me piangendo, "È stato questo per te? Vivere con noi è stato un incubo?".
"Oh andiamo mamma... Lo sai anche tu. Comunque no, grazie per il vostro gentile pensiero ma no, sto bene qui, a casa mia. E, poi, so badare benissimo a me stessa".
"Casa tua...", adesso scuote la testa con l'odio negli occhi, "Tutto questo era mio! Se non fosse stato per tuo padre che ti ha dato tutto!".
La guardo e mi rendo conto di aver avuto sempre ragione. Quei due mi hanno sempre odiata, soprattutto lei... mia madre. Come fa? Se mai un giorno avrò un figlio non credo che potrei mai provare disprezzo, sarebbe tutto un controsenso. L'amore dovrebbe essere l'unica cosa che dovrebbe legare una madre ad un figlio. Più la guardo più provo disprezzo per lei, è inevitabile. Sto per dire qualcosa quando Garret si mette in mezzo a noi, fa cenno a mia madre di aspettare senza staccarmi gli occhi di dosso e lei, come un cane obbediente, tace. "Stiamo lavorando, giorno e notte, per metterci sulle tracce di quelle ragazze. Stiamo usando ogni mezzo possibile per fare qualcosa, per poter dare le risposte che tutte quelle famiglie cercano ogni giorno. Quello che voglio dirti è che non dobbiamo ridurci come loro, non voglio svegliarmi domani e sapere che mia sorella è scomparsa".
Dio, non riesco a credere ad una sola parola che esce dalla sua bocca. Non ho mai visto mio fratello sincero, mai in vita mia.
"Fuori da casa mia". 
"Eravamo venuti in pace Jess. Mamma, credo sia meglio andare, non siamo i benvenuti qui".
Sono sollevata dalle parole di Garret, l'unica cosa che adesso voglio è che vadano via e che non tornino più. Sento il mio cuore a mille, non riesco a reggere la loro presenza.
"Solo un consiglio...", Garret fa di nuovo un passo indietro verso di me, "Fa attenzione Jess, con gli amici che ti ritrovi non penso che sarai mai al sicuro".
Non so se zittirmi e lasciare che finalmente escano da casa mia o parlare. No, non stavolta, non posso permetterglielo ancora. "Devi smetterla, devi farla finita!". Credo di aver perso definitivamente il controllo, gli vado contro urlando, finendo quasi faccia a faccia con lui. "Non devi più nominare i miei amici! Tu non sai che cosa rappresentano per me!".
"E che cosa rappresenterebbero, sentiamo!", ride.
"Tutto quello che non siete mai stati voi! La mia famiglia!".
"Spero che allora sarai felice con i tuoi amici. Oh scusa, avrei dovuto dire amiche? Già... Perché tu non hai amici vero Jess?".
"Di che diavolo stai parlando?".
Garret sembra divertito dalla domanda che gli ho appena fatto. Fastidiosamente divertito. "Quel tuo amico... Come si chiama? Ben? O come dici tu, Benny... Dimmi un po', è un frocetto vero?".
L'ha detto sul serio? Non posso crederci. Un senso di rabbia ed odio mi fa perdere improvvisamente la testa. Sto per dargli uno schiaffo ma lui mi ferma in tempo afferrando la mia mano. "Che c'è sorellina? Ho detto qualcosa che non va?". Stringe la sua presa, sempre più forte.
Mia madre resta immobile, non muove un dito.
"Lasciami! Mi stai facendo male!". Guardo Garret negli occhi, adesso c'è qualcosa che non va in lui. È come se un velo di oscurità si fosse improvvisamente impadronito del suo viso. È assente mentre mi guarda impassibile. "Ascoltami bene, lui è molto più uomo di te più di quanto lo sia stato tu in tutta la tua vita! Lui non avrebbe mai avuto quel comportamento con suo padre! Lui si sarebbe preso le sue responsabilità! Non avrebbe permesso che suo padre gli spianasse la strada facendogli ottenere tutto così facilmente, senza nemmeno impegnarsi! Proprio come papà ha fatto con te! Ti ha reso tutto così semplice... E tu non lo hai mai apprezzato! Hai fatto solo lo stronzo, fino alla fine".
Garret prova a fare l'indifferente alle mie parole, ma noto che è piuttosto provato. Stringe ancora la presa. "Ascoltami bene sorellina, mentre il tuo amichetto è impegnato a farsi scopare da dietro io sono lì fuori a proteggere quelle come te da qualche pazzo psicopatico che sta cercando di fare una strage nel nostro paese. Quindi, prima di parlare, dovresti azionare il cervello".
"Sei un omofobo del cazzo. Non capisco come tu possa essere mio fratello. Provo solo sdegno per te".
"Attenda a come parli al capo nel dipartimento di polizia di New York!", ride soddisfatto.
"Puoi essere il capo di quello che vuoi ma resterai sempre un fallito", riesco finalmente a svincolarmi dalla sua presa e mi rendo conto che il punto dove mi ha afferrata adesso è arrossato. "Tu che tanto pensi di essere il paladino della giustizia hai appena discriminato un ragazzo per il suo orientamento sessuale, quando lì fuori c'è gente che soffre per tutto questo. E sai perché? Per persone come te! Per della merda come te!".
"Non fare la melodrammatica, ho solo detto la verità".
"Come fai? Eh mamma? Come fai a tacere di fronte a tutto questo?".
Mia madre guarda me, poi Garret, poi di nuovo me. Non riesce a dire niente, solo china il capo.
"Andate via! Fuori di qui! Fuori!".
Lei corre via, lasciando la porta aperta mentre Garret sembra non dare nessun peso alle mie parole. Mi guarda quasi con ironia. "Guardati le spalle, dammi retta Jess".
"L'unico da cui devo guardarmi le spalle sei tu".
Con un mezzo sorriso stampato su quella faccia d'idiora, gira le spalle e va via.
Non appena chiude la porta vengo annientata da un senso di perdizione, lo stesso con il quale ho vissuto per tutta la vita dentro quella casa con lui e mia madre. Ma stavolta è troppo, non riesco più a gestirlo. Crollo sul pavimento, come se le gambe non riuscissero più a reggere il mio peso. E piango, piango così forte da non riuscire più a tenere gli occhi aperti.

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