Capitolo 3-Christopher

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Uno sparo.

Apro gli occhi. Sono immerso in un bagno di sudore. Mi tiro su dal letto e guardo dalla finestra, è ancora buio. Cerco il cellulare, eccolo sul tavolo, l'avrò lasciato lì ieri sera. Sono quasi le sei ed è ancora presto per aprire l'officina. Ho bisogno di una rinfrescata, vado al bagno e provo a far passare la sbronza di ieri sera ma nemmeno l'acqua gelida del rubinetto serve a farmi sentire meglio. Lego i capelli velocemente, sono tutti inzuppati. Adesso il dolore alla testa è più accentuato. Okay, forse ho bisogno di un'aspirina. Mentre vado verso l'ufficio di Eric e la cerco nel cassetto della scrivania vibra il cellulare, è lui.

Sono per strada. Ricorda che dobbiamo consegnare l'auto di quel tipo entro le 09:00. Spero per te che tu sia già sveglio.

Sì, sono sveglio. Forse.

"Che diavolo hai combinato Chris?".
"Credevo dovessimo dare un'occhiata alla frizione...".
"Dannazione! Non posso crederci! Ora come la mettiamo? Ieri ti avevo chiesto di iniziare il lavoro in anticipo e prima di arrivare ti ho mandato un messaggio! Oggi siamo pieni e adesso, grazie a te, non arriveremo mai a finire tutto entro le nove come ti avevo detto!".
"Potresti parlare più piano? Mi scoppia il cervello".
"Non dirmi che ieri sei stato fuori tutta la notte!".
"Nah... Sono stato un angioletto, ero già a letto alle nove come un perfetto ragazzo per bene".
"Andiamo... A chi vuoi prendere in giro?".
"Non mi avevi detto che oltre ad ospitarmi saresti stato la mia badante".
Guardo Eric, lo ammiro da fin quando ho memoria. Nonostante la rabbia lui riesce a trattenersi, ed io vorrei essere come lui, l'ho sempre voluto in realtà. È un po' ad Eric che devo tutto. Sono riuscito in tutti questi anni a non mollare per la sua costante presenza nonostante fossimo lontani migliaia di chilometri.
Adesso non so esattamente come mi guardi, forse con compassione, forse con pena. "È da quando sei tornato che fai finta che va tutto bene ma sai benissimo che la verità è un'altra".
"Basta! Ti prego amico... Non farlo".
"Fare cosa Chris? Dirti che stai ricominciando a mandare a puttane la tua vita?".
"Perché l'ho già fatto vero?".
Vedo il senso di colpa farsi spazio improvviso sulla sua faccia, sostituendosi alla rabbia di qualche secondo fa. Tira un sospiro come se stesse cercando in tutti i modi di gestire al meglio la situazione, poi si gira di nuovo verso di me e mi dà una pacca sulla spalla. "Sai cosa intendevo...".
"Mi rimetto a lavoro... Manca mezz'ora alle nove, possiamo ancora farcela". Torno ad evitarlo, è quello che mi riesce meglio perché so che ogni singola parola di quello che ha detto è vera. 

"E questi me li ha dati il tipo della Jeep. Dovevi vedere che faccia... Per poco non l'ho preso a pugni. Che gran coglione, mi da dato quei soldi come se mi stesse facendo l'elemosina!".
"Sai che se solo lo volessi potresti sbattere in faccia tanti di quei soldi a tutti gli idioti come quel tipo?".
"Non mi importa Eric, non è niente che mi appartiene davvero".
"Invece credo proprio di sì anche se tu hai deciso di trascorrere tutta la tua vita pensando il contrario".
"Di nuovo? Davvero? Non posso crederci! Ogni volta è un pretesto per tirare in ballo le solite cazzate".
"Solo la verità Chris, solo la verità. Ad ogni modo...", Eric alza le mani in segno di resa, "Chiudo la bocca". Ma continua a guardarmi ed è come se continuasse a parlare con gli occhi.
"Sputa fuori quello che devi dirmi, avanti!". 
"Ehi! Datti una calmata! È per domani sera... Delle amiche mi hanno invitato ad una festa. Stavo pensando... Che tu potresti venire con me".
"Non pensare amico, sai benissimo perché sono qui. E di certo non per andare in giro a festeggiare".
"Per una volta avresti potuto ascoltarmi e venire con me invece di trascorrere le notti in quei posti strani dove vai di solito..."
Eric sembra sempre più deluso ad ogni parola che pronuncia, forse più disilluso che deluso. Credo abbia perso le speranze con me. 
"Sai che non sono un tipo socievole e che preferisco restare sulle mie".
"Già... Come non detto...". Mi fissa per un po', poi riprende. "Come sta tua madre?".
Quella domanda resta un po' sospesa nell'aria. Vorrei evitare di rispondergli ma devo, ad Eric lo devo. "Andrò a trovarla di nuovo domani nel primo pomeriggio".
"Bene... Se cambi idea per domani scrivimi".
Sono già le sei del pomeriggio. Eric è in procinto di prendere il suo borsello da nerd, tira fuori di lì le chiavi della sua moto. È una Harley Davidson, modello antico, lasciatagli da suo padre qualche anno fa prima della sua morte. È gialla con delle striature nere, è davvero un bel modello. Eric gli è molto affezionato, del resto è l'unica cosa che gli resta del suo vecchio. Guai a chi tocca la sua HD, come la chiama lui. La mette a moto e, poco prima di premere l'acceleratore, si gira ancora una volta verso di me, "Non strafare stasera, sta attento". Poi, senza nemmeno curarsi di una mia risposta, mette il casco che richiama i colori della moto e scompare in lontananza nel viale.

Fisso le tegole in legno del tetto. Sono illuminate a stento dalla piccola lampadina che c'è sul tavolino qui di fianco a me. Mi sollevo sul letto, sistemo il cuscino ma, per quanto mi sforzi, non riesco a dormire. Per una volta ho dato retta ad Eric, non sono uscito  ma non riesco a prendere sonno. Eppure mi sento bene. Qui, adesso, dopo vent'anni mi sento a casa. Di nuovo. Se fossi claustrofobico non riuscirei a stare qui ma questa è la mia nuova casa e credo di non essermi mai sentito più al sicuro di adesso, almeno non da quando vivevo con lei, con mia madre. Adesso riesco finalmente a sentire l'odore di casa, di qualcosa di familiare che mi appartiene. E tutto questo lo devo ad Eric. Da quando sono tornato è lui che si occupa di me, mi ha dato un lavoro e un tetto sulla testa, qui all'officina. Poco più di un mese fa sono arrivato a Greenwich e non avevo idea di dove andare. Dopo aver rifiutato le sue innumerevoli richieste di andare a vivere da lui, Eric ha preso un letto di casa sua e l'ha portato qui insieme a un vecchio tavolo ripetendomi che non sapeva cosa farsene e che finalmente avrebbe potuto usarli qualcuno. Poi, con una tenda ha delimitato il mio spazio. Qui dentro sento di avere tutto quello di cui ho bisogno. Se ho bisogno di prendere una boccata d'aria apro la piccola finestrella qui accanto al letto e devo ammettere che non è niente male perché quando mi sdraio riesco a vedere le stelle nel cielo.
Ormai ogni mio tentativo di dormire è vano. Ho bisogno di alzarmi. Proprio sul retro dell'officina c'è un piccolo giardinetto tutto recintato, a volte io ed Eric trascorriamo qui le sere prima che lui torni a casa. Mi fermo davanti il piccolo frigo che ha lasciato in funzione per me dopo qualche anno che era inutilizzato. Tiro fuori di lì una Heineken perfettamente ghiacciata come piace a me ed esco fuori nel giardino. È tutto buio , se non fosse per la piccola lucina che proviene dalla mia stanza, mi viene da ridere a chiamarla così, "la mia stanza". C'è un piccolo telo poggiato lì a terra vicino una pompa. Lo apro e dopo averlo poggiato sull'erba mi ci sdraio sopra.
L'infinità di stelle si apre davanti ai miei occhi. Mi sono sempre interrogato sul perché di molte cose, odio non avere le risposte pronte, di solito riesco ad avere una soluzione a tutto. Ma non mi capacito di quanto sia immenso l'universo, è qualcosa che va oltre la mente umana, oltre la mia testa e non penso che riuscirò mai ad accettarlo. Mia madre mi avrebbe detto "Chris, devi provare a fantasticare ogni tanto. Non puoi sempre razionalizzare tutto. Devi avere fiducia nel mondo!". Diavolo, è come se sentissi la sua voce... Adesso, dopo vent'anni, riesco ancora a sentire quelle parole così come le direbbe lei. Devo avere fiducia nel mondo, è così che mi diresti adesso mamma? Nah... Non ci ho mai creduto davvero. Non esiste la fiducia, esiste solo un mondo dove va tutto a puttane e questo mondo non mi appartiene. Una forza maggiore ci obbliga a vivere una vita che non fa per noi, ma è lì che ci aspetta e noi siamo inermi di fronte a così tanta ingiustizia. E ci si ritrova così a fissare il vuoto e a chiedersi come siamo arrivati qui e con quale scopo. Dannazione, non ho una risposta nemmeno per questo. Non so più niente, è da fin troppo tempo che non so più niente. L'unica cosa che so è che devo fare quello per cui sono tornato qui a Greenwich e andare via. Ma non posso stare ancora un'altra sera rinchiuso qui in questo giardino, quello che mi andrebbe davvero non è questa Heineken ghiacciata ma una bottiglia di bourbon da qualche parte in qualche bar di questo stupido posto dove sono finito di nuovo.
Scrivo ad Eric.

Va bene per la festa di domani sera.

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